
Sullo sfondo del Partenone una donna ed una bambina parlano cibandosi di
Storia, come in un vecchio film in cui le rovine romane fanno da
ambientazione a chiacchierate culturalmente elevate fra archeologi in cerca
di tesori dal sapore immortale. Il clima caldo di Oliveira sommerge lo
spettatore e lo stanca: in questa passeggiata archeologica alla ricerca
delle radici del mondo occidentale ed orientale si incorciano strani sorrisi
di donne artefatte che chiacchierano di temi universali come di cose
scontatamente eleganti.Battute da annuario come "La Grecia è la culla della
cultura" pronunciata da Irene Papas fanno parere questo film un demiurgo
trsite del passato: una ricerca nella verosimiglianza del reale alito della
vita. Un mordi e fuggi protervo della filosofia.
Non si capisce cosa voglia dire il De Oliveira, e forse non lo sa neanche
lui: il suo gusto per il passato sorpassa la sua inautenticità: l'incontro
fra lingue madri, inglese, francese, italiano e greco, attorno ad una tavola
di un ristorante della nave da crociera cola a picco dentro un nugolo di
parole insensate, artefatte ed il respiro affannoso avvolge il calore del
film in un'afa insopportabile.
Senza senso. L'inizio e la fine del film non si distinguono: non hanno
ragione di essere ed in questo percorso lo spettatore perde la via: la
passeggiata archeologica dal Partenone fino alle moschee, e dopo a Bombay
fanno trapelare un nonnulla assoluto: le lingue in cui parlano i
protagonisti col capitano sono talmente individuale da non comunicare la
vita delle parole e con questo la spengono, gettandola in mare.
La bomba del finale lascia un Malkovic perplesso e ilare: alla presentazione
si è udito uno scroscio di risate dal pubblico pagante. Probabilmente il
messaggio non è passato: le lingue in cui parlano de Oliveira ed il suo
pubblico sono diverse, e devono cominciare a "tradursi" attraverso un'altra
versione di realtà o di fiction ficnhè non si fondano in un unicum
unilaterale.
Voto: 17/30
31.08.2003
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