recensione di GABRIELE FRANCIONI
Tabloid a caratteri
giganti e immagine sgranata, cortei di protesta e dura sopravvivenza
carceraria, impegno umanitario e disimpegno privato: da Herman Yau,
il regista del ciclo di THE UNTOLD STORY 1/3, efferato-trash-cult-da-macelleria,
non ci saremmo mai aspettati un'opera così appassionata, vero cinema
realista e civile, capace di porsi come il centro
dell'edizione 2001 del Far East Film Festival. La storia muove inizialmente
dai drammi paralleli di Ling e Ming, adolescenti vittime di violenze
e incomprensioni familiari [la prima è una ragazzina disadattata,
catapultata nella modernità hongkonghese dalla Cina contadina, alla
ricerca di un'inesistente affetto materno, che crede di trovare
nelle attenzioni dello zio pedofilo, al punto da ucciderne la moglie
per sostituirsi ad essa; il secondo viene pestato a sangue dal padre,
e, metabolizzato il trauma, lo riproduce ribaltato nella
partecipazione più o meno cosciente ad uno stupro con assassinio].
Ling, dodici anni dopo, partecipa alla campagna per i diritti dei
delinquenti giovanili, tra i quali lo stesso Ming, facendo da braccio
destro al senatore Leung. Anche in questo caso, non assistiamo a
catarsi di sorta, compressi come siamo entro un sistema che non
deve stabilire ciò che è giusto a priori: l'identità del film, e
di ciò che vuole rappresentare, deve infatti rimanere a metà strada
tra assoluzione pubblica [e quindi rilascio della storia]
e vaga condanna privata, [e cioè controllo anche della
narrazione]. Il merito di Yau è di prendere distanza dalla materia
trattata, riuscendo miracolosamente a renderci complici di una sofferta
e accorata, per quanto inconscia, partecipazione alla realtà
dei fatti. Diversi registri vanno disponendosi con cura l'uno accanto
all'altro, stratificando una molteplicità di sguardi, a ciascuno
dei quali corrisponde un uso mai scontato della tecnica di ripresa.
voto:
28/30
|