recensione di
GABRIELE FRANCIONI
POSTMAN BLUES,
del 1997, aveva già mostrato la vena surreale di Sabu, regista giapponese
a metà tra Kitano Takeshi e i fratelli Coen. MONDAY ricostruisce
il viaggio a ritroso nella memoria e nella psiche di un impiegato,
che si risveglia in una stanza d'albergo e non sa come ha trascorso
l'ultimo weekend. Le azioni che lo hanno visto partecipe ora grottesco,
ora tragico, seguono la traccia onirica di un re-cordare,
letteralmente ridare al cuore [e in questo caso alla mente],
che è viaggio esplicito nell'io sdoppiato del protagonista. Basta
un fucile, ci dice Sabu, a decostruire l'impalcatura delle nostre
fondamenta etiche; è l'oggetto in sé che fa da rivelatore
di una violenza con la quale dobbiamo confrontarci e che tutti vogliamo
agire nei confronti dell'altro. E' il fucile la chiave che
apre il non-senso di ciò che è successo in quel breve lasso
di tempo, in quello scatto infinitesimale di vita, dall'incontro
col boss yakuza e la sua donna, fino alle esplosioni di violenza
inconscia che ne seguono. Il tono sospeso, il tempo rallentato delle
scene in cui Takagi va incontro alla casualità insita in quel deflagrare
improvviso di forza nascosta, conferiscono a MONDAY un che di coeniano,
fatta eccezione per l'epilogo, sorta di favoletta morale
interna alla storia, che chiosa troppo didascalicamente un'opera
la cui nascosta traccia di senso era già stata distribuita con criptata
genialità lungo il film.
voto:
27/30
|