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Ecco un altro adepto di questa setta geniale e misteriosa che è
Dogma. Già essendo danese il nostro Ake Sandgren parte bene e si
può dire che "gioca in casa". Ma con questo lungometraggio
in concorso forse va oltre le regole, o almeno non ne rimane ingabbiato,
e riesce a modellarle intorno ad una sceneggiatura che non scende a compromessi,
che non deve essere mutilata, ma al limite integrata durante le riprese
che seguono strettamente l'ordine cronologico della narrazione. Il regista
ci tiene a sottolineare che proprio il Dogma può essere una forma
di grande libertà: la prima regola stabilisce che la sceneggiatura
sarà girato interamente ed il prodotto finito ricalcherà
fedelmente le indicazione del testo. In breve questo significa che i produttori
non ci possono mettere le mani ed influenzare il film. E poi ci si trova
a girare con una piccola troupe di "fedelissimi" molto più
facile da gestire e più affiatata in nome di un credo comune, quello
del Dogma, appunto (e non a caso i titoli di testa mostrano il documento
firmato d'adesione al Dogma). Il Dogma è libertà, spiega
Sandgren, anche perché è molto più facile star dentro
a dei paletti ben definiti piuttosto che misurarsi con un mare di possibilità
in cui si finisce per affogare. Come sappiamo il Dogma annulla gli abbellimenti
fittizi per dare più peso alla storia, alla recitazione e all'emozione
che possono suscitare negli spettatori, con coraggio, senza nascondere
le perversità, l'infelicità, l'incomunicabilità dell'essere
umano. Il titolo danese significa "veramente umano" ed è
la storia di un ragazzo danese (soprannominato Ahmed) che vive in un muro,
ma che poi è costretto ad uscire, affrontare la società
e diventare veramente "uomo fra gli uomini". Questo contrasto
mette in evidenza le bassezze degli uomini veri, il loro accanirsi contro
i deboli e gli innocenti, che siano essi malati o troppo ingenui, per
non dire "buoni". |
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Elena
SAN PIETRO |
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