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E' da considerare un privilegio la visione
del notevolissimo lungometraggio firmato da Nicola Sornaga, parigino di
origine italiana, registapoeta, già vincitore del Sacher di Bronzo
nel ’98 con il cortometraggio Un accento perfetto. In Le dernier des Immobiles a dominare la scena, per quanto confinato in supermondo idilliaco di capanne, canneti e ruscelli tra i quali caracolla sulla sua carrozzella, è il Poeta Matthieu (Messagier, ma questo lo si sa a posteriori, e comunque non importa), appunto l’ultimo degli Immobili (è il titolo di un suo libro del 1989), “un handicappato in ottima forma, un Buddha con i baffi di un pesce gatto” (Sornaga). Matthieu, tiene a precisare Sornaga, non è il soggetto, ma l’ ”oggetto” del film, oggetto di indagine, ma senza tradirne lo spirito. Sarà quindi il regista stesso a partire dal tempio poetico degli Immobili per un viaggio alla ricerca della materia prima della poesia, delle stesse radici sensoriali da cui è originata la fuoriuscita pura di intelligenza che, piegando frasi e parole come i giunchi che crescono attorno alla sua casa, dà origine agli scritti di Matthieu. Come un collezionista di chimeriche farfalle, Nicola si lancia all’inseguimento di un’inafferrabile realtà, sfuggente come l’alternarsi delle stagioni e delle forme della natura, anch’essa immobile eppure in perpetua ed instancabile trasformazione, ghermisce qua e là suggestioni, sensazioni, messaggi che partono e giungono come le cartes d’hotel dei luoghi più disparati del mondo su cui Matthieu compone le sue poesie. E’ un omaggio, ma anche il diario fedele di un autentico giallo dell’anima che non si conclude che con una nuova partenza, con una nuova ricerca, quella di un piccola troupe che, su una barchetta di carta, affronta il fiume, e poi il mare immenso, sferzata dalla neve e dalla tempesta. Il linguaggio cinematografico è totalmente reinventato, con la forza ed il coraggio di chi ha deciso di comporre la propria poesia, pur partendo da quella di un grande maestro come può essere Matthieu. Non per parlare di sè, non direttamente almeno, nel senso che qui non si racconta nulla, nulla perlomeno in grado di sviare l’attenzione dal grande tema che si è voluto affrontare, quello infine del miracolo della creazione, di quei “piccoli momenti di eternità”, come Nicola li definisce, che possono accadere in ogni istante della vita. La tenue e garbata ironia un po’ surrealista che pervade il film contribuisce a restituire in pieno un inestinguibile, delicato e appassionato amore per la poesia, nell’accezione più ampia del termine. Voto: 30/30 05.09.2003
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