BATORU ROWAIARU
(BATTLE ROYALE)

di Kinji Fukasaku
(Giappone, 2000, 35mm, 122')

di V. DI MICHELE


Dopo un paio d'anni di distribuzione informale nei circuiti dei cineclub italiani, Torino Film Festival presenta, all'interno di un omaggio a Fukusaku Kinji, uno dei film di maggiore successo delle ultime stagioni cinematografiche giapponesi, Battle Royale. Uscito nel 2000, Battle Royale ha scatenato, in patria e all'estero, una bagarre pressoché inesauribile di polemiche, apprezzamenti, tentativi di analisi socio-politica e socio-culturale, schematizzazioni, interpretazioni, rielaborazioni, metaforizzazioni e quanto ancora l'essere umano abbia incluso - con maggiore o minore consapevolezza - nella categoria della critica. Quaranta studenti su un'isola deserta, puniti per aver alterato, nella struttura gerarchica nipponica, il rigido rapporto di subalternità: l'alterco si punisce col sangue.
Il Battle Royale Act, autentico Big Brother dove esce chi muore, è un gioco, ne porta le regole che definiscono gli spazi e i tempi, il numero di partecipanti e il premio, oltre all'immancabile aim of the game: l'importante è vincere.

La violenza, ordinario capro espiatorio mediatico, non è peggiore di quella che percorre gli schermi televisivi ogni giorno, gli echi dello scandalo superano il reale impatto visivo, ragazzi che cadono nella boscaglia, amici che tradiscono amici, piccole vendette scolastiche arcaicamente pagate col sangue. Il plusvalore dell'operazione BR, marchio registrato e fonte di un numero imprecisato di gadget e merchandising sparso, è l'ideologia di Fukusaku, il rovesciamento logico (ma, dentro identiche dinamiche medianiche, illogico e quindi fascista) delle parti e dello stato delle cose: la vita è una giungla, e l'uomo un animale.
Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. La logica, appunto, dell'appartenenza: il taking sides, essere come oppure diverso, dove il primo termine esprime un più ed il secondo un meno, essere nella televisione o sua vittima.
Un'intuizione brillante di un grande vecchio prematuramente scomparso, che consegna, con Battle Royale, un (sinistro) ritratto di una realtà tragicamente possibile.
 

14.11.2003

BATTLE ROYALE II: REQUIEM
di Kinji Fukasaku
(Giappone, 2003, 35mm, 134')


Richiede uno sforzo di immaginazione non indifferente attribuire a Fukusaku Kinji (e al figlio Kenta, che ha terminato l'opera del padre scomparso durante le riprese) la paternità del videogame Battle Royale II: Requiem. Difficile immaginare i bei volti truccati delle giovani pop stars (meno giovani e senza dubbio svuotati dell'ingenuità da prima apparizione del primo BR) compresi nel ruolo di terroristi (?) votati alla salvezza della purezza dei valori contro un imprecisato mondo di "grandi". Torri gemelle, Afghanistan, banditi, Mad Max e divise da grande fratello stancherebbero, da soli, anche il buon samaritano, figuriamoci poi la guerriglia da soft-air, con tanto di AK47, amori, bambini da salvare e infinite battle games.

Il buonsenso, dove un filo logico con tanta buona volontà sembra difficile da tirar fuori, si può cercare ovunque: trasformare l'Afghanistan nel sogno futuro post-nucleare (ah, Ken di Hokuto) o la Battle Royale nella anti-sfida definitiva al mondo dei cattivi supera ogni volontà d'immaginazione. Con perle da manuale, come lo straordinario incipit, il crollo dei cinque grattacieli di Tokyo ed il Dies Irae, l'accusa chiara e un po' naive contro "la nazione che da cinquant'anni schiaccia chiunque abbia un'opinione diversa", la nostalgia degli attacchi alieni, oh fratello Zambot 3 dove sei?
Il resto è requiem, per un grande autore scomparso di fronte al quale dimenticheremo, come una trascurabile macchia in una carriera ammirevole, una battaglia che di royale ha soltanto il titolo.
 

15.11.2003