PICCOLO GIOTTO E I GIGANTI
di Mario Sesti
Come ci diceva Stefano Della Casa durante l'ultima Mostra del Cinema,
dobbiamo ormai cominciare ad abbattere, in fase di giudizio critico, gli
steccati tra cinema di fiction e documentari, nel senso di restituire
il giusto credito a prodotti solitamente confinati entro una fascia bassa,
che risultano essere, sempre più spesso, il risultato di creatività e
sensibilità molto più libere di quelle abituate a frequentare i territori
tradizionali della settima arte.
Mario Sesti, critico tra i più attenti e responsabile per anni dei restauri
delle nostre pellicole storiche finanziati da Mediaset, è riuscito nell'impresa
di coniugare intento didattico e omaggio appassionato, all'interno di
una piccola grande opera: la vita di Enzo Verzini, uno dei maggiori esperti
mondiali nello sviluppo e stampa del bianco e nero, collaboratore di Fellini,
Germi, Rosi, De Santis, Visconti e molti altri, raccontata con mano delicata
e attraverso scelte di regia mai scontate. Passione e ironia, da sempre
alla base del nostro cinema, animano il racconto di Sesti, che sceglie
di ripercorrere in parallelo la vita di Verzini e l'opera dei registi
con cui ha lavorato. Orfano a dieci anni di entrambi i genitori e costretto
ad attraversare in parallelo i travagli di una vicenda personale sofferta
e il dolore condiviso della guerra, è egli stesso un potenziale piccolo
eroe del cinema neorealista, che ha scelto di stare dietro la macchina
da presa, piuttosto che davanti, anche se come semplice artigiano al servizio
di personalità, ad esempio, del livello di Gianni Di Venanzio, il poeta
del bianco e nero, oggi noto come uno tra i maggiori direttori della fotografia
italiani, certamente grazie all'aiuto di Enzo.
Il documentario alterna immagini simbolo della nostra storia cinematografica
ad altre di Verzini che racconta di sé, aggirato dall'obiettivo di Sesti.
Un personaggio che conserva la memoria, e della cui opera Sesti ha voluto
portare testimonianza, perché il film (e il regista lo sottolinea più
volte) ha il medesimo valore umano di un affresco o di un'incisione rupestre:
"…se Leonardo fosse stato un filmaker, fosse oggi non conosceremmo la
opera…" .
La regia di Sesti ha scelto una strada a metà tra il documentario, l'intervista
e la ricerca di atmosfere non poi così lontane dalla tradizione di commedia
nazionale, in ciò aiutato anche dalla romanesca vitalità di Verzini, che,
come ha detto Pontecorvo, non possiede certo quella che normalmente definiamo
"cultura", ma capace di risolvere, in poco più del tempo necessario allo
sviluppo in camera oscura, complessi problemi di estetica e di linguaggio,
dando alla sua fotografia un'incisività che ha fatto la storia di pellicole
come OTTO E ½. Oggi, per fortuna, è lui a curare il restauro di quanto
aveva contribuito (certo all'insaputa di molti) a creare, appare forte
della sua tecnica, ma preoccupante nella sua solitudine.
leggi
anche l'articolo di
Mario SESTI su kwCinema
|