SCIENCE + FICTION
festival della fantascienza
 Trieste, 12-18 Novembre 2007

 

di  Gabriele FRANCIONI

THE SCREWFLY SOLUTION, di Joe Dante.

Con Jason Priestley, Kerry Norton, Brenna O’ Brien e Elliot Gould.
Usa, 2006, episodio della serie-tv “Masters of Horror, Season II”, ideata da Mick Garris.
Produzione. “Showtime”.

 

Joe Dante torna, per la seconda volta in due anni, alla produzione in stile cormaniano (due milioni di dollari del 2006 contro i 660mila del ’77 per PIRANHA, già poverissimo all’epoca) e riesce nell’impresa di mettere in scena un pamphlet di grande respiro e ampie pretese sulla fine del mondo e altri ragionamenti (!), seppur entro il formato dell’ora di tempo concesso ai masters of horror.

La “Soluzione Lucciola” (così la versione francese, ma il corretto “firefly” gioca con “screw”, letteralmente “scopare, fottere”) ha pregi e difetti derivanti da questo stesso assunto di partenza: rimanere fedeli e al tempo stesso tradire il testo omonimo di Alice B. Sheldon cui Sam Hamm si è ispirato per la sceneggiatura.

è lui stesso, in un blog internettiano, a parlare di Ms. Sheldon’s  paranoid, illogical, but nonetheless extraordinary vision to film”, il ché conferma un rapporto fecondo ma conflittuale con le idee della scrittrice, poi sottoposte a  “trattamento”. Non conoscendo il racconto, ci troviamo in una condizione di lettori/spettatori davanti ai quali qualcosa, necessariamente, gets lost in translation, anche se pare che l’incerto finale e l’idea della castrazione chimica siano in certa parte ascrivibili a Hamm.

Dante rinuncia completamente ad alcuni fondamentali tratti caratteristici del suo cinema: la presenza di un qualsiasi universo infantile; il sottotono ironico che spesso dà colore al testo; il gioco citazionistico, i rimandi colti, l’abbandono al culto del cinema come puro piacere.

Anche HOMECOMING faceva necessariamente a meno della presenza dei bambini, ma gli altri due tratti distintivi garantivano al precedente “M.O.H.” dantiano una riconoscibilità alta, nel senso, cioè, di una continuità arricchita e rinnovata da diverse geniali intuizioni.

Sorta di cupo incrocio degli episodi carpenteriani della stessa serie (CIGARETTE BURNS-THE ABSOLUTE END OF THE WORLD e PRO-LIFE), “Screwfly” maneggia una materia serissima, combinando e rimescolando la già complessa visione apocalittica della Sheldon, che, eventualmente alleggerita da lampi di sarcasmo, avrebbe potuto far pensare allo stesso Vonnegut (celebrato a Trieste).

Alan, lo scienziato gay impersonato da Gould e il giovane assistente Barney (Priestley) hanno elaborato una sorta di castrazione chimica dell’insetto denominato “Screwfly”, letale per il bestiame e reso inoffensivo grazie al trattamento, per quanto l’animale continui ad avere impulsi sessuali. Qualcuno elabora in seguito una versione del virus adattabile all’essere umano nella sua variante maschile (ovvio il riferimento all’Aids, ribaltato), facendola circolare nei Paesi che si trovano all’altezza del 32° parallelo, fino alla Giordania, ma senza la speranza di confinarla entro quello stretto ambito geografico: velocemente progredirà a nord e a sud di quell’invisibile confine.

 

“Religion is not a cause, it’s a symptom!”, dichiara Elliot Gould al pool di politici e militari, epitome di ogni assertivo e intollerante machismo, sgombrando il campo da pericolosi rischi di misunderstanding (anche se i cenni alla “Sharia Law” e i cartelloni pubblicitari contraffatti con i visi velati di modelle americane confondono non poco le acque).

Dante, laddove Shamm si attiene quindi alla solo apparente neutralità della Sheldon, aggancia invece il tema dell’intolleranza religiosa interna agli Stati Uniti e costruisce un altro testo, quasi un film nel film.

Seguendo il regista, abbiamo, messe in parallelo, la vicenda privata di una famiglia della middle class, felice e “risolta” proprio perché i genitori fanno sesso regolarmente e la figlia adolescente è il logico prodotto di quest’idillio e di quest’intesa appagante, e la deviante serie di delitti compiuti contro il genere femminile.

Dante si sofferma non poco (si veda il segmento della lap-dancer assassinata nello strip-bar da un pastore evangelista) sulla nota religiosa e le correlate derive dei predicatori che infestano gli Stati Uniti - siamo dalle parti di PRO-LIFE e di John Carpenter - lasciandoci intendere come il centro del suo interesse stia nella contrapposizione tra una visione laica e (definitivamente) liberata del sesso, anche in un’eventuale declinazione familiare non coercitiva o limitante, e le posizioni retrive della Chiesa.

Ciò che lega questo assunto, già di per sé impegnativo per soli 59 minuti di sviluppo, al resto del film vero e proprio di JD è l’idea che atteggiamenti sessisti di matrice religiosa possano degenerare in un’incontrollabile, letale opposizione contro il genere femminile in toto, inteso non come co-agente nel generare l’istinto sessuale, ma quale unico fattore scatenante.

L’incipit documentaristico contrapposto alla prima, fulminea strage familiare che avviene fuori campo, unito ai successivi brevissimi segmenti scanditi dal ripetuto effetto-neve dello schermo tv che rimanda alle screwflies in volo, assicura al film un ritmo sicuro fino all’episodio della spogliarellista.

 

Quello che segue sembra appartenere più a Sheldon e Hamm, anche se lo sviluppo dell’assunto consente perlomeno una considerazione: voler legiferare, emettere sentenze, comminare scomuniche di qualsiasi tipo -pubblico o privato- in materia di “sesso” su base religiosa è cosa palesemente sciocca, idiota (etimologicamente inteso), invariabilmente destinata a confondere i fattori in gioco: uomo contro donna o “credo X” contro “credo Y”?

Da qui in avanti la materia testuale si dispone su diversi, forse troppi piani: se l’uomo continua a desiderare sessualmente la donna (quanto? sembrerebbe “più” di prima, cioè prima di aver subito la castrazione chimica, quindi sembra appalesarsi qualche approccio maldestro alla questione, del tipo che senza la possibilità di procreare il desiderio fisico diventerebbe aggressività e poi violenza pura...? ma allora ciò porrebbe tutti i maschi sul piano ideologico-comportamentale dei prelati/predicatori presenti nel film…), il puro desiderio è da condannare? No, perché il sesso domestico agito da Barney/Priestley e dalla moglie sembrava di per sé “giustificato”, ma non era certo finalizzato alla procreazione!!!

A un certo punto si ipotizza che gli insetti castrati ricerchino la penetrazione con il capo, seguendo cioè percorsi, diciamo così, “alternativi” (…).

Faticando non poco ci viene da supporre, allora, che applicata la castrazione all’uomo, essa abbia generato un desiderio deviato, anomalo analogo al modus operandi dell’insetto “impazzito”.

 

Nel film, ma noi pensiamo nel libro, questo non c’è, perché l’iper-eccitazione dei maschi (battute volgari, persecuzioni fisiche) non va oltre quello che vediamo nella vita di tutti i giorni.

Ovviamente l’assassinio è il discrimine tra due livelli ben distinti di comportamento, ma averlo legato alla castrazione chimica è estremamente ambiguo.

Sheldon sembra aver voluto delegare all’ambito della ricerca scientifica (deviata, altro tema, altra carne al fuoco) la matrice delle “colpe” che non s’arrischiava a scaricare solo sulla componente religiosa, il ché sembrerebbe confermato dal finale, dove entità aliene completano lo sterminio dell’intera razza umana.

Ci troviamo di fronte a un paradossale effetto “scaricabarile” che dal maschio passa ai predicatori, da questi agli scienziati e infine ai concertatori del tutto, “marziani”, quindi colpevoli, ma in contumacia al processo che nessuno organizza, perché nessuno è rimasto vivo.

 

Ci sono almeno quattro film, 4 possibili spin-off già pronti (film su alieni sterminatori/ film ecologista sulla deriva della ricerca scientifica fine a se stessa/ film sull’intolleranza religiosa di gruppi di predicatori americani, eventualmente anti-abortisti (ancora: Carpenter)/ film sul sessismo e il machismo ancora imperanti nella cultura statunitense), ma lo spunto multiverso di partenza non poteva certo rimanere entro l’ora televisiva del formato messo a disposizione.

I nodi del testo rimangono tali, Sheldon è profondamente ambigua e Hamm non sa districarsi a fondo entro tale materia composita, su cui evitiamo di esprimere un (1) giudizio, perché semmai ne vanno tirati fuori 3 o 4, uno per ciascun tema accennato e non sviluppato.

Continuiamo a ritenere Dante interessato a uno solo di essi, anzi, a un ulteriore, a questo punto microscopico, sottotesto:  il sesso va agito con buona continuità e nei contesti che meglio ci si adattano e con chi meglio si crede.

La normale carica di aggressività che così, eventualmente, dovesse scaricarsi, non deve scandalizzare nessuno e non va scomodato alcuno (nemmeno Freud!) per contestualizzare il senso e l’uso del nostro corpo laddove non ferisca la sensibilità altrui, non rechi danno morale e fisico ad alcuna persona, non degeneri in comportamenti non consensuali e non forzati.

Può esistere sesso con amore, senza amore, per gioco e divertimento o semplicemente per scaricare la scarica di aggressività di cui si diceva (ma non dicevano “make love not war”? era quello il senso, no?).

Può esistere anche il sesso per la procreazione, pensate un po’!

Il dubbio è che molti di noi, peggio se vincolati da una qualche forma di affiliazione a qualsivoglia ideologia/credo/tradizione, cadano nel tragico errore di stabilire nessi impossibili tra il sesso e ambiti che sono ALTRO da quello, altro da ciò che il sesso semplicemente è.

 

Se SCREWFLY SOLUTION della Sheldon (o Hamm) mi vogliono dire che il sesso divertente tra Priestley e Norton va bene, siamo d’accordo.

Tutto il resto rischia di passare attraverso le strette maglie della (anche nostra) analisi logica del testo e ineluttabilmente non superare il test della plausibilità.

Joe Dante, dall’alto di uno stile che s’addensa e serra le fila di una materia sempre più scomposta, riesce nel capolavoro di volare alto e non preoccuparsi troppo, appunto, della logica dei fatti.

Ci regala sentori di CHILDREN OF MEN (l’unico essere umano con un futuro, etc) senza l’ampollosità teorica e la “grandiosità” visiva di Cuaròn.Dispone la violenza fisica nel luogo appartato di continue ellissi (lo faceva, con perfetta coerenza, anche in HOMECOMING, come durante l’uccisione di Robert Picardo, girata in shadowplay), abbassa la m.d.p. per inquadrare preti insanguinati, organizza i livelli di una suspense sempre più carica e tesa, utilizzando le sue inquadrature sghembe non più per riprendere l’universo fantastico e infantile di TWILIGHT ZONE, ma per calarci nell’asfittico universo mono-sessuato di comunità separate dal mondo, violente e, queste sì, definitivamente alien(at)e.

 

VOTO: 29/30