PLACIDO RIZZOTTO
di Pasquale Scimeca


recensione di
Gabriele FRANCIONI

Ancora la Storia del nostro paese, che colpisce al cuore, in questo film terso e controllato di Pasquale Scimeca, grande documentarista e occhio attento aperto sulle vicende dell'Italia del Sud.
PLACIDO RIZZOTTO ci dice essenzialmente due cose: 1] i migliori film di mafia sono quelli che partono da eventi un po' lontani nel tempo e ben circoscritti, quindi perfettamente leggibili in un contesto storico più ampio; 2] sarebbe sempre auspicabile, quando si deve raccontare la violenza in fieri, lasciare "fuori dallo schermo" assassinii e atti espliciti, concentrandosi sul prima e il dopo.
Nel lavoro di Scimeca ciò avviene puntualmente, come il dopo- assassinio del protagonista, segretario della Camera del Lavoro: nell'ufficio del capo dei carabinieri, il giovane Carlo Alberto Dalla Chiesa, sfilano derelitti più o meno coinvolti nell'agguato [ che vedremo successivamente in flash-back frammentati ] , e sono puntualmente pestati e costretti all'omertà, sì da raccontare una storia "minore" rispetto ai protagonisti dei fatti di sangue, una storia fatta di vite azzerate dall'uso della violenza, eternamente passive e incapaci di ribellarsi a secoli di sopraffazioni .
In quest'ottica, molto belle le sequenze di lavoro nei campi, i piccoli scontri col padre pastore, le panoramiche sui campi e i greggi, accompagnate dalle musiche dei bravissimi Agricantus.
Non un film minore, ma su varie forme di marginalità, compresa quella dello stesso Rizzotto, vittima poco celebrata della mafia postbellica, giustamente interpretato, come pure il resto del cast, da un attore poco noto [Marcello Mozzarella], ma capace di riprendere le indicazioni di un cinema civile [e non politico in senso stretto] che risale ai Petri e ai Rosi. Rispetto ad un SALVATORE GIULIANO, ad esempio, Scimeca privilegia le scene notturne e un tono più sommesso del racconto, scegliendo di lasciar parlare i silenzi, come nella scena dello "stupro" della fidanzata di Rizzotto da parte di Luciano Liggio, il corleonese capo di Cosa Nostra. Notevole, a livello di scelte cromatiche, la fotografia virata sui toni seppia e arancione quando l'azione si svolge in interni.
Rizzotto, che fu anche partigiano, pagò la difesa dei braccianti minacciati dai capimafia e dei contadini, cui venivano continuamente sottratti i terreni per il pascolo, in un contesto lontano anni luce dai metodi sofisticati della mafia degli ultimi vent'anni, ma egualmente privo di aperture e speranza.
Da notare come, nel caso di film girati con attori meridionali poco conosciuti, i risultati siano sempre di altissimo valore drammatico e di adesione immediata alla materia del raccontare, cosa che non accade sempre in più "algidi" e rarefatti prodotti del cinema italiano "altro".


IL VOTO DI KINEMATRIX: 27/ 30