IN THE MOOD FOR LOVE
di Wong Kar-wai
con Maggie Cheung, Tony Leung, Lai Chen
recensione di
Sabrina PISU
L'amore colto nella sua purezza, spiato mentre nasce su un pianerottolo
tra un uomo e una donna forse insoddisfatti della loro vita coniugale.
Wong Kar-way lo segue con i movimenti lenti di una cinepresa che riesce
a cogliere con minuzia l'atmosfera umida e i dettagli di una Hong Kong
dei primi anni sessanta ma a cui qualcosa sfugge di quell'amore, che non
si lascia afferrare, cogliere nella sua pienezza. Un vicolo stretto, a
spirale, costituisce lo scenario di tanti incontri brevi ma intensi, in
cui i loro corpi quasi si sfiorano e con lo sguardo si seguono in una
danza sinuosa e sensuale, in cui i pensieri più intimi si confessano.
La pioggia dovrebbe fermarsi e con essa loro che fuggono da un amore inconfessabile.
I ralenti rilevano una malinconica rassegnazione alla vita, i movimenti
spesso verticali della macchina da presa costruiscono ambienti claustrofobici
in cui il regista s'insinua e spia ogni cosa.
Un amore fatto di ombre, strade buie , parole non dette, telefonate non
fatte.
Un amore di corpi che si staccano da quella terra desolata e si ritrovano
in un altrove che a noi non è concesso di vedere. Dietro il silenzio si
nasconde forse il tormento di chi ha cercato per tanto tempo quel luogo,
e ora lo ha trovato. La paura di essere se stessi fino in fondo spinge
Chow e Li-zhen a nascondersi dietro le porte che chiudono le loro case
vuote. Non fanno altro che uscire e vagare soli, perdersi e incontrarsi,
stupirsi di un sentimento che può solo essere coltivato come un segreto,
mentre i vicini di casa parlano e giocano, contrastando con la loro vitalità
la lentezza e pacatezza di loro due, mossi dentro dal desiderio.
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I vestiti di lei, lucenti su un viso cupo, falsamente sicuro di sé, non
sono altro che i suoi desideri che si fanno stoffa pregiata e fanno vibrare
il suo corpo esile tra le vie, dove solo la pioggia l'accarezza con la
sua costante e triste presenza. Ogni connotazione temporale si scioglie
nel suono delle gocce e nel loro scivolare sull'asfalto.
Sono due solitudini che si aggrappano disperate alle storie che si raccontano
per difendersi l'una dall'altra, sui loro coniugi che non esistono, nel
film così come nelle loro esistenze fatte di cene comprate e consumate
velocemente.
Delicate le loro voci, sempre avvolte da un silenzio che sembra soffocarle,
delicati i loro passi tra le strade di una città che sembra ignorarli,
deserta, arida.
Un amore che prima timido attende di volare e quando lo fa ci lascia troppo
lontani per vedere e quindi confusi, perché pensiamo di aver perso qualcosa
e ci chiediamo cosa.
Non abbiamo perso niente, se non il mistero di un amore che non ci appartiene
e che si dissolve tra le note di una canzone latina di Nat King Cole,
l'unica vera testimone di quest'amore poiché ne costituisce l'essenza
ultima.
Questo film ha conteso al festival di Cannes la Palma d'oro al film di
Lars von Trier, vincendo invece solo il premio per la migliore interpretazione
maschile, con l'attore Tony Leung (uno dei migliori attori in Oriente,
interprete di "la città del dolore" di Hou-Hsiao-Hsien, "Hard boiled"
di John Woo, "Happy Togheter" di Wonh Kar-way).
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Un film ricco di rimandi ad Antonioni (personaggi ripresi di spalle o
ritagliati da corridoi e porte, minuta attenzione sugli oggetti in primo
piano), anche se il regista ha affermato di essersi ispirato al cinema
di Hitchcock, con l'intenzione di voler ricreare un'atmosfera da thriller,
in cui tanto posto occupa l'immaginazione. Wang Kar-way ha tirato fuori
l'anima del mélo realizzando un film poetico che riecheggia "Breve incontro"
di David Lean.
Il regista ama partire sempre da sceneggiature ridotte all'essenziale
per lasciarle vivere della spontaneità e improvvisazione dei suoi attori.
Uno dei film più belli diretti dal regista hongkonghese e forse il più
bello dell'intera competizione di Cannes.
IL VOTO DI KINEMATRIX: 27/30
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