Festival noir di Courmayeur
Giovedì 7 dicembre 2000

da Courmayeur Elena SAN PIETRO


UN DELITTO IMPOSSIBILE
di Antonello Grimaldi
con Carlo Cecchi, Angela Molina e Rinaldo Rocco

 

 

Quello che salta subito agli occhi è una fotografia accattivante e ben curata. Grimaldi crea sapientemente l'atmosfera del giallo attraverso un uso particolare della luce in correlazione agli spazi rappresentati: gli interni di case private, uffici e tribunali sono spesso immersi in una penombra soffusa che avvolge i personaggi, i loro volti emergono soltanto in fugaci scorci di luce per poi nascondersi nuovamente nell'ombra. Allo stesso modo ogni personaggio nasconde un segreto, un desiderio ossessionante, un secondo fine, un vizio; perfino il protagonista Piero, un giudice incaricato di indagare su un delitto inspiegabile, nasconde un principio di alcolismo. A questo punto occorre spendere due parole sull'attore che interpreta il personaggio principale, Carlo Cecchi, che proviene da una solidissima formazione teatrale (anche in qualità di regista). Il regista afferma di aver espressamente scelto Cecchi in quanto la sua personalità forte, ma al contempo cinica e disincantata, ricalca perfettamente le caratteristiche del giudice Piero: un tipico eroe noir.
Amareggiato, vecchio, incarognito, il giudice trae la sua forza proprio dalla saggezza, dall'esperienza e dall'ironia più che da un ingenuo idealismo o da colpi di testa, tanto che alla fine (conclusione insolita per un poliziesco) egli rinuncia ad affermare una verità scomoda che non interessa a nessuno. UN DELITTO IMPOSSIBILE pone il problema della verità in contrapposizione alla giustizia degli uomini: ognuno impugna la sua personale interpretazione dei fatti, la realtà oggettiva si dissolve in un disarmante relativismo gnoseologico, la verità, come affermavano i sofisti, "è solo un fatto di convincimento". Scrive Grimaldi nelle note di regia: "Cosa succede se a cercare e a trovare questa verità è un giudice, cioè la persona che, quasi per definizione, dovrebbe dedicare la sua vita a questa ricerca? Verità e giustizia sono sempre la stessa cosa? Oppure una vale più dell'altra? Ed un giudice quale dovrebbe privilegiare? Ecco, UN DELITTO IMPOSSIBILE parla anche di giustizia. E di giudici. L'investigatore protagonista è un giudice, la vittima è un giudice, i maggiori sospetti sono giudici, forse anche l'assassino è un giudice. Ma, al tempo stesso, questi giudici sono personaggi completi: sono loro che parlano, devono, si innamorano, mentono, si ubriacano, prendono il sole, corrono, dormono, ingrassano, hanno paura, mangiano, indagano, muoiono. Sono eroi, vigliacchi, mediocri, appassionati, bugiardi, onesti, nemici, testardi. Ma, soprattutto giudici. Alla ricerca della verità, di una verità. E non capita spesso di poter raccontare questa categoria, una delle più importanti oggi nel nostro paese, quasi dall'interno, per poterli capire e, forse, giudicare meglio ".
Continuando a parlare di attori trovo giusto citare il giovane co-protagonista, Rinaldo Rocco, un volto che sicuramente ritornerà nel panorama del nuovo cinema italiano. Fra le interpreti femminili spicca l'eccezionale Angela Molina, protagonista, insieme a Francesca Neri, del bellissimo CARNE TREMULA; anche in questo film la Molina dà vita al personaggio di una donna passionale, Lauretta, che si lascia coinvolgere in una storia d'amore lacerante e masochistica con la vittima. La donna mette in moto una catena di passioni non ricambiate, a partire da suo marito che accetta e favorisce l'adulterio pur di non perderla, pur di vederla partecipe di una felicità che la sua natura non le concede: la dipendenza ed il sacrificio sono solo uno dei mille volti dell'amore. Lauretta è umiliata da un amante che la disprezza, ma il suo personaggio non scade mai nel patetico e credo che il merito sia soprattutto dell'attrice, una di quelle donne "forti" tanto care ad Almodovar.



UN DELITTO IMPOSSIBILE non si limita solo agli ingredienti classici del giallo: l'omicidio, un passato torbido ed irrisolto, inseguimenti e colpi di scena, ma tratteggia con delicatezza ed attenzione anche temi più vasti come l'amore, l'omosessualità e l'incesto, mostrando come la passione, più dei soldi, faccia girare il mondo. Il delitto si fa "impossibile" proprio poiché la vittima è quasi "un santino da beatificare", uno dei cittadini più amati, forse troppo amati.
Per il resto il film è una sottile e laboriosa ricerca a focalizzazione interna: lo spettatore s'identifica completamente con il giudice Piero e ne segue i continui interrogatori che talvolta rallentano eccessivamente il ritmo complessivo. Per evitare, almeno parzialmente, la monotonia nelle scene di dialogo Grimaldi include entrambi i personaggi nella stessa inquadratura e fa ondeggiare morbidamente la macchina da presa intorno a loro. Quest'espediente originale permette di evitare il passaggio obbligato di campo e controcampo e rende più fluido l'insieme. Parlando con Grimaldi ci si rende conto di quanto sia spesso frustrante, per un regista, dedicare tempo e fatica per ottenere una messa in scena ottimale: il più delle volte non sarà riconosciuta dal grande pubblico, ma solo "subita" inconsciamente. Allo stesso tempo, però, Grimaldi si è potuto consolare con la commossa approvazione del pubblico che ha visto rappresentare una terra meravigliosa come la Sardegna lontano dai soliti stereotipi di pecore e banditi, attraverso la modernità di una grande città come Sassari.
Avendo cominciato parlando dell'ombra, mi sembra doveroso concludere parlando della luce: quella luce abbagliante, intensa, quasi spietata, che gli italiani del nord non sono certo abituati a vedere. Una solarità che Paolo Carnera, direttore della fotografia, aveva già sapientemente evidenziato nell'assolato meridione che fa da sfondo a TUTTO L'AMORE CHE C'E' di Sergio Rubini e non solo. Qui comprendiamo come la soluzione della penombra nasca anche dall'esigenza pratica e fattuale di proteggere gli interni da una luce tanto potente: in Sardegna il cielo è sempre terso, perché un vento costante spazza via tutte le nubi.