trieste film festival
24.ma
edizione
Trieste, 17 / 23
gennaio 2013
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recensioni |
di Dino BRONZI |
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avanti
di Emanuelle Antille
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klip di Maja Milos
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OF
SNAILS AND MEN
di Tudor Giurgiu
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il viaggio... di Elisabetta Sgarbi
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il
viaggio della signorina vila
di Elisabetta Sgarbi
Italia 2012, 60'
Special
Events
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23/30 |
In una sera davvero “triestina” con le raffiche forti di bora
fuori dalla grande sala Tripcovich, si celebra l'apertura del 24° Trieste
Film festival, che si apre con il documentario di Elisabetta Sgarbi
il viaggio della signorina Vila,
un'omaggio a questa storica e importante città.
In sala ci sono anche i “protagonisti” di questo “film”: Claudio Magris,
Susanna Tamaro, Boris Pahor, Giorgio Pressburger, Pino Roveredo, Lucka
Pockaj, Gillo Dorfles e tanti altri.
Se Woody Allen nei primi 2 minuti di
Midnight” in Paris ci fa fare un giro veloce della città, perché
Parigi è grande, ma anche giovane e veloce, metà del film della Sgarbi
(circa 30 dei suoi 60 minuti) è a suo modo lo stesso giro, della città di
Trieste. Toni Servillo narra la storia della “signorina Vila”, versi di
Claudio Magris, mentre la sua voce è accompagnata dalle musiche bellissime e
solenni condotte da Franco Battiato.
Si comincia con le inquadrature del mare, battuto in una giornata di bora,
dalla prospettiva del centro congressi sulle rive, si passa poi all'interno
della chiesa greco-ortodossa e alle testimonianze religiose, prima
ortodosse, poi ebree. Le immagini si alternano e si vede la natura del
carso, gli edifici storici del porto vecchio, le azzurrissime acque del
Timavo e le facce degli immigrati che si sono integrati nella società.
A turno il gota dei letterati originari di questa città: Magris, Pahor, la
Tamaro, Roveredo e gli altri, ci narrano accompagnati dalla poesia delle
immagini la storia di Trieste durante il '900. Dalle vicende della prima
guerra mondiale, all'integrazione razziale, alla pulizia etnica degli
sloveni, alla risiera di S. Sabba e poi alla vicenda Basaglia; infine
vediamo l'odierno volto multirazziale di questa città; ferita molte volte,
che porta con orgoglio le sue cicatrici, bagnata dal suo caratteristico mare
e dal suo vento, anch'esso multiculturale, che nasce dall'asia e termina il
suo viaggio nel nostro golfo.
Le storie degli autori si accavallano con la storia della città e la storia
dell'europa del '900.
In definitiva questo “film” è più una poesia su pellicola, una dichiarazione
d'amore a un luogo particolare, che neanche chi la abita la conosce
perfettamente e fino in fondo, questa città. Questa città è contraddittoria,
vecchia, ma piena di vita, di lingue e culture diverse, da sempre.
Al termine della proiezione, ogni “protagonista” racconta alla platea il suo
parere sulla pellicola.
Magris apprezza – dice – il genere Docufiction fatto di storie vere, citando
Svevo e Mark Twain.
Boris Pahor centenario, definisce Trieste come “finis terrae” e “caput
mundi”, ma anche slovena. Per lui quest'opera è però troppo poetica, gli
spiace non aver visto più storia e contributi sulla “sua” Trieste della
prima guerra mondiale, che lui ha vissuto in giovinezza. Il mare per Pahor è
la libertà che trovava al Molo Audace. Molte cose dette in questo film, ma
in maniera non triestina – continua sempre Pahor – manca la cultura
triestina che diventa europea, in contrasto col tempo in cui l'europa era
tutta fascista e nazista e – chiude il suo intervento - sperando in un
futuro di Trieste che si allarga e diventa un tutt'uno con Capodistria e
Fiume.
Pressburger, di provenienza ungherese, è molto grato ai triestini che
l'hanno accolto con generosità. Per lui questo “film” rappresenta la
bellezza di capire un “popolo” un po' alla maniera di Visconti e De Sica.
Trieste è famosa in tutto il mondo, egli stesso orgaizzò a Barcellona una
mostra chiamata “La Trieste di Magris” che ha riscosso successo e ne ha
aumentato la popolarità. Poi parlano ancora Roveredo, la Pockaj ed infine la
stessa Sgarbi, che ammette un po' l'imbarazzo e il masochismo nel fare un
film su Trieste e raccontarlo ai triestini. Tante altre testimonianze e
informazioni sono state tagliate in sala di montaggio, ma vedranno la luce
su Rai Storia il 10 febbraio, in un secondo film/documentario dal taglio più
storico.
Mentre il teatro si svuota e torno alla macchina, penso che è vero, tutto
quello che ho visto in questo film, sono sul mare battuto dal vento che mi
riga il volto, circondato da antichi palazzi nel cuore della città. A volte
un'immagine sola racconta davvero più di mille parole, ed osservo dal vivo
un perfetto riassunto di tutto questo, quando vedo uno degli spettatori che
all'uscita della Tripcovich rincorre il suo cappello, che un refolo di bora
gli ha portato via. Trieste è una bella città.
è una città da “vivere”; è
questo il messaggio che ci ha raccontato Elisabetta Sgarbi. |
klip
di Maja Milos
Serbia 2012, 102'
Feature
Film Competition
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18/30 |
Alla presentazione in sala, presente la regista, il film
viene definito con scene “forti” eufemismo per dire “porno”, scene che
altrimenti sarebbero suggerite, in questo film sono esplicite. Scene proprio
“porno” non “spinte”, vedere organi genitali è una cosa, ma vedere
eiaculazione e altri dettagli è decisamente “porno” e “vuoyeristico”.
Il film si apre con un ragazzo che filma Jasna - col cellulare di lei -
mentre fa a lui moine, pose sexy e improvvisa uno spogliarello; ma dopo poco
il ragazzo si stufa e torna alla festa nell'altra stanza. Klip è un racconto
di giovani allo sbando, nella Serbia di oggi, in cui i ragazzi perpetuano
l'autodistruzione, pensano a sé stessi e perdono così i legami con la
famiglia. Jasna ha una cotta per Djolco, un bullo della scuola; con le
amiche la preoccupazione principale e fare festa e ubriacarsi. Comincia ad
avere rapporti con questo bulletto che le fa provare la cocaina.
Mentre il padre di Jasna peggiora ogni giorno e presto dovrà affrontare
l'operazione per il cancro, la madre non sa da che parte girarsi e che fare,
nella paura di restare senza marito, con una figlia adolescente ribelle e
menefreghista e un'altra in età pre-adolescenziale.
Jasna filma ogni giorno le scorribande con le amiche, le feste al limite a
casa di qualcuno, si fa un video mentre si masturba per Djolco e filmano
insieme i loro amplessi. Si rintana nella sua stanza dicendo alla madre che
deve studiare, quando invece dorme per recuperare le ore di sonno perse la
notte, o smaltire le numerose sbornie.
Djolco non si fa troppi problemi a ballare e strusciarsi anche con le amiche
di Jasna, la cui cosa le da fastidio, ma lei non reagisce, si tiene dentro
la rabbia, al più si filma mentre andando la mattina verso l'autobus gli
canta che lo ama. I video aumentano, le clip ci raccontano dei ragazzi che
una notte spaccano la scuola, che si picchiano a una festa e di nuovi
amplessi, sempre più perversi tra Jasna e Djolco. Mentre la famiglia di lei
si sfascia e anche i nonni si trasferiscono nell'appartamento per stare
vicino al padre malato, Jasna continua a fuggire dalla famiglia, perché non
le interessa o forse per la paura di affrontarli. Questa ragazzina viziata,
che rinnega l'autorità della madre e non l'aiuta minimamente in casa, si
spinge sempre più in la con la droga e la perversione. Il film finisce come
troncato a metà. All'ennesima festa è Jasna a provocare Djolco baciando
un'altro, così lui la picchia e mentre ancora sanguina si baciano
sporcandosi entrambi del suo sangue.
Lascia l'amaro in bocca questo film sull'irrequietezza giovanile, che non
insegna nulla – soprattutto in un finale che non è un finale (non sappiamo
se il padre vincerà il cancro, o se l'amore tra Jasna e Djolco diventa
vero). è uno spaccato,
purtroppo, direi, molto realista dei giovani d'oggi - non solo in Serbia -
col loro menefreghismo, con la voglia di indipendenza e diventare adulti
nella maniera più veloce senza poi imparare nulla, senza cercare prospettive
nel futuro, abbandonando i valori familiari e vivendo negli eccessi e nel
voler solo apparire senza essere.
Tecnicamente Klip è
realizzato molto bene: le inquadrature, le soggettive dal punto di vista di
Jasna, ottime le luci e la fotografia, con scene mai troppo scure, girato in
una altissima definizione, fatta di immagini molto chiare e nitide.
Il montaggio è giusto. Il film con forse un paio di amplessi in meno e una
festa (piena di eccessi) in meno avrebbe funzionato allo stesso modo.
Se mai vedrà la luce in sala, probabilmente ci arriverà con molti tagli alle
scene hard e comunque un divieto ai minori; che forse non sarebbe un male
che i giovani vedessero, ma in quel caso, un finale con un messaggio sarebbe
la miglior chiusura del cerchio. |
avanti
di Emanuelle Antille
Svizzera 2012, 85'
Feature
Film Competition
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18/30 |
Avanti è una
storia tutta al femminile e di confronto generazionale. Si svolge in
Svizzera ai giorni nostri. Lea, commessa presso un mediastore è stressata.
In crisi col ragazzo e che detesta suo padre, ora che la madre ha un
permesso per uscire dalla clinica psichiatrica per qualche giorno, lei tenta
di recuperare un po' del tempo perduto in questi anni.
Video-maniaca, Lea ha sempre la telecamerina in tasca e filma alcune delle
cose che vede durante la giornata per poi riguardarle la sera a casa. Così
da vedere meglio quei piccoli dettagli che normalmente sfuggono, come
l'abbraccio accennato del padre sulla madre malata, o lo sguardo perso della
madre mentre fissa il cielo.
Il film è intervallato dagli spezzoni in super8 di vecchie vacanze di tutta
la famiglia, filmati senza audio, momenti privati della fine anni '70 che ci
mostrano il clima diverso e di serenità, ormai perduta che aleggiava nella
famiglia.
Lea è l'unica a volere che sua madre Suzanne sia lasciata in pace, libera,
anche se con un disturbo mentale ciò non vuol dire che bisogna costringerla
in uno spazio, o a letto, come invece le impongono il marito e la sorella.
La zia ha chiesto aiuto a Lea per riordinare la casa in campagna della
nonna, così lei porta anche sua madre, convinta che un tuffo tra i ricordi
le faccia bene, e qui il confronto generazionale si amplia nel ritrovare la
nonna all'ospizio che quasi fatica a riconoscere la figlia che non vede da
tempo e che l'ha trascurata. Suzanne dal canto suo, un po' confusa, è
disorientata, si riprende un po' quando in campagna ritrova oggetti e luoghi
familiari. Lea vede quindi che è uno spirito libero imprigionato, non una
donna disturbata e così l'indomani la riporta all'istituto, ma poi cambia
idea e la rapisce riportandola nella casa dei ricordi in campagna.
La prospettiva data dai filmati realizzati con la telecamerina di Lea ci
mostrano la sua prospettiva sulla madre e anche la visione di lei, della
figlia.
Durante questo breve viaggio Lea, ha la possibilità di giocare e riscoprire
un po' la madre che ha trascurato per anni. La tensione sale quando una
deviazione in uno dei luoghi felici di Suzanne, un bar in riva a un lago, si
trasforma in uno scontro madre-figlia.
Un film catartico questo “avanti” molto probabilmente biografico
dell'autrice. Il titolo riprende l'espressione della madre disturbata che in
macchina verso la casa in campagna incita la figlia, per la voglia di
“scomparire” e rifugiarsi nella vecchia casa, “Avanti! Avanti!”
Un film tecnicamente semplice, realizzato con una telecamera “esterna” e una
“soggettiva” quella di Lea, montaggio semplice. La colonna sonora invece con
brani rock e malinconici sottolinea bene alcuni momenti del film. Belli i
fermi immagine delle mani, in certi momenti “protagoniste” che riassumono la
tenerezza e l'affetto. Un po' lento nel ritmo, con sequenze del viaggio a
volte lunghe e “vuote” senza dialoghi o interazioni tra i personaggi che
sono solo inquadrature delle strade. A mio parere il film lancia tanti
spunti su cui riflettere, senza approfondirli troppo, senza giudicare la
malattia mentale, che parla di donne e del rapporto madre-figlia su vari
livelli. |
DESPRE OAMENI ȘI MELCI
di Tudor Giurgiu
Romania 2012, 100'
Genre
Surprises
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25/30 |
La traduzione in italiano potrebbe essere “Uomini e Lumache”.
Come definirlo? Una Rom-Com della romania? In questo caso sarebbe una
“Rum-Rom-Com” che però sembra più uno scioglilingua.
Il film si basa su una storia vera della 2002, sulla chiusura in seguito al
fallimento di una fabbrica di automobili che era il “motore” – scusate il
gioco semantico di parole – economico di un'intera città e zona della
Romania.
Il regista ha adattato la sceneggiatura, che inizialmente doveva essere una
pellicola di denuncia sociale, facendone così una delle commedie più
popolari della Romania di sempre!
Inizialmente ho avuto un flashback del film
Arrivano i giapponesi una
commedia americana di fine anni '80 con Michael Keaton; ma solo lo spunto
iniziale (fabbrica di auto in crisi) è lo stesso, la trama è completamente
originale perché tratta dalla realtà di come si sono svolti i fatti.
Il film non si svolge nel 2002, ma 10 anni prima, nel 1992, quando la
Romania, dopo la caduta del comunismo e di Ciausescu, comincia ad assaporare
la libertà ed il liberismo del mondo occidentale; infatti le prime immagini
sono dei telegiornali dell'epoca che ci mostrano l'arrivo di Michael Jackson
per la sua tappa a Bucarest del tour mondiale di “Dangerous”. E' un periodo
nuovo e di confusione per questa repubblica dell'est.
Il direttore della fabbrica di auto “ARO”, fa un discorso ai dipendenti
sull'imminente chiusura della fabbrica e dell'arrivo di possibili compratori
francesi. George, chiamato col diminutivo di “Gica”, sindacalista dello
stabilimento, arriva in ritardo al discorso, fino a pochi minuti prima se la
spassava con Manuela, la segretaria del direttore, sul tetto. Gica –
l'attore che lo interpreta sembra Sergio Castellitto – e i colleghi operai
sono insoddisfatti e protestano contro le parole del direttore ed appare
misera la promessa che la nuova gestione terrà 300 operai (circa il 10%
della forza lavoro) per il nuovo "conservificio di Escargot".
L'indomani gli operai prendono l'ultimo stipendio e si riuniscono per
cercare una soluzione; mentre le famiglie si interrogano sul futuro e la
moglie di Gica, lo interroga sul come mai abbia indosso un profumo così
forte – "è dei francesi!"
risponde prontamente Gica; e la moglie sembra rassegnata e voler credere a
questa, che sa essere una bugia.
Gica vede una pubblicità in televisione, che sembra un'azzardo, ma forse
l'unica soluzione per costituire un comitato, acquistare la fabbrica e non
perdere il lavoro... donare lo sperma!
Una clinica americana a Bucarest paga 50 dollari le singole donazioni di
sperma. Gica pensa “50 per... tanti uomini disoccupati” che possono donare
anche più volte al giorno... fa i conti e riunisce i colleghi... e la trama
si sviluppa tra storie d'amore in spagnolo, bingo, figli illegittimi,
karaoke e canzoni popolari rumene.
Il finale ci insegna che forse è meglio credere a qualche bugia e ad
adattarsi ai cambiamenti in tempi di crisi, perché si vive e sopravvive fino
all'eternità, giorno dopo giorno.
Tecnicamente “uomini e lumache” è ben girato, buone le inquadrature e le
luci, anche se nulla di eccelso, ottimo il montaggio, la colonna sonora è
semplice, in pratica fatta da una canzone popolare rumena e da “Manuela” di
Julio Iglesias.
Il cast e la recitazione sono il vero cuore e valore del film.
Andi Vasluianu (Gica) e Monica Barladeanu (Manuela – la segretaria) sono
intensi e bravissimi, anche i comprimari come il direttore e i francesi sono
perfetti nella parte. Una bella commedia sui tempi di crisi, con qualche
momento serio e triste. |
SITO UFFICIALE |
trieste film festival
Trieste, 17 / 23 gennaio 2013
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