Welcome to the new Surface
Selena Gomez, Vanessa
Hudgens, Ashley Benson e Rachel Simon Korine, scollate temporaneamente
dall’universo-Disney, sono ragazzine appena approdate al college, ma già
desiderose di transitare verso dimensioni più aeree, mutuate dalla
contro-realtà dei videogame, di internet e dell’immarcescibile catodo.
Rapinano tarantinamente un ristorante per pagarsi le vacanze pre-estive,
dove vivranno the time of their lives.
Adattamento sussurrato dello “School’s Out” di Alice Cooper, “Spring
breakers” è l’invocazione spiritualistico-ribellista di una generazione
abortita.
Faith (come Juliette Lewis in STRANGE DAYS), Candy, Brit e Cotty
finiranno dritte dentro le fauci metalliche di Alien/James Franco,
dj-gangsta-rapper di St. Petersburg, Florida, che ha organizzato attorno
allo spaccio di droghe sintetiche un’enclave autosufficiente e alternativa
al potere nero nel settore. La sua comune molto poco anni Sessanta si
posiziona all’incirca tra THE BEACH, Russ Meyer e KILL BILL, ma il tema
dell’autodeterminazione di gruppo e al femminile avvicina la pellicola a
17 FILLES, per quanto l’accostamento possa sembrare improbabile.
Come una girandola colorata che perde i pezzi, la family di Alien si
disgrega appena i suoi bordi arrivano a toccare la roccia dura della vita
vera.
Korine, di ritorno a Venezia dopo il dogma-95 JULIEN DONKEY BOY (1999,
esordio di Alberto Barbera), sa di avere a che fare con superfici e
decalcomanie, per cui predispone correttamente un apparato di deformazioni e
accentazioni visive - sfocature, slow motion
parossistici, cromatismi ultrapop - che ribalta il
pedinamento para-documentaristico di TRASH HUMPERS e J.D.BOY e si allontana
dalla residualità concreta di GUMMO, in cui il tornado che aveva devastato
la small town di Xenia lasciava sul campo di battaglia del film
un’umanità altrettanto lacerata, ma dolente e fatta di corpi in 3-D.
Figlie dei figli dei figli dei
fiori, le protagoniste di SPRING BREAKERS, invece, incarnano la società
gassosa o aerea in 2-D degli Anni Dieci, andata
oltre lo stato di liquidità teorizzato da Zygmunt Bauman, dove le situazioni in cui si
muovevano gli esseri umani si modificavano prima che i loro modi di agire
riuscissero a consolidarsi in abitudini e procedure. Sono a distanza
siderale anche dalla solidità prismatica dell’epoca dei Grands
Recits lyotardiani e delle Ideologie dei nonni, nati agli inizi degli anni
‘40.
Teenagers passate senza soluzione di continuità dalla condizione neonatale
al flusso di dati dei social network, che ti riorganizzano l’identità nel
lampo di un tweet e a loro piacimento -
“Real-life inertia magically disappears in the frictionless surfing of
cyberspace”, suggerisce Slavoj Zizek - le
ragazzine armate di mitraglietta e bikini vengono riprese da Harmony Korine
come immagini prodotte dal sudario deposto sui corpi bucati e flagellati,
ancora tridimensionali, del preistorico KIDS (1995).
Ne sono l’ultima restituzione visiva, la crosta ormai volatile, il suono,
più che l’immagine.
Le situazioni in cui si muovono ne anticipano abitudini e procedure, per
così dire, e i contesti in cui vengono a trovarsi lanciano un segnale
proveniente dall’immediato futuro (minuti, secondi), che serve da traccia
per i loro comportamenti e per i residui delle loro azioni.
Sono la decalcomania precaria di un futuro che si fa passato nell’arco di un
click. La loro non è una ricerca identitaria, semmai un trascorrere
letteralmente “superficiale” attraverso stati esteriori, che
descrivono la traccia di un romanzo di formazione (di corpi senzienti)
virato verso il romanzo di deformazione (d’immagini). Quando fanno capolino
brandelli di realtà nel corso del racconto, si genera una vertigine
imprevista e assolutamente fuori contesto, in cui implodono, come in un buco
nero narrativo, le protagoniste. Scompaiono, letteralmente, così come in
precedenza si erano mostrate in forma di pop-up.
La pellicola ruota intorno alla scena rallentata in cui James Franco esegue
(al pianoforte!) “Spring Breakers Forever” di Britney Spears, quasi fosse un
tool generazionale che ricicla materia già usata da chi sulla
citazione ha costruito un’intera vita, restituendola, nonostante tutto, a
una dimensione assoluta, classica e atemporale. |