EVENTI TEATRO DANZA

LA DONNA SERPENTE

biennaleteatro2006

 

di Gabriele FRANCIONI

 

LA DONNA SERPENTE

di Carlo Gozzi
Fiaba teatrale tragicomica in due atti ovvero dall’ignoto deserto della Cina al vasto regno d’Eldorado, occulto al mondo tutto

Teatro Goldoni, 28-29 luglio 2006


Adattamento drammaturgico e regia Giuseppe Emiliani - musiche originali Uri Caine - con Marcello Bartoli (Capocomico, Pantalone), Marta Paola Richeldi (Cherestanì), Erika Urban (Farruscad), Lino Spadaro (Togrul, Geonca), Giorgio Bertan (Brighella, rumorista), Alberto Fasoli (Truffaldino, Bedredino, Badur), Michela Mocchiutti (Canzade, Farzana, Rezia) - scene Graziano Gregori - costumi Carla Teti - maschere e oggetti Renzo Pardini e Roberta Traversa - luci Mauro Marri - produzione Vortice – Teatro Fondamenta Nuove / Compagnia I Fratellini, Teatro Metastasio Stabile della Toscana, Teatro Stabile del Veneto “Carlo Goldoni” - in collaborazione con La Biennale di Venezia e Comune di Venezia – Assessorato alla Produzione Culturale

“La Donna Serpente fu la quinta mia fola scenica. Posta in iscena dalla truppa Sacchi nel Teatro di S. Angelo a Venezia a dì 29 di ottobre l’anno 1762, si fecero di questa tra l’autunno, e il carnovale susseguente diciassette fortunatissime recite” (Carlo Gozzi)


Intrecciando fiaba esotica, racconto morale, prove iniziatiche e recupero di alcune maschere veneziane dopo la riforma del Goldoni (Pantalone, Brighella), LA DONNA SERPENTE è specchio efficace del metissage che domina gli odierni orizzonti culturali, almeno quanto più di due secoli fa accadeva nella Venezia già rivolta all'Oriente Estremo (qui la Cina).
La Serenissima, luogo senza mura e porta ideale tra il bacino del Mediterraneo a sud e il centro-nord della Penisola a ovest, ha sempre rappresentato il collo di bottiglia ideale per il transito e lo scambio di segni e materie.
Fino a due secoli prima del Gozzi i domini veneziani si estendevano da Brescia sino al Mediterraneo più profondo, ad Urbino il Palazzo federiciano vagheggiava nei torricini il Redentore palladiano e la pietra d'Istria attraversava le colonne marciane prima di arrivare in Montefeltro.
Insomma, città-Stato all'avanguardia nel promuovere l'incrocio tra genti, culture e commerci, la Venezia libera e transnazionale già di Marco Polo, era ormai diventata, un trentennio prima dello stupro napoleonico che ne avrebbe invertito irreversibilmente il "senso" (1797), palestra ideale per incrociare cultura del popolo, esotismo tout-court e apertura avanguardistica verso ogni forma di diversità (Cherestanì).
Come ne IL CORVO, le pedine che Carlo Gozzi dispone sulla scacchiera ideale del suo teatro possono giocare liberamente per vie trasversali (le pulsioni, le suggestioni), oppure riordinarsi su linee rette (le ardue prove, l'etica).
L'evocazione dell'"ignoto" e dell'"occulto" geografici, che negli allestimenti di Ellen Stewart e - in parte - Pantakin da Venezia evapora in proiezioni e musiche, qui solidifica in movimenti strutturati e in una spazialità rigorosa, quasi povera, utile a prendere a pretesto l'assunto delle prove immaginarie per concedere patente di rappresentazione solo a ciò che entra nel cerchio tracciato a terra all'inizio dello spettacolo.
Lo iato tra apparente trasandatezza della prova e concretizzarsi del problemos sulla scena (a contatto con le misteriose originidell'ex cerva Cherestanì fattasi dea di bellezza e sua sposa, Farruscad, il protagonista, va in crisi), produce in realtà un progressivo stratificarsi della tensione narrativa e annulla correttamente la vaghezza delle premesse esotiche - la fata, l'Eldorado - al punto che, come un totem o un'alta figura vestita più volte apparsa sul palcoscenico, quella lontananza e diversità vengono ribaltate in monolito tematico attuale e problematico, qui e ora, che chiede risposta.
A dire (ancora, come nel CORVO): non possiamo arare i deserti della Cina con scelte avventate, poiché non disponiamo ancora di un'attrezzatura etica in grado di porci realmente sullo stesso piano dell'Altro e di rispettarlo in quanto silente, sconosciuto.
Cosa heideggerianamente inattingibile se interrogata con razionalismo proto-illuminista, per così dire.
Ecco allora che la mascherina calata sul viso di Pantalone e Brighella in giacca e calzoni de-realizza queste figure molto più degli ori che ricoprono le molteplici facies di Cherestanì o Demogorgone, così veri e problematici, anche se lontani spazialmente e culturalmente.
Naturalmente andiamo verso uno scioglimento dei nodi tematici e, dopo la prova iniziatica, si assiste ad un calar della tensione: ma ciò che più conta è la riuscita del tentativo di mettere in scena la complessità dell'assunto con mezzi scenici scabri, essenziali (le pareti e i fondali lasciati al grezzo, i figli come grandi fantocci, l'uso di trampoli, etc).

SINOSSI


Farruscad, principe di Teflis, durante una battuta di caccia con Pantalone e Brighella, si innamora di una cerva bianca, che presto si rivelerà essere una bellissima donna, Cherestanì.Farruscad e Cherestanì, sposi, mettono al mondo due figli e vivono felicemente in un meraviglioso palazzo. Cherestanì è in realtà la più bella delle fate, nata da un uomo, sovrano del regno di Eldorado e da una fata. Innamorata di Farruscad, Cherestanì chiede al re delle fate Demogorgone di rinunciare all’immortalità per condividere la stessa sorte dello sposo. Il re, seppur contrario, le concede di diventare mortale a condizione che Farruscad non la maledica per otto anni e un giorno. Demogorgone, per spingere Farruscad a maledire l’amata, le farà compiere proprio l’ultimo giorno atti apparentemente della più barbara crudeltà. Se Farruscad non rimarrà fermo nel suo amore e la maledirà, Cherestanì sarà per sempre una fata immortale e si trasformerà in serpente per duecento anni.Farruscad, dubbiosoper le misteriose origini della moglie, proprio allo scadere dell’ottavo anno fruga tra i suoi oggetti per scoprire chi sia veramente; la conseguenza di tale azione è la scomparsa nel nulla della sposa, della reggia e dei figli. Farruscad si ritrova così nel mezzo di un ignoto deserto con i suoi servitori e viene raggiunto dal visir Togrul e dal servo Truffaldino che lo avvertono della morte del padre e delle drammatiche condizioni in cui versa Teflis, assediata dalle truppe del re barbaro Morgone, che pretende per moglie la sorella di Farruscad, Canzade.Deciso a ritornare a Teflis, Farruscad viene trattenuto dall’apparizione di Cherestanì che gli chiede di avere fiducia in lei e di non cedere mai alla tentazione di maledirla, nonostante le terribili prove future.
Inizia così per Farruscad un giorno di tremende sciagure in cui vedrà morire i figli bruciati vivi da Cherestanì e, quindi, verrà a sapere che le truppe alleate sono state distrutte dall’esercito della moglie. Travolto dalla crudeltà di Cherestanì, Farruscad non terrà fede alla parola data e la maledirà, da cui la metamorfosi preannunciata in serpente, non prima però di aver svelato le reali motivazioni dei suoi atti: i figli non sono morti ma hanno depurato attraverso le fiamme la loro discendenza da una fata.Sicuro di aver perso per sempre Cherestanì, Farruscad si dispera, ma si ricorda che prima della trasformazione la moglie gli ha annunciato che in lui risiede l’ultima possibilità di salvezza. Deciso a liberare Cherestanì dall’incantesimo e a riaverla, Farruscad affronta mostruose creature e riesce a superare anche l’ultima prova: bacerà sulla bocca un serpente, che si trasforma in Cherestanì, libera da ogni sortilegio, resa umana e mortale.