DUST
di Milcho manchevski

DUST è una esperienza completa, dal visuale al sonoro, dal testo alla recitazione. Si compone di parti articolate in maniera complessa, spesso con l’intenzione esplicita di lasciare interdetti, spiazzati, contando più sulla capacità re-interpretativa dello spettatore, che sulla fruizione passiva. Passa fragorosamente da una fiaba narrata oggi tra appartamenti e ospedali di metropoli americana, alla guerriglia polverosa d’inizio secolo tra gruppi di macedoni ribelli ed esercito regolare turco, combattuta entro scenari montagnosi e assolati che possono ricordare in qualche modo il cinema di Sergio Leone. L’intreccio si sviluppa su più livelli narrativi, confondendo i termini di un rapporto conflittuale tra fratelli cowboy –Elijah e Luke- dalle personalità antitetiche, tra santità biblica [ancora una volta citazioni dai Vangeli, in controllato stile pulpfiction] e vocazione maudit. Dopo un lungo piano sequenza a risalire facciata ed interni del classico grattacielo svela-realtà-private, un’ anziana donna newyorkese intrattiene lo scassinatore del proprio appartamento –un ragazzo di colore ricattato da banda rivale per vecchi debiti insoluti- con la storia dei due fratelli. Da lì in poi, la "ricerca dell’oro" verrà a porsi sul doppio piano di realtà contemporanea e rievocazione storica, ma in entrambi casi rappresenta il desiderio di affrancamento da una condizione dalla quale occorre riscattarsi: anche se, in entrambi i casi, la perdita di una figura femminile, la sua morte interverrà ad annullare gli effetti salvifici di quella "conquista". Luke, che aveva una storia di letto con

la moglie del fratello, fugge in Europa per "lavare" l’errore continuando a fare il cowboy, rincorso nella discesa agli inferi proprio da Elijah. Ma, invece che risolversi in un duello al sole a mo’ di regolazione dei conti, lo scontro tra i due va a cozzare e a confondersi in maniera "innecessaria" con una lotta per la sopravvivenza combattuta dai nonni di chi scriverà la vicenda di PRIMA DELLA PIOGGIA.

DUST confonde i termini della questione, gioca con l’intersezione dei piani temporali, fa apparire chi narra dentro le vicende narrate, spalma pesanti chili di "hip-rock" sui secchi paesaggi di desolazione e lutto, vuole lasciarci stupiti per ridisporre le tessere di un mosaico ricchissimo all’interno dei nostri universi interiori, inventando per noi storie su storie.

E’ chiaro che ci si perde, ma, dimentichi della storia, meglio percepiamo i grumi di solida e geniale creatività sparsi un po’ ovunque: più del "film sulla memoria, su dove va la nostra voce dopo la morte", vediamo un fantastico trip multicolore che mescola angurie e rosso sangue, letteralmente, e si permette di cancellare con la gommina virtuale di un editor grafico i soldati in eccesso nei due minuti più folli e stimolanti della pellicola.

Voto: 27/30

GABRIELE FRANCIONI
30 - 08 - 01


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