Il tempo:
tiranno che nel suo scorrere uccide le cose oppure innocua creatura che
si perde nella eternità del presente? L'esperienza individuale:
un'istantanea fugace e proiettata alla morte o un mistico dono che si
integra immortale all'organismo cosmico? Rita Azavedo Gomes e Richard
Linklater propongono qui a Venezia due volti antitetici, ma fino ad un
certo punto, del tempo.
Il tempo di Waking life è soltanto una costruizione fragile, poco
più di una sovrastruttura culturale che può avere un solo
effeto negativo: far cadere nell'inganno di proiettarsi totalmente verso
il futuro trascurando il presente; per Linklater il futuro non esiste,
come non esiste il passato, esiste soltanto un immenso, eterno presente
nel quale il succedersi delle apparenze più che un ciclo doloroso
di vita e di morte è una eterna metamorfosi e le esperienze individuali
anzichè fenomeni isolati che attendo la propria fine diventano
materiale costitutivo di un organismo infinito che è l'universo,
riproponendosi da lì e per sempre come evoluzione e arricchimento
di un bagaglio collettivo dell'umanità, in-formazione ulteriore
e non esclusiva di un crescere olistico ed ordinato ("la reincarnazione
è solo la interpretazione poetica della memoria collettiva").
La pellicola di Rita Azavedo Gomes, presentata a undici anni dal suo esordio
O som da terra a tremar, affronta invece in modo meno postivo il tema
difficile del tempo come magma lavico che nel suo incedere inghiotte ogni
realtà e vanifica ogni esperienza. I protagonisti della storia,
due giovanissimi amanti, nella costruzione poetica della narrazione si
rifugiano in una sorta di eden onirico per sottrarsi al divenire del mondo,
per proteggere il loro amore da quel procedere delle cose per contrapposizioni
di forze che creano un dinamismo fatto di fenomeni in successione, mutualmente
ed inevitabilmete esclusivi. Si può fermare lo scorrere del tempo,
arrestare questo procedimento in divenire che rende effimera l'esperienza
di una madre ("a che serve l'esperienza di una madre?), che condanna
le cose care ad un destino di scomparsa e carica la nebbia di proprietà
analgesiche: la nebbia nasconde la realtà le sue trasformazioni
e lenisce la paura ossessiva del divenire ("quando vedo le stagioni
alternarsi sento lo scorre del tempo)? Vera e Joao si rinchiudono nel
loro paradiso dove tutto diviene possibile, dove cio che è riposto
nei penetrali dello spirito può essere finalmente comunicato all'altro
senza perdere dignità, dove vivono una esperienza che vorrebbero
eterna ma, loro malgrado, non sfuggono alla legge inesorabile del tempo
e scompaiono col loro prezioso sentimento in quella terra di nessuno,
o in quell'acqua, dove
non esistono più colori né suoni, ricordi ed esperienze,
quel luogo che è invero eterno, finalmente inaccessibile allo scorrere
del tempo, ma che è terreno inadatto anche allo scorrere della
vita: il nulla.
Quest'ossessione del tempo che incede minaccioso sembra forzare anche
lo stile nella scelta di una lentezza liricamente esasperata, lentezza
tirata all'estremo nelle soluzioni di montaggio, nelle carrellate della
macchina da presa, nello svolgersi delle azioni e persino nella gestualità
degli attori. Come se la macchina da presa cercasse con ostinazione di
sottrarre per quanto è possibile l'immagine dalla ingordigia del
tempo. Le inquadrature raggiungono durate competitive persino con Antonioni,
ma l'urgenza ispiratrice qui è quella di trattenere avidamente
abbracciato un oggetto caro che sta per
dissolversi nel nulla ("il ritmo della vita ci fa perdere tante cose,
che forse sono le più importanti"). Un effetto che risulta
per niente indigesto, ma anzi perfettamente in tono con una materia filmica
ed una scelta estetica impostate su di un registro assolutamente poetico.
La fotografia è eccellente nella composizione e prevalentente monocromatica,
salvo vestirsi di colore naturale in certe sequenze che riferiscono di
sogni o di ricordi. Curiosamente il colore "naturale " è
usato qui per caricare di lirismo dei passaggi importanti, piuttosto che
riportare al piano "realistico" della storia dopo divagazioni
dal filo conduttore della trama come tradizionalmente accade.
Un film bellissimo che presenta forse un solo difetto: la poesia del procedimento
narrativo è talvolta sovraccaricata da sottolineature didascaliche
eccessive, un piccolo vizio forse giustificato dall'imbarazzo di discriminare
nella nutrita collezione dei versi raccolti da vari autori, che nell'insieme
compongono gran parte della sceneggiatura.
Chiudiamo con l'intervento del produttore Paulo Branco che, nell'incontro
che ha seguito la proiezione, rispondendo ad un intervento sulle possibilità
di diffusione di una pellicola purtroppo così poco commerciale,
ha detto che bastano Berlusconi e Mediaset a preoccuparsi del successo
commerciale, loro interesse è piuttosto quello di produrre immagini
per l'eternità.
Voto: 29/30
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