PASSIONE CORTA
Concorso Internazionale Cortometraggi



Anche nella 19° edizione, il Torino Film Festival ha aperto agli occhi del pubblico una piccola finestra sul variegato e curioso mondo dei Cortometraggi. Non è stato facile per le giurie definire i vincitori, perché almeno cinque erano degni di alte considerazioni: LOLLIPOPS di Graham Tellman, UN OISEAU DANS LE PLAFOND di Celine Macharel, MUNO di Bouli Lanners, HELICOPTER di Ari Gold e POUT di David Douponchel.
Iniziamo con il premio Kinematrix LOLLIPOPS: un corto, che nell'apparente scelta di un leccalecca, si fa portavoce di una ben più difficile decisione da prendere: vivere con mamma o con papà? Chi deve fare la scelta è ovviamente una bambina, figlia di genitori sulla via del divorzio. Detta così, la storia sembrerebbe piuttosto banale, ma non lo è!
Il regista, Graham Tellman, ideatore di una serie di cartoni animati, muove la macchina da presa come se disegnasse un fumetto, senza ampie inquadrature, ma puntando l'attenzione del "lettore" sui particolari, fatti di mimica facciale e piccoli gesti! Essenziale è l'attento gioco di colori e relativi parallelismi: il verde ed il rosso fanno da protagonisti, nei leccalecca, nell'abbigliamento del padre (t-shirt verde) e della bimba (maglioncino rosso), nei braccialetti di lei, nelle chewingum sotto il tavolo e nelle t-shirt della cameriera, che, come per una sorta di "par condicio", si cambia nel corso del corto.
Un equilibrio di colori, quindi, che avvolge tutta la storia, rotto sul finale dal rosso cappotto con cui entra in scena la madre. È il momento in cui la figlia, come un vero adulto, deve decidere della sua vita, ma che dimostra come la bambina sia sempre condizionata dall'educazione e dalla vita della mamma, dal colore della maglia da indossare (rosso-rosso) alla persona con cui andare a vivere!
Se quello del divorzio in America, può essere un tema che "sa di già visto", il modo in cui Tallman lo racconta, lascia in bocca un retrogusto agro-dolce, grazie alla maturità cha scaturisce dalle misurate parole della bambina e alla tenerezza infantile di suoi sguardi e dei suoi gesti.
Il risultato è perciò una curata ed originale forma cinematografica, chiara, essenziale e gradevole, con cui confezionare uno dei problemi che più affligge le famiglie americane.
In quest'angolo di "Cartoonia umana" (i personaggi sembrano davvero essere usciti da un fumetto!) dalle dure problematiche familiari, il clima è fortemente sdrammatizzato dall'allegra, orecchiabile, quasi puerile e "filotematica" colonna sonora anni '60 "Lollipop, lollipop...".

Il secondo cortometraggio citato, UN OISEAU DANS LE PLAFOND di Celine Macharel, ha vinto il premio Kinematrix per la miglior regia. Animazione e grottesca teatralità, comicità misto dramma, fanno da sfondo alla vita monotona e ripetitiva di Edmond, uccello di un orologio a "cucù", che da anni serve fedelmente i suoi anziani padroni, avvertendoli, con il suo bizzarro verso, dello scorrere del tempo.
Il suo dramma inizia quando l'ultimo collega ed amico di infanzia, Luciene, decide di scappare, di non lavorare più, di fare ciò per cui è nato: volare! Tragico è per lui accorgersi che nessuno lo ascolta, che la sua "casa del tempo" serve solo a riempire il muro.
Quello di Luciene è il bisogno di libertà che accomuna tutti gli esseri viventi, uccelli o uomini che essi siano (non a caso i due uccelli sono palesementi umani) e la volontà di rompere il vetro che non gli consente di uscire, volare fra i rami e le nuvole. Ciò che invece caratterizza Edmond è principalmente un'incapacità di essere veramente libero, perché ormai stretto, compresso fra routine e senso del dovere. Di non ragionare più con i propri sentimenti, né razionalmente. E appena diviniene consapevole di chi è e cosa fa, è accecato dal senso dell'orgoglio e del ribadire la sua identità, fino all'accesso, fino al voler uccidere i due padroni!



Se dovessi fare una classifica fra gli altri cortometraggi segnalati, metterei al terzo posto MUNO di Boul Lanners, che nella sua linearità cronologica racconta un isolato episodio di razzismo in una tranquilla comunità rurale del sud del Belgio. È la storia di Raphael, un giovane giornalista che vorrebbe proporre quanto avvenuto nel suo paese natale, all'attenzione degli ascoltatori della radio per cui lavora.MUNO non è la classica denuncia contro il razzismo, bensì contro l'indifferenza di chi, per quieto vivere, preferisce vivere e lasciar vivere; di chi non vuole che un "semplice" episodio di intolleranza razziale, disturbi l'ordine e la calma formale ed infanghi l'immagine di quelle strade pulite e dei giardini curati. L'andamento lento del corto, i pochi e brevi dialoghi, i lunghi silenzi, sono l'emblema dei rapporti, freddi e distaccati, che legano gli appartenenti alla piovosa cittadina belga, che collegano le loro case ed uniscono (si fa per dire) le loro vite. Così come emblematico è l'uso del bianco e nero: un'assenza di colori, di sentimenti, di calore umano, di allegria: "Non rido più. E quel che è peggio è che non faccio neanche più ridere!" (venditore d elettrodomestici).



Di tutt'altro genere è per sceneggiatura, soggetto e tecnica filmica è HELICOPTER: la vicenda è quella della morte di Bill Graham e della sua compagna, a causa di un incidente con l'elicottero. La donna era la madre di Ari Gild, il regista del corto; HELICOPTER è il dramma che vive un ragazzo, un ventenne, alla scomparsa della persona a cui era più legato e che meglio lo conosceva, che era però anche la compagna di una famosa rock star e per questo si trova addosso il peso di una "morte famosa"!
Il cortometraggio è un concentrato di idee (forse anche troppe): scene video, un cartone in bianco e nero per raccontare l'incidente in elicottero, un plastico coloratissimo per il concerto che fu fatto in onore delle vittime, la voce della madre incisa su una segreteria telefonica, le foto di lei, qualche lontano ricordo d'infanzia.
Ingredienti creativi ed originali, che speziano la commovente storia autobiografica di come cambiò la vita di Ari Gold. Abbondanti probabilmente, ma ben gestiti e funzionali ai salti temporali della memoria umana e allo sconvolgimento emotivo che si prova alla perdita di una persona così importante.



Ultimo cortometraggio da tenere in considerazione è POUT, made in Czech Republic (Repubblica Ceca). La scena iniziale è di un interrogatorio che dei poliziotti stanno facendo al proprietario di un hotel, in cui una madre si è suicidata dopo aver ucciso i suoi due figli.
D'effetto la fotografia: un bianco e nero, antichizzato, che agevola il fluido continuum di immagini sullo stesso piano, fra scene del presente - la notte dell'interrogatorio - e flashback, riferiti al giorno precedente.
Con POUT, David Duponchel, il regista, mostra un consapevole uso della macchina da presa e dell'uso degli elementi scenici. È la scena finale, quando i poliziotti si chiedono chi sia il padre del primogenito, quella su cui si regge tutto il corto: perché la camera si concentra sugli
occhi dell'albergatore che si abbassano? Che ci sia un motivo particolare per cui la donna si è suicidata proprio in quell'hotel?
Che i due già si conoscessero? La soluzione risulta incomprensibile all'osservatore nella misura in cui avrà notato o meno il luna park (pout in ceco)fuori dalla finestra, con la ruota panoramica che gira, gira, gira, in un continuo ritorno.
E il cerchio si chiude.


Angelica GABRIELLI
24 - 11 - 01