BERGAMO FILM MEETING
GRAHAM GREENE E IL CINEMA
Graham Greene: l'equivoco


Graham Greene

servizio di
Sabrina PISU

Un grande amore ha legato Graham Greene e il cinema, un amore nato da una profonda affinità interna, se è vero, come sosteneva James Agee, che Greene non scriveva veri romanzi ma "movies verbali". Greene ha sempre confessato come i suoi romanzi fossero animati da un tessuto narrativo profondamente cinematografico, lui scrive come se si trovasse "dietro la macchina da presa", non fotografa una scena "da fermo", ma segue "i personaggi e i loro movimenti", così il "paesaggio si muove". Una cosa è certa, Greene ha sempre fornito ottime idee per dei film che poi si rivelavano essere "figli di uno stupro", come icasticamente Hemingway definiva i film hollywwoodiani tratti dai propri romanzi. C'è qualcosa, come un nucleo profondo nei romanzi di Graham Green, difficile da trasporre cinematograficamente.

MINISTRY OF FEARM
di Fritz Lang (1944)

L'insuccesso di Greene come uomo di cinema non è certo causato, come sosteneva malignamente Antony Burgess, "dall'essenziale esilità del romanziere" ma piuttosto da un fondamentale equivoco che ha fatto leggere ai produttori i romanzi di Greene come popolari, nel senso che, possedendo un forte richiamo visivo e una trama ben congegnata, non solo si riconvertivano facilmente al mezzo cinematografico al quale erano destinati, ma non ponevano neanche particolari problemi di comprensione.
Greene appare dunque all'industria cinematografica come un ingegnoso e prolifico inventore di intrighi, trame, casi ben orchestrati e riconducibili, tra l'altro, a quel genere spionistico che era così amato e diffuso nella cultura anglosassone. Tutto questo a scapito di un analisi più profonda che vede l'intreccio legare in modo dialettico e complementare thriller e indagine politico-morale; andava dunque così perduto quel senso di commedia e tragedia insieme che costituisce l'essenza intima dello scrivere di Graham Greene.

IL TERZO UOMO
di Carol Reed (1949)

L'universo di Graham Greene scrittore si esplicita in un'affermazione che, nella sua sinteticità, nasconde il significato ultimo del suo scrivere, quello che a livello cinematografico non si è riuscito sempre ad estrapolare: la vera suspense è una "coscienza in crisi". Graham Greene è un letterato avventuriero, è un uomo che ha visitato le diverse frontiere del mondo, dai luoghi dei ricevimenti diplomatici a quelli più loschi ed equivoci. Il legame tra esperienza e scrittura è da Greene riaffermato in modo autentico. Il suo esotismo non è una fuga, come nel suo amato Conrad, ma è la coscienza moderna della perdita di un centro accompagnata dalla speranza di poter trovare una nuova centralità in ogni dove (non bisogna dimenticare che sono gli anni del decolonizzazione africana e della fine dell'impero britannico). La slealtà, che significa entrare negli altri, è la virtù che ogni scrittore deve coltivare molto più delle altre quando la lealtà diventa chiusura in una realtà congelata dalle apparenze, dalla falsità di una pace costruita con la forza. Greene cerca una possibilità per conoscere veramente, per andare oltre con il corpo e con la mente, e alla fine con la penna che unisce nell'inchiostro l'esperienza fisica e interiore. La religione è per lui una ricerca disperata, un dubbio continuo ed è il dubbio che lo rende fertile. Ma la sua fede (si è convertito al cattolicesimo nel '27) sembra non avere né un vero Dio né un'istituzione. Il suo è un Dio lontano, tanto lontano da poterci polemizzare. La complessità di quest'uomo emerge nei suoi libri che hanno uno spessore tradito troppo spesso dai film ispirati ad essi, che non riescono a cogliere "gli imprevedibili labirinti", le "impure commistioni" della sua narrazione che si muove sempre "sull'orlo di uno scacco o di un silenzio". Dunque la frammentarietà con cui confluiscono gli scritti di Greene nei film è dovuta in parte anche al suo essere uno sceneggiatore troppo letterario. La sua narrazione "si regge per definizione su qualcosa che dovrà rimanere, non detto, non esplicitato, non visibile pur essendo intuibile e sospesa come una folgorazione, quale può essere quella di una trama narrativa e morale che dovrà incontrare la propria necessaria verità". Tutti comunque, detrattori compresi, riconoscono il grande spirito battagliero di Graham Greene che ha sempre rappresentato il suo impulso primo.


LA MANO DELLO STRANIERO
di Mario Soldati (1952)


"Questo è il vero dovere che abbiamo nei confronti della società: essere un granello che si caccia nell'ingranaggio della macchina dello stato" (G. Greene).
E' importante prendere coscienza di questo equivoco dalle due facce, quella di uno scrittore distorto dalla macchina del cinema e quella di uno scrittore che ha tenuto stretto a sé il suo nucleo narrativo, rendendolo impenetrabile. Del resto Greene ne era consapevole e diceva:" i miei libri non producono grandi film".


GRAHAM GREENE: LA RETROSPETTIVA

Il Bergamo film meeting riscopre quello che definisce uno "scrittore in vendita".
Romanziere, sceneggiatore, drammaturgo, saggista, critico cinematografico (fondò la rivista "Night and Day", ben presto chiusa in seguito ad un processo di diffamazione causato da un articolo su Shirley Temple), ex-funzionario dei servizi segreti inglesi durante la seconda guerra mondiale: un uomo tra i più eclettici e interessanti di questo secolo.

IL TERZO UOMO

La retrospettiva dedicata ai film tratti dai libri dello scrittore britannico, libri che hanno creato un repertorio di immagini, un clima vero e proprio che è stato denominato "Greeneland", ha cercato di indagare un materiale filmico tanto vasto quanto disomogeneo. Un omaggio importante ad uno degli autori dal connubio cinematografico più lungo e burrascoso. Dalla rassegna è emersa proprio la volontà di ricordare questo scrittore nella sua totalità, sia con i titoli più superficialmente greeniani come LA MANO DELLO STRANIERO (1953) di Mario Soldati (di cui Greene fu anche produttore) fino a IL TERZO UOMO, L'IDOLO INFRANTO e OUR MAN IN HAVANA di Carol Reed (dove spicca nei panni di un quintessenziale eroe greeniano Alec Guinness), e inoltre MINISTRY OF FEAR (1944) di Fritz Lang, THE FUGITIVE (LA CROCE DI FUOCO, 1947) di J. Ford e L'INCUBO DEI MAU MAU (1953) di George More, un percorso dunque che tra alti e bassi attraversa l'intero universo letterario di Greene. L'incontro sicuramente più proficuo per gli esiti cinematografici che ne sono derivati è stato quello con Carol Reed, giustamente evidenziato dalla retrospettiva, un incontro definito da Quentin Falk "a perfect collaboration". Gli ottimi risultati di questo sodalizio derivano innanzitutto da un rapporto di affetto e stima reciproca che ha dato vita ad una sorta di simbiosi creativa.
C. Reed ha saputo leggere in profondità le righe di Greene, trasformare la loro sostanza poetica in un linguaggio diverso quale quello cinematografico.
Ha colto il significato di quell'apparente ambiguità delle storie e di molti personaggi dell'universo greeniano, scoprendo che nasceva da una visione ironica e distaccata che Greene aveva della realtà. E' come se le parole dei suoi romanzi ci conducessero, muovendosi proprio come una cinepresa, nelle vie tortuose della psicologia dei personaggi a scoprire la verità. Durgnant sosteneva che i migliori registi greeniani non sono sicuramente quelli che hanno diretto film basati sui suoi romanzi. Egli considerava "registi greeniani" il Pabst de L'OPERA DA TRE SOLDI, lo Sternberg de L'ANGELO AZZURRO o il Clouzot di QUAI DES ORFÈVRES. Quello che c'è d'interessante in queste affermazioni di Durgnant è che i film nati dalla collaborazione tra Reed e Graham Greene sono debitori della lezione di questi tre grandi maestri. Ciò che ha decretato il successo dei film di Reed è stato, sempre secondo Durgnant, un certo connubio tra "a powerful sense of symbolic detail and visual lyricism".

THE QUIET AMERICAN
di J. Mackiewicz (1958)

Gli anni in cui Green lavorò con Reed (1947,1948) furono definiti dallo stesso Green "due anni felici". A proposito dei film (THE FALLEN IDOL e THE THIRD MAN, per la sceneggiatura di questo secondo film fu molto importante anche il contributo di Orson Welles) Graham Greene affermò: "Di una cosa sono assolutamente sicuro a proposito di questi due film, che il loro successo è merito di Carol Reed, l'unico regista che io conosca che abbia quel particolare calore e sensibilità umana, la straordinaria capacità di trovare la faccia giusta per la parte giusta, la precisione di taglio e , cosa non meno importante, la capacità di condividere le preoccupazioni di un autore e l'abilità di guidarlo. (…) Cominciai a credere di stare imparando il mestiere con L'IDOLO INFRANTO e IL TERZO UOMO, ma si trattava di un illusione. Non avevo imparato nessun mestiere, si era trattato soltanto del caso fortunato di lavorare con un bravo regista che sapeva controllare i suoi attori e la sua produzione".
La loro collaborazione interrotta nel 1949, riprese più di dieci anni dopo con OUR MAN IN HAVANA (IL NOSTRO AGENTE ALL'AVANA), realizzato da Reed nel '60 da una sceneggiatura di Greene tratta dall'omonimo romanzo. Ma oramai gli interessi di Greene per il cinema sono diventati di natura esclusivamente commerciale.

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