sabrina pisu






Ho riflettuto spesse volte sulla realtà del cinema di oggi guardando le fotografie di Francesca Woodman, una fotografa americana, nata alla fine degli anni '50, che negli anni '70 porta al culmine la sua esperienza artistica attraverso il suo corpo che nudo compiva un percorso di sperimentazione e ricerca negli spazi claustrofobici di una camera chiusa e semibuia.
La Woodman ha sviluppato una poetica personale perfettamente in armonia con la Transavanguardia della fine degli anni '70, quando si tentava di riportare la ricerca artistica verso la narrazione e la figurazione. Francesca usa l'autoritratto e l'autoritratto rende indispensabile che il suo corpo sia nudo e insieme ad esso la propria anima. L'artista che ricerca se stesso come uomo. Una ricerca creativa e interiore allo stesso tempo a cui fanno da supporto due sentimenti: la paura e la speranza. Paura, ansia di non essere, speranza con cui lei consegna al mondo se stessa e il proprio lavoro: assoluto, poetico, esistenziale.
Francesca Woodman realizza una vera e propria umanizzazione nell'uso e nei risultati del mezzo fotografico. Vorrei che il cinema compisse questo processo di umanizzazione, che vuol dire riappropriazione della specificità del proprio mezzo espressivo. Il lavoro di Francesca è stato un lavoro duro, di ricerca assoluta, di amore, di tensione verso l'immagine che sfugge: quella di se stessa e del mondo. Questo è tutto quello che oggi manca al cinema. Un cinema fatto di film che con la stessa velocità con cui escono scompaiono, così come le locandine che li rappresentano strappate e dimenticate nelle strade, un cinema fatto di lavoro superficiale, di gente che non crede in esso ma nei soldi che ne può ricavare, di immagini autocelebrative che con lo scopo di stupire ripiegano e muoiono in se stesse, davanti ad uno spettatore che soffre così come si soffre vedendo morire le cose che si amano.
Spero che il cinema torni a lavorare seriamente e ristabilisca un rapporto vero col mondo, un rapporto che non può che essere conflittuale poichè lo spazio della vita sfugge e non basta quello specchio ovale di cui si serviva la Woodman per cogliere se stessi e l'esterno. Vorrei che il cinema accogliesse tra le sue braccia quelli che lo amano e che sono disposti a lavorare veramente per farne rinascere lo spirito autentico che è quello artaudiano della crudeltà:"ho detto crudeltà come se avessi detto vita o necessità" (Antonin Artaud).
Quello che spero è un cinema coraggioso, "crudele" che conscio della propria forza sappia scuotere lo spettatore, farlo riflettere e appassionare alla vita. Quando guardo le fotografie della Woodman o leggo le pagine visionarie di Artaud o rivedo i film che hanno fondato il cinema penso che la ricerca artistica sia tale solo quando investa l'uomo nella sua totalità.
Quello che spero per il cinema è che con questo nuovo anno inizi un processo di riflessione, non una riflessione intellettualistica e sterile ma una riflessione interiore che ogni artista compia dentro di sé.




kinematrix per il 2001
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