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In
fondo che cosa è l’uomo? Anima, spirito? Non proprio… piuttosto sangue,
sperma, saliva e, visto da un microscopio, l’essere umano non è più grande
di uno sputo. Un’immagine capace di sintetizzare tutto ciò? Il fango. Così
deve aver riflettuto il regista cipriota Derviş Zaim, quando, trovandosi
sulla spiaggia, ha visto tre figure simili a marziani, ricoperte dalla testa
ai piedi di fango nero proveniente da un lago salato. A Cipro un soldato
sviene improvvisamente. Non riesce più a parlare, ha frequenti pruriti sul
corpo. Nessun medico sembra in grado di curarlo. Il malato (immaginario?!)
comincia a guardarsi attorno, nella sua vita ordinaria. Ci sarà pure un
motivo se mi hanno messo in un posto dimenticato da Dio, in una zona di
confine dove gli unici nemici sono una donna incinta e tre mutilati che mi
chiedono un po’ di fango? Così avrà ragionato il soldato dal passato e dalle
cicatrici altrettanto melmosi (i massacri tra greci e turchi) e, senza
perdere troppo tempo con riflessioni che piacciono troppo ai filosofi e un
po’ meno alla gente semplice, avrà cominciato a cospargersi di fango nella
speranza di guarire. In fondo in una Cipro ancora divisa dai conflitti tra
greci e turchi ognuno è fango, ognuno vorrebbe cancellare e al contempo
riscoprire il proprio passato. Svelare e disvelare. Ricordare per
dimenticare. C’è chi costruisce statue, c’è chi le trova nella profondità
della terra e della memoria. Le cicatrici dopo la guerra spesso comportano
un’impossibilità a comunicare nel modo più semplice e più naturale: fare
l’amore. Le mani tremano, lo sguardo vacilla da troppi ricordi e, come il
fango, ci si ritrae silenziosamente. E l’essere apparentemente più debole –
la donna! - riscopre la sua rivincita attraverso il suo corpo, un corpo
capace di autofecondare vita, amore all’interno di un mondo d’(im)potenza
maschile. La legge fallocentrica cede definitivamente il passo a quella
della ginecologia femminile: le ovaie e la vagina diventano irrinunciabili
ed essenziali rispetto al pene e ai testicoli. Il pragmatismo femminile
venato di pietas vince sul silenzio e sulle riserve maschili.
Fango, terzo lungometraggio
del regista Derviş Zaim, è una sorta di cinemacchina del desiderio di quello
che si vorrebbe essere e spesso non si è e al contempo una sorta di
installazione ludica e disincantata, surreale e ironica – ma non per questo
priva di speranza – che guarda a un orizzonte che dall’oggi al domani può
sempre cambiare. Come una dissolvenza incrociata, cifra stilistica del
regista: mai dissolversi sul bianco, mai sul nero… semplicemente su un’altra
immagine. Voto: 25/30 27.08.2003
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