ESTATE ROMANA
di Matteo Garrone
recensione di
Gabriele FRANCIONI
Ci sono registi, o presunti tali, che dovrebbero meditare a lungo sulla
natura del loro fare, sulle reali necessità di tradurre un malessere
diffuso nel quale sentono di vivere, o che credono di vedere attorno a
sé, in qualcosa di vagamente somigliante all' opera d'arte.
Matteo Garrone è senz'ombra di dubbio un ragazzo simpatico, forse
anche un potenziale documentarista, cui un giorno qualcuno ha fatto credere
di essere, appunto, un "regista".
Questo qualcuno è Nanni Moretti, l' Autore che tanto bene fece
al cinema italiano qualche tempo fa, ma che è responsabile, con
i premi assegnati dal suo festival Sacher dedicato alla promozione di
nuovi talenti [?], della proliferazione di imbarazzanti pellicole, firmate
dagli ex-vincitori di quel concorso per cortometraggi. Nina Di Majo, Giovanni
Davide Maderna, già presenti, con esiti imbarazzanti, alla scorsa
edizione della Mostra veneziana, e Garrone si sono tutti "laureati"
al minifestival col nome di torta e tutti denunciano infinite incertezze
nell'organizzazione di una qualche struttura narrativa e assoluta mancanza
di personalità nel tentativo di abbozzare uno stile. Ma, ripeto,
la colpa è di chi li ha premiati e, successivamente, aiutati a
girare il loro primo lungometraggio, quando avrebbero dovuto iniziare
a studiarsi la storia del cinema e i primi rudimenti di una qualche tecnica
di regia
Come autore di corti, Garrone non è neanche male: ricordiamo a
proposito la leggerezza di SILOUHETTE, primo episodio del precedente TERRA
DI MEZZO, in cui dava voce alla vitale sofferenza
presente nelle esistenze di alcune prostitute nigeriane della periferia
romana, tra bruciati campi pasoliniani [ ma anche simili a certe cose
di Corsicato, segnatamente I BUCHI NERI ], umanità marginali e
sguardo non compassionevole su quella realtà.
ESTATE ROMANA, invece, semplicemente non c'è come film, non esiste,
tale è la sensazione di irritante pressappochismo e spocchiosa
esibizione di inettitudine -artistica ed etica- elevata ad auspicabile
condizione di vita e ad unica forma resistenziale di un'ideologia [quale?],
che vive la quotidianità della Roma del giubileo quasi fossimo
ancora nel 1977, capace solo di constatare passivamente quanto siano cambiati,
in peggio, il mondo, la politica, gli "altri" : insomma, un
brutto filmino girato con la mano sinistra [ nel senso di quella che non
sa tener ferma la m.d.p., a meno che anche questa non sia una precisa
e ferma scelta di stile, da intendere quale neo-nouvelle-vague de noantri
..
] gironzolando penosamente tra zombi votati al nulla.
Ci viene in mente una battuta dello stesso Moretti, in ECCE BOMBO [ film
qui pesantemente e tristemente saccheggiato, vista l'assenza di idee,
almeno una dozzina di volte ]. Rivolto al più passivo dei suoi
compagni, dice: "[
] Vedi, anch'io sono triste, ma di un triste
teatrale, vitale
tu, invece, sei TRISTE-SQUALLIDO
". Rossella,
ex-attrice di teatro d'avanguardia [quale?], e Salvatore, non-scultore
di oggetti in cartapesta, impersonano se stessi e sono, senza cattiveria,
tristi-squallidi, mentre si chiedono "come faccio a non scomparire?"
e mentre attraversano le non-vicende della storia qui raccontata con la
decisione di un cavallo drogato. Siamo seriamente interessati a sapere
se ESISTE REALMENTE QUESTA UMANITA' !!! Gli indiani metropolitani del
'77, i movimentasti dell'epoca erano ben diversi e "agitati"
! Hanno cambiato pelle rimanendo uguali dentro [ mi viene in mente Bifo
], mentre i desperados di ESTATE ROMANA vegetano in un limbo temporale
che ci comunica solo un' infinita angoscia
Per l'ennesima volta, la colpa è di Moretti, perché lui
stesso continua a credere che il cinema non debba essere anche il COME
oltre al COSA, mentre dovrebbe convincersi che BIANCA e LA MESSA E' FINITA,
questo il suo capolavoro, devono molto alla presenza di una forte sceneggiatura
e di una struttura inattaccabile. Aiutando i Maderna, le Di Majo [ insopportabile
il suo AUTUNNO, vero e proprio omaggio "fuori tempo massimo"
al mentore romano ] e i Garrone, il regista di APRILE fa del male a se
stesso, alla sua fama e al cinema italiano in generale, che sarà
sempre più, e irrimediabilmente, una sciatta riproposizione di
infinite frustrazioni culturali e private di una o più generazioni
di perdenti.
ESTATE ROMANA, come ormai è chiaro, non ha una trama, né
uno sviluppo. C'è una proprietaria di appartamento, la Rossella
di cui sopra, che condivide con gli inquilini età ed esperienze
e insieme ad essi gira la Capitale nel tentativo di vendere o comunque
piazzare da qualche altra parte un mappamondo realizzato su commissione
dallo scultore che nell'appartamento vive con un'amica.
Lo stream of consciousness dell'ex teatrante, ex di tutto, forse anche
ex-di-se-stessa, incapace com'è di accettare la realtà circostante,
è accompagnato dall'analogo "irrefrenato" flusso disordinato,
piatto, sciatto d'immagini che descrivono questo viaggio al centro della
notte-giorno di una Roma ingiallita e accaldata, soffocante e allo stesso
distante, quasi a volersi comunque differenziare da tale umanità
ciondolante e passiva, mentre la nuova linfa vitale degli extracomunitari
è molto più colorata e ottimista, nel suo cimentarsi con
esigenze di sopravvivenza quotidiana, laddove gli altri boccheggiano tra
un singulto post-beckettiano e disperanti mancanze di talento creativo.
Un'indicazione, questa, che dovrebbe far meditare i succitati Maderna,
Di majo
.
Mentre a Moretti auguriamo, col prossimo, misterioso film, di superare
gli analoghi impacci di APRILE, lavoro anch'esso ripiegato su se stesso
e segnato da uno sterile autobiografismo tra il generazionale e il privato.
IL VOTO DI KINEMATRIX: il più basso possibile
|