recensione di
GABRIELE FRANCIONI
I turbamenti dei giovani torless
sudcoreani scelgono percorsi interiori invisibili e si accompagnano
ad istanze votate all'inattuabilità in questa vita, che trascina
i postumi di amori impossibili oltre ogni limite tollerabile per
adolescenti stupefatti di fronte alla soglia dell'età adulta. Non
c'è catarsi se non nell'atto dell'autorecidersi dal flusso vitale,
non c'è via di fuga dalle pulsioni assolute che ci fanno desiderare
l'atto riconoscitivo da parte dell'insegnante amata dalle
distanze siderali di due età diverse: amo ergo sum, esisto
solo se l'oggetto del mio amore riconosce come possibile questa
istanza. Ma ciò non accade mai, neanche per la ragazzina che si
concede come un fiore dentro una serra, dove ha realmente luogo
il suo primo incontro amoroso con l'amato incapace di rispondere
al suo richiamo. Il suicidio, come taglio nel montaggio
dell'esistere, segna l'inizio e la fine della storia, e definisce,
per così dire, l'imposta di un arco narrativo che accoglie e distende
le vicende di due amici sospesi tra solidarietà cameratesca e solitudine.
Il film opta correttamente per un nascondimento dei nuclei
emotivi sotto l'evidenza silenziosa di una teoria di esperienze
subìte - dalla prima esperienza sessuale alla vita studentesca lontano
da casa - e mai veramente desiderate. Ma l'ineliminabilità del desiderio
fa deflagrare l'impianto del racconto in un'evidenza rapsodica
fatta di scene d'improvvisa vitalità i bagni alle cascate, il balli
di gruppo, gli urli improvvisi].
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