il commento di FEDERICA FERRARI |
Meno provocatoria di quella degli anni scorsi
questa edizione del Gay and Lesbian Torino Film Festival sembra interessata
da un filo conduttore ‘psicologizzante’. La rivendicazione dei diritti
omosessuali dai toni aggressivi sembra infatti lasciare il posto a uno
spirito più intimistico che va nella direzione della riflessione
sull’identità dal punto di vista delle motivazioni psicologiche regresse del
personaggio. Al vertice di questa tendenza sta la retrospettiva di Léa Pool,
mi riferisco in particolare ad Anne
Trister (1986), dove il motivo delle ‘tracce’ va a definire uno
spazio che è insieme intimo e scenografico, a segnare il percorso della
protagonista alla ricerca di se stessa. Del resto l’intera produzione di Léa
Pool, è rappresentativa di una linea ‘psicologizzante’, sostanzialmente
incentrata sul tema della ricerca dell’identità a partire dal legame con
l’oggetto d’amore primario. Ma più o meno direttamente nella maggior parte
dei film presentati sembra riproporsi questa insistenza su un legame tra
l’identità del personaggio e un rapporto con la figura genitoriale –
generalmente dello stesso sesso ma non solo - problematico o mancante.
Questo aspetto risulta in evidenza anche nelle produzioni di cortometraggi,
vedi in particolare What Grown-ups
Know, di Jonathan Wald (Australia 2003, 35mm, 30’), dove il
protagonista Roy, soffocato dal rapporto con una madre con dei problemi e
sottratto da questa al padre, cerca rifugio in un uomo molto più grande di
lui, confondendo bisogno di protezione e attrazione. |