il commento di FEDERICA FERRARI

 

Meno provocatoria di quella degli anni scorsi questa edizione del Gay and Lesbian Torino Film Festival sembra interessata da un filo conduttore ‘psicologizzante’. La rivendicazione dei diritti omosessuali dai toni aggressivi sembra infatti lasciare il posto a uno spirito più intimistico che va nella direzione della riflessione sull’identità dal punto di vista delle motivazioni psicologiche regresse del personaggio. Al vertice di questa tendenza sta la retrospettiva di Léa Pool, mi riferisco in particolare ad Anne Trister (1986), dove il motivo delle ‘tracce’ va a definire uno spazio che è insieme intimo e scenografico, a segnare il percorso della protagonista alla ricerca di se stessa. Del resto l’intera produzione di Léa Pool, è rappresentativa di una linea ‘psicologizzante’, sostanzialmente incentrata sul tema della ricerca dell’identità a partire dal legame con l’oggetto d’amore primario. Ma più o meno direttamente nella maggior parte dei film presentati sembra riproporsi questa insistenza su un legame tra l’identità del personaggio e un rapporto con la figura genitoriale – generalmente dello stesso sesso ma non solo - problematico o mancante. Questo aspetto risulta in evidenza anche nelle produzioni di cortometraggi, vedi in particolare What Grown-ups Know, di Jonathan Wald (Australia 2003, 35mm, 30’), dove il protagonista Roy, soffocato dal rapporto con una madre con dei problemi e sottratto da questa al padre, cerca rifugio in un uomo molto più grande di lui, confondendo bisogno di protezione e attrazione.
L’esperienza del Gay and Lesbian 2004 lascia aperto questo interrogativo: se è vero che la tendenza della produzione cinematografica di tematica omosessuale tende a suggerire questa lettura, in che misura e con quale stringenza è reperibile un rapporto tra identità ed esperienza educativa, in quale misura è allora reperibile un margine di discrezione individuale nelle tendenze di scelta dell’oggetto d’amore?