F A R E A S T F I L M - 5
(Udine, 24 aprile - 01 maggio 2003)

di Loris SERAFINO e Mirco GALIE'

GIOVEDI' 24 aprile

JUST ONE LOOK

Hong Kong, 2002

di Riley IP
 
Ambientato sull'isola di Cheung Chau, ad ovest di Hong Kong, negli anni sessanta, il film narra le vicissitudini di due adolescenti della zona, Fan (Shawn Yu) e Fishball Ming (Wong You-nam). Il primo medita di vendicarsi della morte del padre torturando a colpi di fionda quello che ritiene (a torto) il suo assassino e si invaghisce di una ragazzina riottosa che si nasconde in una specie di tempio su un'altra isola. Il secondo vorrebbe fare colpo sulla figlia di un maestro d'armi e per questo si iscrive (e convince Fan a fare altrettanto) al suo corso di arti marziali. Il tutto cadenzato dalla vitalità brulicante e rumorosa del rione nel quale i due gestiscono una bancarella del mercato, proprio dietro un cinema in cui si proiettano film di divi famosi e robaccia di serie Z. Funziona abbastanza bene il retrogusto nostalgico che avvolge il film e l'utilizzo di spezzoni di film vecchi in funzione narrativa. Non mancano, purtroppo, certi brutti vizi, come quello di buttare troppa carne sul fuoco, complicare in vario modo la faccenda per poi risolverla in soluzioni facili. e con un finale consolatorio.

Voto: 22/30 (LS)
 

PORNO PERIOD DRAMA: BOHACHI BUSHIDO
Giappone, 1973

di ISHII Teruo

Primo film della retrospettiva dedicata a Ishii Teruo, il prolifico "Re del Cult" giapponese invitato a Udine per presentare alcune delle sue pellicole più rappresentative. In Period Drama: Bohachi Bushido si racconta di un micidiale samurai in fuga dalle autorità che trova rifugio presso una comunità di emarginati che gestisce una sorta di quartiere a luci rosse. Softcore in cui scorre parecchio sangue e volano teste girato tuttavia con una certa eleganza per i colori e per la messa in scena. Abbondano le nudità femminili (ci sono anche alcune esempi di quelle torture erotiche che pare andassero per la maggiore durante il periodo Edo in Giappone, tra il 1600 e il 1867) ma anche un certo talento per la costruzione di epiche scene di battaglia all'ultimo sangue e credibili incursioni nell'onirico e nel grottesco.

Voto: 25/30 (LS)

MASTER OF THE GENSENKAN INN
Giappone, 1993
di Ishii Teruo

Teruo Ishii, prolifico regista ormai ultraottantenne il cui lavoro è riuscito soltanto in tempi recenti a trasmigrare in occidente, ha praticato per decenni i territori di un filone conosciuto come “ero-guro”, ovvero ‘erotico e grottesco’, contribuendo col suo lavoro a delineare i caratteri di un genere che scava sfacciatamente entro le degenerazioni perverse dell’universo erotico giapponese attraverso una lettura alternativa all’autocompiacimento manieristico di gusto decadente alla Oshima. In quest’opera Ishii parte dall’incontro di un disegnatore di fumetti con alcuni figuri più o meno loschi dell’industria dei “comics” per impastare un intreccio architettato secondo una struttura sofisticata ed audace, che procede per divagazioni temporali [flashback] e slittamenti ‘meta-narrativi’ progressivi. Dalla mente fervida del protagonista che propone le sue creazioni ai produttori si materializzano tre episodi totalmente slegati tra di loro, da nient’altro accumunati se non da un gusto “fumettistico” del racconto, basato sulla costruzione di scene dai colori vivaci e dai caratteri sapientemente esasperati. I primi due episodi indulgono in uno spiritualismo trasognato e poetico che ammicca alla suggestione dell’elemento naturale: acque limpide e fiori galleggianti, sotto le note di un sonoro straniante e un buon gusto registico che proietta verso stati di contemplazione e preziosissime iperboli di tenerezza. Il terzo episodio, più lungo degli altri, si incanala invece nella tradizione cupa delle storie di fantasmi giapponesi in cui in atmosfere sepolcrali di tono delicatamente fiabesco di insinuano trattazioni sporche di violenza e sesso malato. Negli intermezzi tra gli episodi si svolgono le sfortunate vicende professionali del protagonista, che nonostante il suo talento stenta a procacciarsi il pane e al termine l’intero racconto si rivela esso stesso un film proiettato ad un pubblico che si alza in piedi ad applaudire e ad osannarne gli autori…. Generi narrativi e tradizioni culturali si miscelano nel film in modo poco chiaro rendendo evidente la pecca di una scarsa unità dell’opera, ma la ricchezza di spunti di cui è infarcita la pellicola, primo fra tutti una non comune abilità del regista di creare atmosfere e costruire immagini, in parte dovuta ad un innato talento visionario, in parte alla metabolizzazione onnivora di generi [non solo cinematografici] e linguaggi nel corso di una carriera lunghissima, rendono il prodotto assolutamente godibile.

Voto: 26/30 (MG)

LIFE SHOW
Cina, 2002
di HUO Jianqui

Quando la millenaria spiritualità asiatica, silenziosa e imponente come una enorme distesa desertica, si fonde con la sofisticazione rumorosa e debordante della cultura anglosassone, a seconda della prevalenza dell’uno o dell’altro elemento il prodotto cinematografico può essere il tentativo di emulare le suggestioni più commerciabili della maniera occidentale o la eleganza crepuscolare e languida di un conflitto esistenziale insanato e forse insanabile. LIFE SHOW propende per questa seconda opzione delineandosi già dalle prime inquadrature come un film prezioso e raffinato, una di quelle storie d’amore comuni che si svolgono “on the road”, tra anime sole che si incontrano per caso dentro il frastuono devastante di bagliori al neon e torrenti di individui urbanizzati che circumnavigano labirinti di cemento e vetro. In questo scenario si consuma la vicenda sentimentale della giovane e graziosissima Lai Shuangyang, proprietaria di una rosticceria all’aperto in un mercatino notturno, la quale, attratta dagli sguardi di un cliente abituale, si lascia sedurre dall’uomo confidando di dissolvere definitivamente nell’amore il senso di vuoto pneumatico che la attanaglia. Purtroppo la realtà si rivela diversa: l’uomo non è disposto ad immettersi in una storia impegnativa e Lai ripiomba di getto nella sua situazione di disagio, ulteriormente aggravata dai conflitti familiari per questioni di eredità e l’abbattimento del mercatino notturno, simbolo di una tradizione culturale ferita dalla prepotenza di un capitalismo avventizio. Il senso di vuoto, la malinconia, il senso di inadeguatezza ad una realtà sociale nella quale la moltiplicazione degli input relazionali incrementa esponenzialmente il blocco comunicativo, si rivelano alla percezione dello spettatore attraverso la velatura preziosa di un linguaggio che si affida alla eleganza delle immagini, ad una scrittura che allude più che spiegare, ad una macchina da presa che si sofferma di tanto in tanto su ritagli meta-filmici dell’inquadratura, in particolare i gesti delle mani che spaccano carni animali, maneggiano monete e accarezzano corpi. Ed inoltre, o forse di conseguenza, una riflessione sulla crisi della transizione epocale tra vecchia e nuova Cina, condotta e gestita dalla mano ispirata di un autore che sembra aver assimilato le lezioni di stile della migliore tradizione cinematografica orientale (da Wong Kar Wai a Tsai Ming-Liang, Wayne Wong, ecc...).

Voto: 26/30 (MG)


FRUGAL GAME
Hong Kong, 2002
di Derek CHIU

Il gioco cui allude il titolo consiste in un programma televisivo a cui partecipano famiglie senza-lavoro, che sotto il controllo costante delle telecamere devono tirare avanti per una settimana cercando di spendere il meno possibile dei 400 dollari che ricevono in gestione. Al termine dei sette giorni risulta vincitrice la famiglia che ha conservato più soldi. Sotto il tono di una commedia dal ritmo serrato traspare la pretesa, più o meno riuscita, di risvolti sociologici: il tema della disoccupazione, particolarmente sentito ad Hong Kong di questi tempi, viene non soltanto tirato in ballo come espediente narrativo, ma anche in qualche modo approfondito attraverso alcune chiavi di lettura disseminate qua e là nell’evoluzione dei fatti, che rimandano al disagio dei disoccupati, alla stolida violenza dei pregiudizi sociali e alla capacità di reazione di un popolo in difficoltà. Tuttavia, nè le trovate umoristice, nè la costruzione del racconto, nè il sottotesto “impegnato” impreziosiscono significativamente questa pellicola.

Voto: 23/30 (MG)
 

 

VENERDI' 25 aprile

SUMMER BREEZE OF LOVE
Hong Kong, 2002
di Joe MA
 
Schermaglie amorose tra giovani e meno giovani in una Hong Kong apparentemente senza problemi seri e in cui tutti sembrano schiavi del cellulare. Molte facce note e pulitine del cinema hongkongese sembrano divertirsi in questa commediola facile e insignificante girato dal regista del film vincitore del premio del pubblico nella precedente edizione del FEF (con la commedia LOVE UNDERCOVER). La formula di queste inconsistenti e interminabili pochade degli equivoci che ammiccano al cinema demenziale e adolescenziale hollywoodiano puzzava di marcio già lo scorso anno. Il look curato della confezione e la simpatia ostentata degli interpreti rende il tutto ancora più fastidioso.


Voto: 14/30 (LS)

SEXY LINE

Giappone, 1961

di ISHII Teruo
 
Un giovane manager si imbatte in una borseggiatrice che gli sfila il portafogli e lo mette nei guai con la polizia. Chiarita la sua situazione, si trova invischiato in una faccenda che coinvolge il suo capo, la sua ragazza e un club che gestisce un giro di ragazze squillo. Quando la sua ragazza viene ritrovata morta e l'accusa ricade su di lui, la faccenda si fa terribilmente seria. Per fortuna che c'è l'abile e affascinante borseggiatrice nei paraggi. B-movie in bianco e nero girato prevalentemente in esterni, tra prostitute d'alto borgo e gangster, dichiaratamente ispirato ai modelli hollywoodiani del noir (ma per le scene girate per le strade di Tokyo con la camera a mano qualche critico ha tirato in ballo pure la Nouvelle Vague). Niente di trascendentale, ma interessante come spaccato di vita metropolitana della capitale giapponese nei lontanissimi anni sessanta.

Voto: 17/30 (LS)

THE WAY HOME
Korea, 2002
di LEE Jeong-hyang
 
Poiché sua madre sta passando un brutto periodo in coincidenza con la separazione dal marito, un ragazzino di Seul dovrà trascorrere qualche settimana nella casa della nonna muta e vecchia in uno sperduto paesino di campagna. Come farà a sopravvivere il giovanotto abituato a guardare la TV e a giocare con i videogame in un ambiente pre-tecnologico in cui non si trovano le batterie e in cui bisogna fare attenzione alle mucche che attraversano la strada? Una storia semplice che si concentra su pochissimi personaggi e situazioni e ha nell'essenzialità il suo punto di forza. Un po' programmatico e prevedibile come racconto di formazione in cui il bambino di città viziato, dopo aver fatto l'antipatica peste per circa tre quarti di film, impara a riconoscere l'umanità e la dignità delle persone che vivono in un ambiente così distante dal suo. Il regista insiste sul tema della difficile comunicazione tra le parti come vero scoglio da superare per poter costruire una comprensione reciproca; e da questo punto di vista è emblematica la scena in cui il bambino riesce a capire il significato del gesto della mano che la nonna gli rivolge in continuazione in risposta alle sue lamentele. Peccato per la melensa retorica del finale.

Voto: 24/30 (LS)

 

JAIL BREAKERS
Korea, 2002

di KIM Sang-jin
 

Le avventure di due evasi che appena usciti dalla prigione scoprono che qualche giorno dopo sarebbero stati graziati. Per i due (uno che per evadere ha scavato sei anni con un cucchiaio e l'altro furioso perché la ragazza che ama ha deciso di sposare un poliziotto e di non aspettarlo più) inizia una corsa contro il tempo per ritornare dentro la prigione e non vedersi annullare il beneficio della grazia. Ma rientrare non sarà affatto impresa facile per i due, inseguiti dalla polizia e costretti a far fronte ad una rivolta all'interno del carcere scoppiata proprio quando si stava svolgendo la visita di un pezzo grosso della politica. Una commedia a incastri ben confezionata che pare sia stata già prenotata dagli americani per farci un remake. Se fosse durato una mezz'oretta in meno e i personaggi fossero stati meno esagitati (ma perché urlano in continuazione in queste commedie coreane?) sarebbe stato meglio.


Voto: 20/30 (LS)

 


SABATO 26 aprile

GRAVEYARD OF HONOUR

Giappone, 2002
di MIIKE Takashi
 
Il nuovo film del regista culto di ICHI THE KILLER. Si narra dell'ascesa fulminante e della discesa agli inferi di Ishimatsu Rikuo, che dopo aver salvato la vita di un boss quando era cameriere, viene affiliato nella gang yakuza di cui diventa uno dei più spietati killer. In prigione per alcuni anni per via di un omicidio, Ishimatsu Rikuo conosce Imamura, un pezzo grosso di un'altra banda con cui si instaura un forte legame di amicizia. Di nuovo in libertà, riprende la sua attività di killer ma l'instabilità psichica e le tendenze autodistruttive che hanno sempre caratterizzato la sua personalità questa volta lo metteranno in guai seri. Dopo aver quasi ucciso il suo capo per una questione di soldi e incomprensioni, Ishimatsu è costretto a fuggire e a nascondersi in un tugurio per qualche tempo. Catturato di nuovo dalla polizia, Ishimatsu riesce ad evadere subito, intenzionato ad eliminare colui che ritiene l'abbia tradito, il suo "amico" Imamura. Ma ormai ogni suo gesto sembra essere il frutto di una follia incontrollabile. Chi conosce il regista, non si aspetti lo splatter estremo. La violenza c'è, ma si tratta di flash brevissimi e improvvisi in cui esplode inarrestabile e poi tutto apparentemente torna alla "normalità". Siamo proprio nel "cimitero dell'onore" in questo film lento e crepuscolare in cui si rappresenta la disgregazione di un mondo che sembra non avere più codici morali a cui aggrapparsi per trovare un residuo di senso. Su tutto aleggia un percezione di follia senza possibilità di fuga, come la storia che il protagonista vive con Chiedo, disposta a morire passivamente per mano del suo amante. Un film desolante e disperato.
 

Voto: 28/30 (LS)

INFERNAL AFFAIRS

Hong Kong, 2002
di Andrew LAU & Alan MAK

Uno dei film più attesi della manifestazione udinese. Ming fa il poliziotto ma in realtà è un infiltrato per conto di un boss che traffica in stupefacenti. Grazie alle sue informazioni il boss è sempre riuscito a farla franca. Tra i gangster del boss c'è però Yan, un infiltrato della polizia (fa l'infiltrato da dieci anni ormai, quasi non ricorda più chi è realmente) che cerca di incastrare il boss e di capire chi, nella polizia, fa il gioco sporco. Tra i due infiltrati, da parti opposte, ha inizio una partita a scacchi su chi riuscirà a smascherare per primo il suo avversario. Un poliziesco dalla fotografia luccicante che tenta di ritrovare i fasti di un genere che in passato ha dato lustro alla cinematografia honkonghese, oggi decisamente in crisi. Il meccanismo stenta a decollare nella parte iniziale, ma poi si solleva anche grazie ad un gruppo di solidi caratteristi e nonostante qualche stonatina retorica. Il film punta più sulla suspense che sull'azione (le sparatorie e gli inseguimenti sono contati) giocando sull'ambiguità del ruolo dell'infiltrato e sugli incerti confini che separano il bene dal male.

Voto: 25/30 (LS)

 

 

Domenica 27 aprile

 

GONE IS THE ONE WHO HELD ME DEAREST IN THE WORLD
China, 2002
di Ma Xiaoying

Già nelle prime sequenze la pellicola di Ma Xiaoying sfodera le cartucce più potenti della sua scelta strategica: una donna che urla disperazione sopra il corpo senza vita della anziana madre accasciata sul pavimento del salotto, urla amplificate dagli echi di un ralenti che dilata gli spazi del dolore senza pudore e moderazione… Con un incipit che sfiora livelli apocalittici di pathos il film ci introduce in un viaggio indesiderato nell’esperienza della malattia e della morte di una madre e del drammatico rapporto con la figlia che l’accompagna in questo calvario… perdita di una madre ovvero di “chi mi aveva come la cosa più cara al mondo”. Un macro-flashback ripercorre le tappe della passione scandagliando con rigore scientifico tutte le sfumature di un rapporto madre-figlia di fronte alla tragedia della malattia, che attraversa fasi di speranza, di cadute e di abbandoni, di carezze e di rimpianti… overdosi di melodramma che minacciano di sensi di colpa chi non sentisse salire su il groppo alla gola… E’ difficile criticare un cinema che con cura meticolosa e buone intenzioni tratta di vicende così drammatiche e così plausibilmente vicine alla vita di ciascuno, ma forse, proprio per questo, sentiamo di muoverci nei territori di un cinema limitato alla mera rappresentazione, che a null’altro allude se non a ciò che viene sfacciatamente spiattellato sullo schermo; che non si presta a sperimentazioni linguistiche che scavino nella emotività di chi guarda né propone la meditazione di idee che smuovono le valenze più recondite dello spirito. Nonostante i goffi tentativi dell’autore di assumere a tratti toni poetici per evocare l’intensità del sentimento che lega madre e figlia, il lirismo barocco del Sokurov di MADRE E FIGLIO è lontano anni luce.
Benchè sorretto da una recitazione magistrale il film decade nella retorica iperrealista e colpisce lo spettatore con la violenza di una sciabolata nel basso ventre che si fa sentire, ma non ha di certo effetti salutari.

Voto: 24/30 (MG)

YESTERDAY
Korea, 2002
di Jeong Yun-su

presentato al festival come uno dei titoli che ha sbancato ai botteghini coreani della passata stagione, YESTERDAY è un delirio fanta-poiziesco fatto di inseguimenti, irruzioni di corpi speciali, esplosioni e sparatorie di cui si stenta, ahimè, a comprendere l’obiettivo… la trama risulta drammaticamente contorta e criptica finchè non si scopre ridursi ad una banale e poco convincente caccia ad un serial killer prodotto da imprudenti esperimenti di clonazione. tuttavia, nonostante il senso di umiliazione dello spettatore per l’incapacità di cogliere il disegno del plot [umiliazione per altro fugata al termine della proiezione quando una rapido e sommario sondaggio tra i compagni di sala la rivela come una condizione comune: mal comune mezzo gaudio!] le due ore di pellicola scorrono agevolmente se non altro per il virtuosismo con cui sono state concepite le scenografie cupe, nebulose e sontuosamente dilatate in uno stile che ricorda BLADE RUNNER [si perdoni l’azzardata citazione], l’indiscutibile mestiere con cui sono state costruite le numerose scene d’azione disseminate senza economia nell’intricato sviluppo dei fatti e l’audacia con cui sono state montate sequenze iperbolicamente serrate. Del resto in opere del genere la trama e gli appiccicaticci risvolti polemici sulle paure epocali generate dall’ambizione della scienza sono quanto di più dispensabile e gli autori concentrino pure gli sforzi nell’esibilizione di una creatività violenta e visionaria. Da questo punto di vista i cinque milioni di dollari spesi per realizzare il film risultano tuttosommato ben sfruttati.

Voto: 25/30 (MG)

TURN
Japan, 2000
di Hirayama Hideyuki

Se uscendo di casa in un mattino qualunque, per affrontare la routinaria giornata in una megalopoli come Tokyo trovassimo i luoghi della nostra quotidianità frenetica totalmente privi di presenze umane, forse rimpiangeremmo il caos e l’alienazione… è questo che sembra suggerirci la vicenda di Maki, eroina del film TURN, che dopo un incidente stradale si risveglia in una dimensione bizzarra nella quale il suo mondo perfettamente inalterato negli aspetti materiali è abitato da nessun’altro che lei… una prigione di isolamento assoluto che la guida giorno dopo giorno fin quasi alla pazzia. L’unico contatto umano che le arriva come un miracolo dal cielo è la comunicazione telefonica con un ragazzo che ha acquistato una sua mezzatinta da un gallerista. Una storia basata su una idea originale e condotta con tono garbato e coinvolgente, disseminata di sprazzi di tenerezza nel delicato rapporto tra Maki e il suo unico interlocutore umano, nella placidità di ambienti e azioni in cui la gravità della situazione si mantiene velata in un tono fiabesco e leggiadro senza perdere il suo carico di intensità… più tardi si scopre che la Maki reale giace in coma in un letto d’ospedale come conseguenza dell’incidente e il risveglio dal coma viene risolto con una sequenza al ralenti priva di inutili dialoghi e gestita con una sensibilità rara: Maki apre gli occhi e rivolge uno sguardo trasognato alla madre e poi al suo compagno di avventura che sono lì al suo fianco. Pochi personaggi e poche chiacchiere per un film che rapisce e sa anche far riflettere.

Voto: 26/30 (MG)

 

BETTER THAN SEX ::: NEW!! :::
Taiwan, 2002
di SU Chao-pin
 

Commedia demenziale ambientata a Taiwan dove il destino di un ragazzo "superdotato" che non ha mai conosciuto l'esperienza dell'amore si incrocia con quello di un numero imprecisato di personaggi strampalati tra cui una giovane punk innamorata di lui in cerca dei soldi per poter andare al concerto dei Tomato Brothers e una pornodiva a riposo il cui marito poliziotto da la caccia ad un gruppo motociclisti armati di una letale daga magica. E ci si mette di mezzo pure una troupe televisiva in cerca di teppistelli da redimere. Una serie di sketch più o meno divertenti tenuti insieme con il filo di ferro da cui si evince che il sesso è meglio quando è accompagnato dall'amore. Una specie di "pattumiera" in cui si sono divertiti a buttare dentro tutte le trovate che venivano in mente; riesce ad essere convincente solo quando tira frecciate al sentimentalismo lacrimevole imperante in certo cinema e tv, ma anche qui finisce con il tirare troppo la corda.


Voto: 20/30 (LS)

A PERFECT MATCH
Korea, 2002
di MO Ji-eun
 

Hyo-jin lavora in una grande agenzia matrimoniale e si occupa di organizzare gli incontri dei suoi clienti single mentre la sua vita sentimentale è andata a rotoli dopo la rottura del rapporto con un giovane che vive all'estero. Ma per fortuna che c'è un cliente affascinante che proprio non gli riesce di far accoppiare.Commedia romantica leggera leggera che ha il pregio di essere meno sbracata e infantile di quelle honkoghesi.


Voto: 20/30 (LS)



Martedì 29 aprile

THE PHONE
Korea, 2002

di AHN Byung-ki

Per via di alcune minacce ricevute dopo aver scritto un pezzo su una banda di pedofili, una giovane giornalista cambia numero di cellulare e si trasferisce nella grande e villa disabitata di proprietà di un suo amico. Una misteriosa chiamata sul cellulare che sembra provenire direttamente dall'inferno da inizio ad una serie di oscuri avvenimenti soprannaturali che coinvolgono la giovane figlia dei proprietari della villa e il mistero di sangue che si nasconde tra le sue pareti. Dopo THE RING siamo condannati a sorbirci orde di spiriti che ci tormentano al cellulare e occhi spiritati di ragazzini invasati. Qui, oltre al film di Nakata, hanno rubato pezzi dai più svariati classici del genere e li hanno assemblati insieme un po' come accadeva per i cadaveri di TELL ME SOMETHING, thriller passato qualche anno fa al FEF. Purtroppo anche qui manca la testa.
 

Voto: 18/30 (LS)

NEW BLOOD
Hong Kong, 2002
di Soi CHEANG

Un poliziotto durante il turno serale trova in un'auto una giovane coppia in fin di vita dopo aver tentato il suicidio. In ospedale, grazie alla donazione del sangue del poliziotto e di altre due persone tra cui una ragazza (che poi si scoprirà essere divenuta schizofrenica in seguito ad un profondo trauma subito nell'infanzia) e un giovane architetto, solo il maschio riesce a salvarsi. Quando la ragazza morta decide ti tornare dall'aldilà per vendicarsi di chi ha osato dividerla dal suo amore, per i tre saranno dolori. Dal regista di HORROR HOTLINE. BIG HEAD MONSTER, presentato nella precedente edizione del FEF, un horror di qualche ambizione stilistica. Man mano che procede, la narrazione si destruttura come se osservassimo la vicenda attraverso il filtro della malattia mentale della ragazza donatrice, dove i confini tra realtà, illusione o incubo si fanno sempre più sfilacciati. Grande sfoggio di bravura registica ma il risultato è troppo pensato e freddo.


Voto: 23/30 (LS)


Mercoledì 30 aprile

NO BLOOD NO TEARS
Korea, 2002
di RYU Seung-wan
 

Una taxista con problemi di soldi e la donna dello scagnozzo manesco di un boss che traffica nelle scommesse clandestine si coalizzano per e scappare con il malloppo delle scommesse. Nella bagarre finale che ne scaturisce in cui tutti cercano di fregare tutti tra doppi e tripli giochi, tre ragazzetti sfigati finiranno col godersi il malloppo. Ma c'è anche una sorpresa finale. Violenza, inseguimenti, botte da orbi, un pizzico di ironia e tante parolacce tra i bassifondi e la malavita di una metropoli coreana, all'insegna di un cinema votato all'eccesso e all'accumulo quantitativo. Il paradosso di molto cinema orientale: alta competenza tecnica e produttiva (le scazzottate e gli inseguimenti sono girati con pignoleria quasi maniacale) a sostegno di storie per film di serie C, come se a suo tempo Hollywood avesse messo i suoi capitali in mano ad un Umberto Lenzi o ad Antonio Margheriti.


Voto: 17/30 (LS)
 

Marco GALIE' & Loris SERAFINO