recensione di
GABRIELE FRANCIONI
La
Thailandia che abbiamo conosciuto all'inizio del controverso THE
BEACH di Danny Boyle, quella torrida sensazione di luogo privilegiato
per la malattia dell'anima, che infetta chi va alla ricerca di paradisi
interiori, colpisce al cuore e allo stomaco se percorsa dall'interno,
se vista attraverso gli occhi di un cinema anti-esotico, distante
da scenic views del Lontano Oriente. Adrenalina e sangue,
pulsioni estreme di una m.d.p. che usa i tagli di montaggio [ Peckinpah
fa il Kieslowski a confronto dei fratelli PANG, Oxide e Danny ]
come sillabe di un cinema muto - come è muto il protagonista
Kong, capace di far parlare solo la furia metallica delle sue armi
- dove ralenti, accelerazioni, riavvolgimenti della pellicola sono
matrici di un'estetica nuova, quasi di qualcosa che non è
immediatamente identificabile come cinema. La redenzione
cercata attraverso l'amore con la farmacista Fon, è
l'utopia, la colomba bianca - e amara - in un ghetto impossibile
dove ti viene insegnato a uccidere solo per poter allungare l'agonia
del vivere di qualche breve, ma intenso, istante.
voto: 28/30
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