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Il film inizialmente divaga, forse inevitabilmente e quasi
a ripulire il linguaggio filmico dei soliti clichées contenutistici in
base ai quali, per esempio, se una giovane studentessa giapponese di 15
anni, Yoko, rimorchia con leggerezza un adulto deve per forza trattarsi
di bieco erotismo e prostituzione incipiente. Poi la storia si concentra
e svela sempre più in profondo il legame dei due amanti testimoniato da
un uccello con una sola ala che lui si è fatto tatuare da giovane dal
nonno di lei e che, secondo una mitologia cinese, attenderebbe la femmina
per poter volare. In gioventù era stata la madre di Yoko a promettere
di prestare il suo corpo per "incarnare" il disegno dell’uccello femmina
ma poi, forse per non rimanerne "segnata" , si era sottratta all’amore
di lui. Ora è Yoko che prima disegna a penna la femmina sulla schiena
di lui e poi, dopo il travaglio della loro storia amorosa - che deve fare
i conti con l’avversione morale del nonno e quella di origine traumatica
del fratello - porta a compimento tatuando il proprio corpo. E’ una bella
storia d’amore che si avvale di due bravi interpreti e si arrovella, anche
se forse senza elaborarla troppo, attorno alla questione del "segno",
della differenza tra i caratteri pittografici e quelli alfabetici, delle
traccie che segnano la nostra vita e che talvolta sono inscritte sul nostro
corpo. Il tatuaggio non ha solo un valore simbolico in base a ciò che
rappresenta ma anche di indice "ottuso", oscuro, che attesta la presenza
di un evento che è passato e che resta per noi storico, incancellabile
e al quale siamo sempre di nuovo riconsegnati. Invitiamo quindi la visione.
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Alessandro, MAZZANTI |
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