Festival noir di Courmayeur
Sabato 9 dicembre 2000
da Courmayeur Elena SAN PIETRO
THE CONTENDER
di Rod Lurie
con Jeff Bridges, Gary Oldman e Christian Slater
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THE CONTENDER è un thriller politico avvincente, compatto e ben strutturato
in quasi tutte le sue parti. Il film denuncia apertamente i pesanti giochi
di potere che animano buona parte della politica americana e lo fa attraverso
una struttura filmica precisa, scorrevole ed efficace. Il merito è soprattutto
di una sceneggiatura da manuale basata su ricerche accurate: Rod Lurie
ha un passato come giornalista di cronaca, nonché temutissimo critico
cinematografico per la KABC Radio a Los Angeles. La sua esperienza giornalistica
nel mondo dello spettacolo è alla base del libro Once upon a Time in
Hollywood, dove Lurie si occupa degli scandali e dei delitti realmente
accaduti a Hollywood. Con THE CONTEDER il regista descrive, senza malizia,
i retroscena del mondo politico post-clintoniano e ripercorre il complesso
processo di valutazione a cui è sottoposto un aspirante vice-presidente
negli Stati Uniti. Nelle elezioni indirette il candidato, scelto dal presidente,
deve passare attraverso una commissione che ne giudica l'integrità e la
competenza: il film è una riflessione su tale modalità di giudizio secondo
il motto biblico: " Non giudicare se non vuoi essere giudicato". Il risultato
è una pellicola girata essenzialmente in interni (tribunali, uffici, la
Casa Bianca) popolati da personaggi eleganti che si rassomigliano tutti
nei loro abiti scuri, nei volti puliti ed ammiccanti: uno spaccato interessante
sulle dinamiche sotterranee del potere.
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THE CONTENDER mostra le tappe attraverso cui si costruisce un impeachment
a sfondo sessuale ed è un chiaro riferimento al caso Lewinski; Lurie si
schiera apertamente a fianco dei Democratici, cosicché nel film la parte
dei "cattivi" è incarnata da Rebubblicani e conservatori. Probabilmente
sarebbe stato impossibile fare un film del genere senza prendere nettamente
posizione, in questo caso il regista porta avanti una campagna a favore
delle pari opportunità, dell'aborto e contro la pena di morte: ciascuno
è responsabile, ma non colpevole delle sue scelte. In particolare il film
mostra come le trasgressioni sessuali di una donna, la protagonista, siano
tuttora più colpevolizzate rispetto a quelle di un uomo. Diversamente
dagli europei, gli americani danno molto peso all'integrità morale di
un personaggio politico la cui immagine mediatica, così come la sua vita
privata, vengono sezionate e giudicate da un pubblico moralista ed impressionabile.
Si tratta di una società complessa, dalle mille contraddizioni, che spesso
si aggrappa ad un capro espiatorio per non cadere nel baratro; probabilmente
non è un caso che la direzione del festival abbia voluto proiettare, nella
stessa giornata, THE CONTENDER e PARADISE LOST, il bellissimo documentario
di Joe Berlinger sulla brutale uccisione di tre bambini in Arkansas.
Per affermare i temi forti e scottanti del film Lurie si è avvalso di
un cast di attori eccezionale: Jeff Bridges nei panni di un presidente
bonaccione che adora giocare a bowling e mangia sandwiches di squalo a
tutte le ore, mettendo a dura prova i nervi del suo cuoco personale. Il
repubblicano bacchettone è magistralmente interpretato da un irriconoscibile
Gary Oldman, affiancato, per l'occasione, dal sempre affascinante Christian
Slater. Lurie confessa di aver costruito il film attorno a Joan Allen,
l'attrice protagonista, che alcuni ricorderanno come edulcorata casalinga
in PLESANTVILLE; il regista dimostra di nutrire grande fiducia nelle capacità
della Allen affermando addirittura che: "E'come se rendesse puro tutto
ciò che viene a contatto con lei ".
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Eppure, a mio parere, è proprio questa ricerca di una purezza a tutti
i costi che finisce per spaccare il film in due rendendolo incoerente
e buonista. Nella prima parte, infatti, la protagonista afferma stoicamente
il suo diritto di non rispondere alle accuse, mettendo in gioco la sua
intera carriera politica pur di rimanere fedele a sé stessa: giustificare
la sua vita sessuale equivarrebbe a legittimare le accuse. Nel finale,
grazie alle macchiavelliche acrobazie politiche del presidente, la donna
viene scagionata ed il film potrebbe, anzi dovrebbe finire lì. Ma evidentemente
il grande pubblico americano ha bisogno di una conferma catartica dove
i buoni si dimostrino veramente tali; soltanto in un'opera di finzione
i personaggi possono essere tutti bianchi o tutti neri, la realtà è piena
di sfumature. Alla fine, in un edificante colloquio privato con il presidente,
la nostra eroina confessa di avere dei trascorsi sessuali irreprensibili
e di non aver mai preso parte alle orge studentesche di cui era stata
accusata: questa puntualizzazione fa rientrare bruscamente il personaggio
nello stereotipo del martire ed il finale precipita nel melodramma. Gli
americani avranno tirato un sospiro di sollievo, ma la platea italiana
è rimasta delusa ed interdetta dopo un inizio ed uno svolgimento così
promettenti: il commento unanime del pubblico, avvalorato dalle voci dello
scrittore Carlo Lucarelli (leggi
l'intervista su KMX) e dell'attrice Anita Caprioli presenti in sala,
è stato: " Che americanata! ". Scrive Lisa Schwarzbaum sull'Entertainment
Weekly: " Del thriller politico classico, THE CONTENDER ha tutto,
tranne il coraggio di sostenere le idee che vuole esprimere ".
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