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Un festival diretto dal filoportoghese
per eccellenza Roberto Turigliatto non poteva non avere un lusitano in
concorso. La scelta è stata lodevole, è caduta su un ottimo e
promettente esordio. La trama è minuscola: non consiste che nei
saliscendi emozionali di una giovane donna che all'inizio del film
lascia il compagno e cerca di ovviare alle instabilità conseguenti
buttandosi tra le braccia di figli e sorella, tentando di ricostruire
un rapporto precarissimo con la madre, cercando scosse in discoteca e
in avventure occasionali. Il racconto si risolve in un unico nevrotico
grigiume emozionale femminile (quasi solo donne in questo film), ma
non sfocia in isterismi incontrollati. Anzi, osserva da vicino lo
svogliato agire della donna mantenendo una decisa impassibilità. Una
mano solida e sicura che ricorda vagamente quella di Pedro Costa
(comunque molto superiore a quella di Fonseca), pur senza la sua
griffithiana precisione spaziale né la sua sapientissima
organizzazione temporale. Il merito sta nella freddezza priva di
svolazzi, tirate moraleggianti, o peggio esplosioni patetiche, con la
quale seguiamo la deriva della protagonista, rappresentata con buon
occhio per il quotidiano. Senza comunque inutili pesantezze o
presunzioni pseudoautoriali o pseudoantonioniane (che è il rischio
maggiore di un progetto del genere), ma con un'ottima attenzione al
gesto e al dettaglio capace di non sacrificare la fluidità
dell'insieme. E gli attori si inventano una toccante complicità, mai
sopra le righe. Il film termina con l'incontro con la madre, che, come
ci viene suggerito, fu l'origine di fatto delle instabilità della
figlia. Ma niente si risolve, ancora incomprensioni, si rientra nel
circolo vizioso con la stessa compassatezza che ci ha accompagnato
lungo tutta la pellicola. 18.11.2003
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