SAL-IN-EUI-CHOO-EOK
(MEMORIE DI UN OMICIDIO)

di Bong Joon-Ho
(Corea, 2003, 35mm, 127')

di Marco GROSOLI

Il cinema coreano è un cinema quant'altri mai "nazionale". Nel senso che basa il proprio enorme successo di sala in patria (caso raro oggi) su contenuti riconoscibilmente vicini al pubblico locale.Questo film ne presenta non pochi, soprattuto la ruralità perduta e gli anni 80 (che ambientano un discreto numero di commedie coreane recenti). Ma è il fatto di cronaca che fonda la trama (che a suo tempo, 1986, ebbe comprensibilmente una grossa risonanza) a calamitare l'interesse in modo decisivo. Si tratta, in superficie, del primo caso nazionale di omicidi seriali. In realtà il vero fulcro del film sono le seguenti indagini in se stesse, secondo il consolidato schema "i burberi modi del poliziotto campagnolo a confronto con quelli istituzionalizzati del poliziotto venuto dalla capitale". Bong Joon-Ho, autore dell'apprezzatissimo (dal pubblico e da molti festival internazionali) Barking Dogs Never Bite plasma questo materiale grezzo in modo molto interesante.

Aggrappa il proprio sguardo a quello degli ispettori sempre meno convinti dei propri metodi, rimanendo sempre molto aderente alla loro ottica per renderne lo spaesamento (memorabile la scena in cui Park, il "burbero", arriva sul luogo delitto dando le spalle alla steadycam che lo segue), e seguendo con diligenza tutte le piste (tutte false) in cui si imbarcano. Con grande senso del ritmo sa quando far scoppiare le esplosioni di caos che puntellano il racconto (la violenta ribellione del padre di Kwang-Ho all'arresto del figlio, la rissa nel suo ristorante, le risse in questura tra gli agenti stessi) in modo da frantumare le certezza che di volta in volta sembrano dipanarsi. Ma soprattutto, e qui sta il vero colpo da maestro del film, sa far prendere alla storia una violenta svolta melodrammatica: alla fine Suh, il poliziotto di Seul, impazzisce e adotta anche lui metodi violenti, dando luogo a una scena grondante pathos in cui lui e Park si riconoscono drammaticamente nella stessa impotenza di fronte alla invisibile terribilità dell'omicida, mentre pestano entrambi un innocente indiziato. Insomma, la tragedia non risiede tanto nella catena di delitti, quanto nel tragico abisso di insicurezza che esso apre, come ribadisce la successiva scena conclusiva. Insomma, un caso di cronaca, come nella migliore e perduta tradizione del cinema popolare, diventa metafora di uno snodo della Storia (in questo caso nazionale) di respiro più ampio, quasi universale.
 

16.11.2003