TEATRO STABILE DEL VENETO
 

Hugo von Hofmannsthal

ELEKTRA

regia Carmelo Rifici

 con Elisabetta Pozzi, Alberto Fasoli

 

di Ambra MURA

 

 

elektra: scheda

La riproposizione di Carmelo Rifici della "Elektra" di Hugo von Hofmannsthal si mostra davvero interessante. Il mito di Elettra, già in sé carico di simbologia e dramma, viene qui arricchito di una dimensione psicologica rappresentata non solo abilmente dai protagonisti ma anche dalla scenografia, dal movimento degli attori nello spazio e dalla caratterizzazione dei personaggi che talvolta si fanno quasi personificazione del delirio, dell'ossessione, dell'angoscia, del dramma, della morte e della vendetta.

Come nell'elaborazione greca del mito, la memoria rimane un tema centrale dello spettacolo. L'ossessione di Elektra, un eterno ricordo che non le dà pace. La rimozione e l'ostentata indifferenza della sorella Crisotemi. La madre, Clitennestra, che non dà valore ai ricordi, frammenti di una vita che si assommano perdendo significato, svalutando il valore delle azioni passate, buone o meno buone che siano.

Colpisce la cura con la quale viene espressa una simbologia carica. La morte e la vita, la libertà e la schiavitù, la memoria, il rancore, l'indifferenza e la rimozione del dolore.

La rappresentazione è curatissima. La scenografia, storta, scomposta, paradossale, espressionista con sbarre ed entrate e uscite di scena sbilenche, sul pavimento. Questa rappresenta la galera del palazzo dove le sorelle sono rinchiuse, ma anche la prigione delle serve che senza sosta puliscono il sangue che sgorga dagli scarichi.

Il sangue di cui si è macchiata la madre Clitennestra che, insieme all'amante e successore al trono Egisto, uccide Agamennone. Sangue che non da pace a Elektra, fino a richiedere altro sangue per potersi liberare. Quello della genitrice e di Egisto.

Il gioco di luci e colori, a sua volta, deforma lo spazio e incrementa e sottolinea gli stati d'animo dei personaggi.

Le musiche, che sanno di cinema, mantengono una continua tensione psicologica.

Anche la posizione degli attori nello spazio, come in un film di hitchcock, si può associare alla preminenza di uno o dell'altro nel dialogo.

I ruoli e lo sviluppo dei personaggi oltre ad intessere la narrazione al primo piano di significato, sono simbolici e rimandano nel complesso a definire meglio gli stati d'animo evocati dalla rappresentazione. Bisogna dire che in questo senso l'intenzione di Rifici di trasporre la tragedia come fosse un incubo di von Hofmannsthal messo in scena riesce tutta. Ogni elemento rimanda all'altro, il tutto coerente in un atmosfera di cui non si direbbe che niente sia fuori posto.

I costumi, ma più nello specifico, il trucco deformante trasmette, quasi in senso lombrosiano, la depravatezza morale dei personaggi.

Le serve coi loro modi, folli, frignati, arrabbiati, esplicano una sorta di funzione corale rendendo al pubblico la cifra dei sentimenti dei personaggi principali.

Elektra in questo spettacolo è talmente immersa nel ricordo e intrisa di odio e bisogno di vendetta che sembra farsi a tratti Morte essa stessa, come quando quasi seduce la sorella per convincerla a uccidere la madre e l'amante, assassini del padre. Non può non evocare Eros e Thanatos.

La sorella, legata alla sorte di Elektra, si mostra l'opposto, con un modo di parlare leggero che stona col contesto, dimentica del passato, anela alla libertà, alla maternità, alla vita.

La protagonista, nel suo rancore, lega tutti gli astanti in modo indissolubile alla vicenda che scatena la sua follia. E nonostante materialmente non possa agire, a differenza di altre elaborazioni di questo dramma, si può ricondurre alla sua pervicacia la sorte finale della madre.

Rifici attraverso von Hofmannsthal, ci dà una visione estremanente introspettiva del travaglio dei personaggi. Al punto che non interessa tanto mostrare gli eventi salienti ma gli effetti che questi sortiscono nel cuore dei  protagonisti. Gli importa di mostrare la prigionia materiale e mentale che affligge ciascuno. Infatti colui che compie materialmente il matricidio, il fratello Oreste, compare qualche minuto verso la fine. Dell'antefatto si fa solo un continuo rimando. L'occhio del teatro rimane sempre lì, su Elektra fino al suo giubilo finale, quasi una danza macabra, una coronazione dell'odio.

La ricchezza di questo spettacolo è quella di riuscire a proiettarti in un mondo a metà via fra un quadro semovente e un film postmoderno.

La cura del dettaglio scenografico e coreografico, se così si può dire, di un quadro e lo sviluppo dell'intreccio, l'insieme delle musiche e delle luci di un film.

La postmodernità nella miscellanea di elementi e richiami che vanno dall'Elettra di Sofocle a quella freudiana di di von Hofmannsthal a una cruenza e sviluppo dei personaggi e dialoghi che a Rifici richiamano (o a cui lui si è richiamato) Shakespeare. Alla scelta di Rifici di non mantenere la stessa musica di von Hofmannsthal, quella di Strauss, che paga in quanto rende il dramma molto più vicino agli stilemi cui siamo abituati, rendendo un effetto ibrido che alla riflessione affascina. La colonna sonora è forse è l'unico elemento veramente indigeno dei nostri tempi rispetto a una tragedia che di teatro in teatro  rivive ormai da almeno due millenni e mezzo.

SITO UFFICIALE

 

Hugo von Hofmannsthal

elektra

regia Carmelo Rifici

scene Guido Buganza

costumi Margherita Baldoni

musiche Daniele D'Angelo

luci Giovanni Raggi