LA RICOTTA
di Pier Paolo Pasolini
un saggio di
Roberto RICCO'
Al di fuori dei fatti eclatanti di cronaca, l'Italiano medio che oggi
non sia politicamente impegnato e "militante" tende sempre piu' a non
comprendere (se giovane) o a dimenticare (se non piu' giovane) le ragioni
di opere artistiche e intellettuali che si schierino - a torto o a ragione
non sta a noi stabilirlo in questa sede - "contro" i valori e le ipocrisie
borghesi. E si stenta piu' che mai, in questi tempi di apparente liberta'
espressiva, a comprendere le ragioni di un apparato censorio fino a qualche
decennio fa efficientemente operante in difesa proprio di quei valori.
In realta' la censura oggi opera ancora, per quanto in modo subdolo ma
altrettanto efficace, seguendo non piu' i criteri della morale, ma quelli
del mercato. I film oggi vengono tagliati su misura per la tv (le produzioni
tengono conto anticipatamente delle esigenze della prima e della seconda
serata). Ma negli anni '60 e ancora nei '70, si potevano ricacciare nel
dimenticatoio film del calibro di Ultimo tango a Parigi di Bertolucci
(divenuto famoso proprio in virtu' della sua eliminazione), solo dalla
meta' degli anni '80 liberato dal limbo dell'oscurantismo politico. Gia',
perche' le istituzioni, per poter colpire opere "pericolose" per l'identita'
della classe media, si appellavano a pretesti come l'oscenita' o il vilipendio
alla religione. Pretesti, perche' a volte di quei reati non vi era traccia.
E se nel caso di Ultimo tango il pretesto era l'oscenita', per vilipendio
fu condannato Pier Paolo Pasolini per il suo La Ricotta, film del 1963,
che rientra quest'anno anche nella programmazione televisiva italiana,
al fianco di altri capolavori, in occasione del venticinquennio della
morte del Maestro. Fortunatamente la pellicola fu piu' fortunata di quella
citata di Bertolucci, poiche' venne dissequestrata nello stesso anno di
edizione, e pote' essere proiettata integralmente nel 1964.
Oggi la quasi totalita' della critica non ha paura di esaltare le opere
di Pasolini, avrebbe eventualmente paura a non farlo. E la televisione,
deputata a formare i giovani nella storia del cinema, adotta la mezza
misura (legalmente corretta, a dire il vero), di mostrare quanto si puo'
mostrare, e di tagliare il resto. Celebri sono infatti i tagli di censura
operati da Mediaset sui nudi integrali della pasoliniana Trilogia della
vita. Quanto a La ricotta, viene trasmesso integralmente, perche' oggi,
se il sesso non "problematico" e' ben tollerato, l'accusa di bigottismo
riguardo al trattamento di temi religiosi cozza con la coscienza laica
dell'Italiano medio.
La ricotta e' un mediometraggio di trenta minuti, inserito come quarto
episodio del film RoGoPag (Rossellini, Godard, Pasolini, Gregoretti).
La storia ruota intorno alle riprese di un film sulla Passione di Cristo,
girato nella periferia romana (il sottoproletariato e' il vero depositario,
per Pasolini, del messaggio evangelico). Il regista e' interpretato da
Orson Welles. Mario Cipriani e' Stracci, poveraccio che deve interpretare
il ladrone buono. Sempre affamato, dovendo per giunta rinunciare ben 2
volte al cestino del pranzo degli attori, Stracci si rifara' con un'abbuffata
di ricotta acquistata col ricavato della vendita del cane che gli divoro'
il secondo cestino. In piu', mangera' gli avanzi di un banchetto della
produzione, propinatigli perfidamente dai membri della troupe in una sorta
di "derisione" cristologica. Al momento di girare la scena della crocifissione
di Cristo, Stracci muore per indigestione sulla croce.
Interessante e' l'uso del tableau vivant, il quadro che prende vita. Le
opere prescelte per quest'operazione sono due: la Deposizione del Pontormo
e l'omonima opera di Rosso Fiorentino (nella sceneggiatura originale solo
il dipinto del Pontormo doveva essere ricostruito, quello del Fiorentino
fu evidentemente un'aggiunta in fase di ripresa), due opere simili che
spesso vengono accostate anche nei libri d'arte per le scuole. Dunque
si propone un tipo di immagine appartenente al Manierismo, in qualche
modo persino affettata, che simboleggia, stando anche alle parole dello
stesso Pasolini, un modo sbagliato di usare la cultura figurativa, un
modo sbagliato di fare film religiosi, ma anche un tipo di religiosita'
finta. Non si puo' credere che Pasolini avesse del Manierismo un'idea
stereotipata secondo i dettami evoluzionistici della storia dell'arte,
ma si tratta di un riferimento preciso ad una cultura profondamente diversa
da quella, ad esempio, medioevale di Giotto, cui si sentiva profondamente
legato. In altri termini, quei quadri viventi sono l'immagine dello spirito
e del tipo di religiosita' del regista intellettuale borghese, che e'
un cattolicesimo falso, "di maniera" di quella classe sociale; e' il tipo
di atteggiamento, ad esempio, dei produttori che, giunti sul set, banchettano
beffardamente ai piedi della croce (questo e' il vero vilipendio, non
quello che valse la condanna a Pasolini, ma quello del consumismo, dell'insensibilita',
della vacuita' di simboli e riti, di contro ad uno spirito evangelico
piu' autentico e popolare). Infatti Pasolini non avrebbe certamente vilipeso
gratuitamente la religione cristiana, ne' quella fede nella quale, nonostante
l'impegno politico, continuava a riconoscersi. Metafilmicamente, notiamo
il rilevamento delle contraddizioni della cultura e dell'arte: il tableau
vivant risponde alla volonta' estetizzante del regista (interpretato da
Orson Welles), dichiaratamente marxista (ma quanti in quegli anni si dichiaravano
tali per poter assurgere al pantheon degli intellettuali vittime del sistema?).
Ma - e qui sta la cosa piu' interessante - Pasolini stesso era regista
in un certo senso estetizzante: egli non concepiva il cinema se non attraverso
la storia della cultura figurativa, anzitutto pittorica. Infatti Orson
Welles altri non e' che lo stesso Pasolini (a scanso d'equivoci lo vediamo
leggere un suo libro).
In fondo, con "La Ricotta", Pasolini non vuole fare un film di sola denuncia,
ma mettere in luce le contraddizioni del mondo borghese cui lui stesso
apparteneva, contraddizioni insite anche nei processi creativi e produttivi
del film, nonche', in ultima analisi, nella stessa critica cinematografica.
Pensiamo ad esempio all'accusa di "film estetizzante" mossa dai critici
militanti contro "Senso" di Visconti (1954), considerato come un tradimento
al neorealismo rispetto, ad esempio, a "La terra trema". Tuttavia, il
quadro vivente non e', in questo contesto, citazione, rivendicazione di
liberta' artistica, ma rimane unicamente denuncia.
"La Ricotta" e' un film che oggi puo' darci un'idea non solo di grande
cinema italiano, ma anche di cio' che in quegli anni girava intorno, o
stava dietro un film, e infine apre una finestra sulla storia anche politica
del Bel Paese, senza sensi di colpa o ipocrisie.
La ricotta (episodio di RoGoPag) - 1963
Soggetto e sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini; fotografia (bianco e nero
e colore): Tonino Delli Colli; scenografia: Flavio Mogherini; costumi:
Danilo Donati; musica: Caro Rustichelli; montaggio: Nino Baragli; interpreti:
Orson Welles (il regista), Mario Cipriani (Stracci), Laura Betti (la diva),
Edmonda Aldini (la seconda attrice), Vittorio La Pagli (l'intervistatore),
Ettore Garofolo, Maria Bernardini.
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