I CENTO PASSI
di Marco Tullio Giordana
recensione di
Andrea DE CANDIDO
Dopo quella di Pasolini (Pasolini un delitto italiano, 1995), Marco Tullio
Giordana ha scelto di trasporre anche l'autentica vicenda di Peppino Impastato,
il giovane freelance siciliano ucciso perché - proprio negli anni
in cui Ligabue apriva Radiofreccia - dai microfoni di un'emittente amatoriale
si prendeva gioco del "diritto" mafioso a Cinisi e del padrino
locale Tano Badalamenti, suo zio.
Parlare serenamente de I cento passi necessita di una premessa, perché
è difficile non chiedersi se abbia ancora senso - alla luce delle
mille piovre e di tutto un cinema "mafioso" che parte da Francesco
Rosi per giungere, attraverso Damiano Damiani, a Ricky Tognazzi - mettere
in piedi simili operazioni; e questo indipendentemente dall'effettiva
qualità dei singoli film (e I cento passi è un buon film).
In altre parole, pur nell'assoluto rispetto per chi tali vicende ha vissuto,
il rischio del dejà vu e della mancanza di interesse - persino
nel corso della visione stessa, se non ancor prima della distribuzione
in sala - ci sembra alto. E poi c'è la questione della radice storica
e dell'elevato valore di compartecipazione che ne consegue, il cui peso,
nel formulare un giudizio estetico, si manifesta, per soggezione, in tutta
la sua invadenza. Ecco perché nel censurare film come La vita è
bella si rischia l'impopolarità, ed ecco una delle spiegazioni
dell'imprevisto successo post-veneziano del lavoro di Giordana. Se è
dunque innegabile - nonché ammirevole - che per merito del film
quello di Impastato sia oggi più di un nome, e che anche l'insabbiamento
iniziale della matrice criminale all'origine della sua morte sia senz'altro
meno efficace, ciò non cancella le stonature di cui abbiamo parlato:
un non trascurabile fardello con il quale bisognerà, prima o poi,
venire a patti, specie in conseguenza del molto dibattere sui limitati
orizzonti del cinema italiano, intesi anche in termini di effettiva esportabilità.
Ciò detto, il più sicuro punto di forza de I cento passi
è l'inedita angolazione attraverso la quale Giordana ha riletto
uno dei temi-simbolo degli anni Settanta/Settanta: il conflitto generazionale.
Gli scontri tra Peppino e il padre sono infatti diretta conseguenza della
ribellione del giovane nei confronti dello status quo mafioso, che l'uomo
invece accetta come necessario. Il desiderio di libertà va qui
a scontrarsi però con un sistema troppo rigido per tollerare l'esistenza
del proprio contrario: eliminato il cancro, tutto torna alle origini.
Non ci sono picchi di stile nella pellicola di Giordana, ma domina un
cast in cui il volto di Tony Sperandeo (non lontano dal suo ruolo-tipo
ma sempre bravo) si accompagna a scoperte come Luigi Lo Cascio (Peppino)
e Luigi Maria Burruano (il padre), davvero notevoli per quanto, come in
poesia, l'adozione del linguaggio dialettale favorisca non poco la forza
dell'operazione.
IL VOTO DI KINEMATRIX: 27/30
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