NóI ALBINóI

di Dagur Kari
(Islanda, 2003, 35mm, 93')

di Marco GROSOLI

Non si sentiva molto il bisogno di un film del genere in questo festival. Non serviva granché una scialba coproduzione europea, peraltro con tutto lo pseudominimalismo che queste in genere si portano dietro. Non è infatti che l'ennesima stori(ell)a del solito ragazzino di provincia, genio e "sregolatezza" alle prese con ambiente (un rigido villaggio islandese) e compaesani ostili. Cottarelle passeggere, padri assenti e fallimentari, insuccessi scolastici e coś via.
Nulla di ributtante, intendiamoci, Kari gira in modo senz'altro diligente, competente, anzi quasi accattivante, per il tono leggero da commedia pacatamente surreale che è capace di imprimere. Il ripetitivo schema della vita d'ogni giorno di Ṇi (il protagonista) ci si sciorina davanti inerte, scosso solo dalle continue minigag (cotenutissime, fin troppo equilibrate forse) che si vorrebbero sufficienti a garantire l'appartenenza al genere "commedia". In realtà questa ininterrotta (per quanto mai fastidiosa) ricerca del riso a tutti i costi finisce per gettare in una luce troppo tangenziale i molteplici problemi dell'indolente Ṇi. Davvero un peccato, poi, filmare le nevi islandesi in modo coś ingenuo e abulico.
L'interesse, peṛ, cessa di calare al momento della sorprendente svolta finale: una valanga rade al suolo il villaggio con l'eccezione del protagonista. Primo, unico e ultimo granello di Dramma in un film esilissimo. In questo modo il racconto riesce a sbilanciarsi positivamente, il Vuoto che ha assillato Ṇi (il ragazzo) e noi (spettatori) si trasforma in Mancanza, e finalmente la troppo facile nonchalance della regia diventa, senza strafare, attonita contemplazione. Un salvataggio in corner che a suo modo fa onore al film, che in partenza sembrava avviarsi verso la più giustificata dimenticabilità.

 

20.11.2003