THE MAN WHO CRIED
di Sally Potter


recensione di
Andrea DE CANDIDO

Quello che certamente non manca a Sally Potter è la fiducia in se stessa, nelle sue idee, ad ogni costo. Chi ne conosce l'opera, da Orlando a Lezioni di tango, sa di una regista che pare non possedere alcun senso (cinematografico) del pudore, inteso come capacità di dominarsi. Intesi: non che questo sia un male. Orlando (1992), a modo suo, è rimasto un film unico: estremo per la scelta di portare quella Virginia Woolf sullo schermo, per il/la protagonista, per Tilda Swinton e per la quasi svergognata adesione ai canoni del cinema di Peter Greenaway. Lezioni di tango poi (1997), giunto ben cinque anni dopo, è senza dubbio un'altra pellicola assolutamente sui generis, con la quale la regista - che ne è anche la star assoluta - ha candidamente narrato la propria passione per il ballo argentino e per Pablo Veron; una scelta che ha irritato più di qualcuno. Fatto sta che, almeno a nostro avviso, pur in tali limiti narrativi, quel film possedeva - ben oltre il "fastidio" intellettuale ed alcune evidenti pecche - un fascino raro, ancor più intenso se lo si pensa in fondo generato da un'assoluta mancanza di sviluppo narrativo.
Ora Sally Potter è tornata con un'altra opera che, già alla presentazione in concorso a Venezia, non ha mancato di innervosire i critici. Suzie (Christina Ricci) è un'ebrea russa in fuga dai pogrom nel '27, il cui sogno americano coincide con il ricongiungimento con il padre. Prima che ciò avvenga farà tappa in Inghilterra e a Parigi, dove con Lola (Cate Blanchett) diverrà comparsa nella compagnia d'opera di Dante Dominio, potente voce italiana con la faccia sghemba di John Turturro. Una delle accuse più frequenti al film concerneva la banalità della messa in scena e l'ingenuità delle situazioni: ciò è pressoché indubbio, e alcune cose sfiorano effettivamente l'umorismo involontario (l'ebreo russo padre della Ricci si chiama Abramovich!). Nonostante ciò, ad apparirci lampante è, ancora una volta, la sfacciataggine di un'artista che ha scelto deliberatamente - ne siamo quasi sicuri - la strada del dejà vu, del facile melodramma, dell'approccio schematico alla storia, anche se è difficile seguirla. Sono troppe, infatti, le cose altrimenti imperdonabili, alle quali, anche alla luce della citata filmografia potteriana, non è plausibile dare più di tanto credito: la neve che cade sempre sui poveri profughi in fuga; l'enfasi delle bombe, in lontananza, ad annunciare l'incombenza della guerra; l'assordante frastuono dei tacchi tedeschi in marcia su Parigi, e la generale meccanicità narrativa di molte situazioni (quella della deportazione della padrona di casa su tutte). Non solo: la Potter sembra aver fatto man bassa di tutta una serie di circostanze e tipi cinematografici abbastanza di moda, mescolandole insieme, non senza un certo calcolo. Sono stati molti, in anni recentissimi, i film che hanno narrato di singoli drammi umani nel contesto del secondo conflitto mondiale (pensiamo a Salvate il soldato Ryan, La sottile linea rossa, Jakob il bugiardo, La vita è bella e altri ancora); e poi gli zingari lanciati da Kusturica: qui, oltre ad essere perseguitati, sono anche gli unici veramente liberi, la cui musica - naturalmente improvvisata - è un'arma più forte di qualsiasi repressione. Johnny Deep (lo tzigano che si innamora di Suzie) è quasi una macchietta: cicatrice sul volto, immancabile dente d'oro pallido e perfino fiabesco cavallo bianco, spesso ripreso al ralenti. Ma non è tutto: seppur velati, la Potter ha inserito alcuni dei suoi marchi di fabbrica, come le variopinte scene in esterni ricche di sgargianti e barocchi costumi mossi dal vento, le corse in carrellata (tutto già visto in Lezioni di tango) e perfino i virtuosismi danzanti (il ballerino zingaro è l'amato Pablo Veron…). Ma allora tutto ciò che scopo avrebbe? E se la Potter avesse semplicemente scelto (vedi anche il cast all-star) di andare per una volta incontro al grande pubblico, magari poco attento ai meccanismi della messinscena e senza peli sulla lingua? Crediamo che, in fondo, la risposta sia proprio questa.


IL VOTO DI KINEMATRIX: 25/30