SCIENCE + FICTION
festival della fantascienza
 Trieste, 12-18 Novembre 2007

 

INTRODUZIONE

 

di  Gabriele FRANCIONI

Joe Dante sostiene che il cinema horror rinasca durante periodi storici segnati da profonde crisi dei valori o in epoca di guerra. Come non dargli ragione, se le serie-tv “Masters of Horror” datano 2005 e 2006, in piena era-Iraq, e, insieme allo SplatPack dei vari Eli Roth, Neil Marshall e Alexandre Aja, costituiscono l’avanguardia della nuova ondata orrorifica destinata a misurare la temperatura emotiva di uno Stato-mondo in coma profondo?

ll regista sarà nei prossimi giorni a Trieste per ritirare il “Premio alla carriera Urania d’argento”, durante la settima edizione del benemerito “SciencePlusFiction”, uno dei pochi festival nazionali che valga la pena di seguire con grande attenzione, mentre, invece che concentrarsi su rassegne “di vaglia”, i finanziamenti del ministero dello spettacolo vanno a ingrassare feste fatte di cartapesta o storici appuntamenti stravolti dalle folli manie di grandezza di un P.D. (leggetelo come volete) privo d’anima, identità, storia e idee.

 

Non è un caso che al “SPF 07” si sia scelto di discutere anche attorno all’opera di Kurt Vonnegut, il grande scrittore tedesco-americano scomparso di recente dopo 85 anni incredibili, segnati dall’ambivalente e tragica esperienza del bombardamento di Dresda del 1945, dove il futuro scrittore si trovava come prigioniero dei contingenti alleati: sopravvissuto in mezzo a 135mila morti, racconterà a più riprese la follia del potere e della guerra dal punto di vista di un dead man walking salvatosi dall’Apocalisse.

 

Vonnegut e Dante hanno entrambi sviluppato un rapporto strettissimo con l’argomento bellico, che per il regista del New Jersey aveva a che fare con la tangibile sensazione di essere a un passo dal terzo conflitto mondiale, che avrebbe dovuto essere segnato dall’uso indiscriminato dell’atomica. Mentre il giovane professore trentenne si trascinava da un’attività e da un’università all’altra, Dante era un bimbo che non aveva imparato a non preoccuparsi e ad amare la bomba. Sotto i banchi di scuola, durante le esercitazioni preventive contro i possibili attacchi di un Comunismo reale quanto le armi di distruzione di massa di Saddam, il piccolo genio costruiva mondi alternativi, dove i mostri e gli alieni - costruiti ad arte da una cultura televisiva che iniziava il suo portentoso brainwashing arrivato sino al terzo millennio - avevano sembianze affatto diverse da quelle che si sarebbe potuto immaginare.

Il potere immaginifico dei bambini (ecco uno dei cardini del pensiero dantiano) sa vedere oltre lo steccato bianco e le ipocrisie della Middle Class americana prona di fronte al potere costituito, ora come allora, e mette in scena il vero Teatro degli Orrori.

Lo scrittore e il regista, in maniera non molto dissimile dalle poetiche di altri intellettuali e artisti non-yankee, non veri-americani e non-sudisti (ovvio citare Kubrick e la grande famiglia italoamericana, Coppola e Scorsese in testa, appena un po’ più pessimisti di JD), hanno scelto le strade del nonsense (Vonnegut) e dell’ironia (JD) per veicolare infinite volte il sottotesto che l’America si ostina a non saper/voler leggere, chiusa com’è nell’eterna contrapposizione tra metropoli evolute delle coste Est e Ovest (residenza degli intellettuali di ogni epoca) e sconfinata, arretratissima provincia degli stati del centro-sud, ancorata a pregiudizi o neo-credenze religiose di stampo medievaleggiante, feudale e profondamente razzista.

 

Tanto, in guerra, ci vanno le etnie reiette, i Ramos e gli Esposito del caso o i soliti nipoti dello Zio Tom, magari appena usciti dal pantano di Katrina, che non è passato nelle cable-tv tanto quanto le bare metalliche in arrivo da Baghdad, invisibili agli occhi degli “altri” americani e le 3-4mila casualities of war irachene non  spostano di una virgola i termini della questione.

Come si dice in “Homecoming”, ennesimo capolavoro bellico di Dante, “They (i Democrats, N.d.R.) haven’t won yet, ‘cause WE (i Republicans) count the votes! We do what’s best for America and if people don’t agree…well, that’s their problem!”.

Billy Pilgrim, in “Mattatoio n.5”, capolavoro di Vonnegut sul bombardamento di Dresda, si mette a piangere senza un motivo, in un qualunque momento della giornata.

I bambini di Dante, ultima risorsa del pianeta, cercano di andare oltre o, meglio, di “vedere” oltre l’ovvio pessimismo e desiderio di autodistruzione dei grandi (“The Screwfly Solution”, l’altro segmento dantiano dei Masters Of Horror, sembrerebbe però privo anche di questa speranza: “terribile” la scena in cui una stella cadente si rivela essere invece un aereo davanti agli occhi pieni di disincanto della ragazzina).

Forse è passato molto, troppo tempo anche da “Twilight Zone” o “Explorers” e non è un caso che il regista stia ora lavorando a tutt’altra materia: un nuovo ritorno alla grande, rassicurante famiglia della New World dell’eterno, benedetto Roger Corman, per un quasi-documentario sul periodo di riprese di “The Trip”, allucinata descrizione di un viaggio psichedelico che doveva molto al Ken Kesey degli Acid Tests e alla cultura della Frisco Bay, già messa a fuoco nel fondamentale “Electric Kool-aid acid test” di Tom Wolfe (Gus Van Sant ne sta girando ora la riduzione cinematografica).

Lucido e disincantato, ironico e pieno di speranza, cupo e nichilista: qualunque sarà il tono di Joe Dante al “SPF 07”, sarà comunque la base per un bellissimo, imperdibile trip di (im)puro cinema.

 

Trieste, 12 novembre 2007