FAT CHOI SPIRIT / hg
di Johnnie To & Wai Ka Fai



Questa commedia farsesca e sgangherata sul “mahjong”, diffusissimo gioco da tavolo cantonese, e gli effetti della dipendenza dall'azzardo su persone ed eventi, ha molti obiettivi difetti e qualche mirabile pregio. Tra i punti di forza l'alchimia consolidata tra il regista Johnnie To e le sue due star preferite: Andy Lau, nella parte del maestro di mahjong, affascinante ed imbattibile, e Lau Ching-wan, nel ruolo dello sfidante succube e vendicativo; una certa leggerezza nel condurre lo sviluppo degli eventi che, seppur spesso slegati tra di loro, si succedono l'un l'altro con simpatica e sfacciata ironia che non può non mettere in secondo piano le critiche; la suspance brillantemente mantenuta nel corso delle partite di mahjong, difficile da garantire anche ai molti che di questo gioco non sanno nulla; la benevolenza con cui l'occhio della cinepresa riprende, senza ridicolizzare o giudicare, i parametri distorti di un sottobosco umano in cui il valore massimamente condiviso è il guadagno facile al tavolo da gioco. Le pecche sono evidenti nella mancanza quasi assoluta di una sceneggiatura alla base del soggetto, nei dialoghi frammentari come vetri rotti, nella costrizione di attori, anche dotati, in ruoli caricaturali che rasentano il paradosso. Innegabile è la verve nelle riprese e nel montaggio che ritma piacevolmente i pochi colpi di scena della pellicola così come la vis comica di gustosissimi personaggi di contorno che caratterizzano alla perfezione il panorama umano attorno al quale si dipana la trama. Il titolo originale significa “diventa ricco” e fa parte della formula augurale per il nuovo anno.. Può essere più o meno discutibile legare un presagio di futura gloria alla futilità della scelta dell'azzardo ma, moralismi a parte, questa è solo una commedia che non pretende di insegnare nulla ma esaspera volutamente i vizi più ridicoli della società per esorcizzarli con una bella risata.

Voto: 24/30


Elisa SCHIANCHI

23 - 04 - 02

LAST WITNESS / sk
di Bae Chang-ho



La cinematografia sudcoreana, negli ultimi anni, ha dimostrato di essere, con buona probabilità, la realtà più solida di un mercato di cui, pian piano, Hong Kong sta perdendo il predominio. LAST WITNESS fonde un po' tutte le correnti predominanti in patria, con un risultato senza dubbio apprezzabile, ma non privo di buchi. Inevitabile che Corea significhi anche il ricordo della guerra e l'analisi dei suoi strascichi, per cui anche un film che nasce thriller come questo è quasi improbabile che possa evitarne il riferimento. Lo spunto è il ricordo di Geoje, un campo di prigionia per dissidenti politici, sorto all'inizio del conflitto: da lì esce, dopo 50 anni, Hwang Seok. Nello spesso tempo, viene ritrovato un cadavere e le due storie si incrociano. Il secondo genere forte sudcoreano (almeno a quanto visto di recente) è il mélo e qui, via flashback, diventa quello dominante per una buona parte del film, lasciando spazio e fondendosi con la ricostruzione storica per concludersi nuovamente nel poliziesco. In realtà, la contaminazione di tutte queste direzioni non dona al film l'originalità che lascerebbe presupporre, ma solo singoli buoni momenti tendenzialmente isolati, soprattutto narrativamente, dal contesto. Spazi di grande retorica giustapposti a buone sequenza thriller (il bosco di bambù); recitazione misurata e montaggio eccessivamente enfatico.

Voto: 25/30


Andrea DE CANDIDO

23 - 04 - 02

MY LIFE AS MCDULL / hg
di Toe Yuen


Basato su McMug, un fumetto di Brian Tse e Alice Mak del 1991, racconta le avventure di un piccolo maialino un po' tonto e sognatore. Avendolo dato alla luce in circostanze infauste, McBing chiama il figlio McDull ("McTonto"). Il maialino cresce con un carattere umile che riflette il suo umile nome. Quando McDull si ammala, la madre gli promette incautamente di portarlo alle Maldive. Non potendosi permettere il viaggio, architetta un'escursione alla periferia di Hong Kong, dove con alcuni cartelli finti appositamente sistemati convince il figlio stupidotto di trovarsi realmente sull'Oceano Indiano. Durante la vacanza, McBing trae spunto dalla notizia del successo olimpico di un atleta per incoraggiare il figlio a praticare uno sport. Il maialino inizia subito ad esercitarsi nel tradizionale sport hongkonghese della "presa del panino". Un frenetico carosello di luci, colori e immagini in cui gli sfondi 3D, nei quali si muovono gli strampalati personaggi bidimensionali, vengono in continuazione disfatti e ricomposti in nuove forme in una successione incredibile di invenzioni visive. Un film sperimentale, realizzato combinando tecniche di animazione naive, Computer Graphics e riprese dal vero, che in patria ha reso il maialino protagonista McDull un vero e proprio fenomeno di costume. Anche se non è sempre agevole seguire una storia che apparentemente salta "di palo in frasca" (soprattutto per chi non è avvezzo alla cultura hongkonghese), si riesce comunque a cogliere bene il senso di questa piccola favola dal retrogusto amaro, metafora della necessità di adeguare i propri sogni alla realtà del destino.

Voto: 27/30


Loris SERAFINO

24 - 04 - 02

ALL ABOUT OUR HOUSE / japan
di Mitani Koki


Film d'intrattenimento puro, commedia edilizia dagli esiti un po' scontati, ALL ABOUT OUR HOUSE mette insieme la più classica tendenza alla demenzialità - non rara nel cinema nipponico: capìtola spesso anche nel Kitano più duro - e il vizio dell'acumulo di situazioni sulla base di un'unica idea (difetto già riscontrato l'anno passato in più di una pellicola giapponese). Demenziali sono tutti i personaggi, a partire dal maritino (narrasi di giovane coppia felice in attesa di prima abitazione...), inventore piuttosto bislacco di creature simil-Godzilla e altri mostri locali, ossessionato da un telefonino che non smette di suonare per il cruccio silenzioso della sua povera lei. Strano è anche il padre della sposa, architetto piuttosto allergico agli slanci creativi, mentre non del tutto comuni sono pure le personalità di Yanagisawa (brillante interior designer, diviso tra la tensione artistica e la necessità del lavoro) e la madre della ragazza. Casus belli la costruzione della viletta tanto sognata: due modi di vedere le cose opposti ma costretti a convivere. Da qui il via a tutta una serie di gag, inizialmente in grado di dare al film il ritmo indispensabile a giustificarne l'esistenza, ma alla lunga sempre meno vive (si veda l'estenuante sequenza del mobile antico) e, soprattutto, divertenti. Tutto qui. Da ricordare alcuni personaggi di sfondo: sugli altri il vecchietto sempre muto, presente dovunque e con videocamera accesa giorno e notte.

Voto: 24/30


Andrea DE CANDIDO

23 - 04 - 02

NO WOMAN, NO CRY / japan
di Kamata Yoshitaka


Taichi, Kazumi e Hideji sono in fuga dopo aver organizzato una rapina a un mezzo blindato. L'ultimo scappa con il denaro mentre i compagni vengono catturati dalla polizia. Cinque anni dopo Taichi esce di prigione e va in cerca di Hideji e della sua parte di bottino. Lo ritrova gestore di un bar su una spiaggia desolata, sposato con Reiko, bella e imperscrutabile. Taichi si innamora di lei e si fa convincere da Reiko a eliminare Hideji. Alcuni mesi più tardi, anche Kazumi esce di prigione e si mette in cerca di Taichi, che, nel frattempo, ha preso il posto di Hideji sia al bar sia nel cuore di Reiko. Ben presto si intuisce che sarà lui la prossima vittima. Uno dei migliori film del festival in generale. Un film che riflette profondamente sul destino, la ciclicità degli eventi e sull'individuo.
La sceneggiatura è di Zeze Takahisa, la fotografia desolata e apocalittica (che ricorda Russ Meyer) è di Konishi Yasumasa.

Voto: 28/30


Guillermo GONZALES
27 - 04 - 02