Girogirotondo…
Appena finito lo spettacolo sono uscita dalla via del teatro Duse a Bologna
e mi sentivo come dopo la ricreazione della seconda elementare, quando si
giocava a girotondo fino a farsi venire la nausea. Giro Giro tondo…. Ci si
fermava quando si perdeva il senso delle parole e dello spazio, sennò
avrebbe potuto andare avanti all’infinito. Forse perché “I giganti della
montagna” sembra fondarsi completamente sul non senso, ed è proprio il non
senso a produrre il senso stesso dell’opera.
è questo il modo in cui sono
fatti i giochi. Come i bambini inventano i giochi e poi ci credono,
Pirandello costruisce la sua opera, creando una narrazione che ci condurrà a
scoprire l’intima essenza dell’esistenza umana.
Ilse è la “contessa”(Iaia Forte), primattrice di una compagnia di folli,
giunge con tutto il seguito a La Scalogna, una villa popolata dagli
eccentrici Scalognati, tra cui il più stravagante è il cinico Cotrone.
L’amore per il teatro e per un poeta fa nascere in Ilse la necessità di
rappresentare l’opera “La favola del figlio cambiato”, scritta da un giovane
che per lei si è tolto la vita. Cotrone cerca di farla desistere perché
l’arte e la poesia non hanno più la possibilità di vivere tra di noi, vista
la rozza avidità dell’uomo. Ma Ilsa è una donna, e testardamente mantiene la
sua volontà. Si fa quindi accompagnare fin dai giganti della montagna,
potenti creture irrapresentabili, che detengono la ricchezza dell’intero
pianeta. Lo spettacolo viene imbastito, ma non saranno i giganti ad
assistervi, ma i loro servi. L’insensibilità alla poesia presagita da
Cotrone purtroppo si manifesta in tutta la sua volgare violenza. Ilsa viene
dilaniata sul palco. Lo scrittore siciliano non riesce concludere l’ ultimo
capitolo della sua trilogia dedicata al “mito”, gli altri due sono “La nuova
colonia” e “Lazzaro”, ma la sfiducia in questo mondo, la crisi in cui giace
la figura dell’autore, la difficoltà di trovare chi sappia essere realmente
spettatore,non hanno difficoltà ad emergere.
Federico Tizzi si confronta con l’opera inserendola- sempre mantenendone la
forte carica surreale-nella realtà attuale domandandosi continuamente quale
tra i diversi linguaggi oggi a disposizione sia quello che meglio può
veicolare l’arte, e che cosa sia diventata quindi l’arte nel tempo della
televisione, dei film panettone e del 3d. Tizzi riesce a rispondere,
bisbigliandoci a un orecchio di tornare alle origini, perché comprendere è
anche tornare indietro. Progresso e futuro non potranno mai cancellare ciò a
cui apparteniamo, l’importante è non dimenticarcene. Per riuscire a tornare
ad essere spettatori dobbiamo rieducarci all’osservazione, dobbiamo tornare
a imparare a non guardare soltanto.
Caratterizzato da questa ricerca metatreatale e metartistica lo spettacolo
corre sempre sul limite, in quel “tra” kantiano, e la scenografia non fa che
esaltare questa indefinibilità mantenendosi sempre a metà fra realtà e
sogno, tra cinema e fumetto, tra arte e fantascienza, per farsi infine
carico della più pesante ignoranza, quella dei giganti, incarnatasi nello
schermo televisivo che trasmette in diretta la morte dell’autore,
condannandoci ad una eterna cecità.
“I giganti della montagna”, mito incompiuto di Luigi Pirandello,
con un finale di Franco Scaldati
regia di Federico Tizzi
con
Sandro Lombardi
Iaia Forte
Marion D’Amburgo
Massimo Verdastro
Silvio Castiglioni
18:12:2007 |