DEGENERE

Con Degenere Rimini capitale dei cinefili

Il cinema Fulgor di Rimini è tornato agli antichi splendori felliniani durante i cinque giorni di DEgENERE, rassegna a cura di Fabrizio Grosoli, realizzata grazie al sostegno della cineteca cittadina, diretta da Gianfranco Miro Gori. A fronte del budget limitato, la chiarezza d'intenti degli ideatori ha dato vita ad una manifestazione di grande interesse: quattro sezioni per affrontare diverse forme di interpretazione "deviante" dei canoni di stile e contenuto legati al concetto dei generi cinematografici. La risposta del pubblico è stata superiore alle aspettative e, in modo particolare, sono stati apprezzati gli incontri con personalità provenienti da altre discipline (Umberto Curi, Isabella Santacroce, Edoardo Sanguineti, Daria Galateria e Giorgio Celli) nell'ambito della sezione "Un film della mia vita" cui ha partecipato una platea competente e appassionata. Capita raramente, ad esempio, di assistere ad uno scambio di opinioni sull'emancipazione femminile alla fine dell'800, come quello tra il filosofo Curi e gli spettatori, seguìto alla proiezione di Adele H..
Ma la sezione più in linea con le premesse contenute nel titolo della rassegna è stata, non a caso, "Mondo Degenere". I contesti e i personaggi dei film hanno chiarito non solo a livello di contenuti un interesse verso realtà socio-politiche deragliate (Marsal, Orfeu) o verso un'idea del Male attivato in forme più esplicite (Lupo Mannaro, From Dusk Till Dawn 3), ma anche l'intento di rivisitare, in maniera deviata, generi quali il fantasy-movie di Peut-Etre senza dubbio la pellicola migliore del festival. Ogni nuova opera di fantascienza, ci porta sempre più verso un futuro/passato dove i cliché della modernità sono scomparsi e l'apparato tecnologico, impacciato e retrò, fa da controcanto a un'umanità che ha perso il centro e ogni senso di appartenenza. Ecco la Parigi coperta dalle sabbie portate dal vento maghrebino, i cammelli che passano accanto ai tetti degli edifici e i segni dell'avvenuta colonizzazione al contrario da parte algerina. Nonostante lo spunto iniziale del figlio settantenne che, dal futuro, chiede al genitore, restio, d'essere concepito, il film non indugia nel gioco degli equivoci dovuti all'inversione dell'età anagrafica dei due, mentre indaga felicemente i dubbi e le ansie di una generazione-X che non vede e non si vede al di là dei problemi materiali legati alle bollette da pagare.
Orfeu di Carlos Diegues, rappresenta il mito greco in chiave di tragedia contemporanea ambientata nelle favelas di Rio de Janeiro: ne nasce un musical atipico dove le cadenze della bossanova entrano in cortocircuito col gangsta-rap dei teppisti e la m.d.p. segue irrequieta i colori del carnevale e l'instabilità dei sentimenti fin dentro le baracche. Il film sta all'Orfeo negro di Marcel Camus/Vinicius de Moraes come "Romeo+Giulietta" di Luhrmann alle pellicole di Czinner e Zeffirelli. In Marsal del croato Vinko Bresan, alcuni abitanti di un'isola credono di vedere un ectoplasma che ha le fattezze del maresciallo Tito, il comunista che ruppe con Stalin: ribaltando l'idea del sottosuolo adottata da Kusturica in Underground, i toni della commedia diventano metafora di un paese che non ha saputo affrontare la perdita del proprio uomo-guida, e per il quale il passato è sempre pronto a riemergere.
Wild Side è la discesa agli inferi di un terzetto anomalo, due donne strette attorno al fulcro del Male Christopher Walken. Anne Heche e Joan Chen, mai così sensuali e diverse dai ruoli precedenti, individuano il cuore di tenebra nell'intreccio di dramma finanziario, alta prostituzione e amore saffico. Nella versione director's cut dedicata alla memoria del regista suicida Donald Cammell, degenerato autore del cult Performance, Walken è superbo nel dettare i tempi di un'opera malata e vitale al tempo stesso. Destinato, in Italia, al mercato video, From Dusk Till Dawn 3 di P.J. Pesce è - come il progenitore diretto da Robert Rodriguez - la sintesi ideale del concetto di "de-genere" per i contenuti decisamente "mutanti" e per la capacità di fondere road-movie, western e film di vampiri.
Quasi a saldare il debito contratto, da Pulp Fiction in poi, con la scuola cinematografica del lontano oriente, i festival e le rassegne del settore si impegnano da un paio d'anni a rendere costante lo sguardo verso una produzione ricchissima e vitale. Rimini non si sottrae alla regola e propone anche la sezione "Far East Mafia", che di quello sfaccettato panorama è specchio fedele. Non sappiamo se frutto del caso o di una scelta, ma i film presentati sono tutti accomunati da uno stile che predilige scansione da ritmi riflessivi e controllati rispetto alla produzione di un Woo o di Tsui Hark. È così in Pornostar di Toshiaki Toyoda, addirittura catatonico, dove un angelo sterminatore inespressivo attraversa questa yakuza-story, facendosi centro gravitazionale del racconto, che accumula situazioni narrative assi poco chiare: all'opposto di uno dei capolavori di Takeshi Kitano, Sonatine, massimo esempio di rivisitazione d'autore di uno tra i generi più popolari del cinema giapponese.

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