WOLF EYES &
PICASTRO
Bologna, Il Covo, 22 Aprile 2006
Particolare accoppiata quella dei Wolf Eyes (dal Michigan) con i Picastro
(da Toronto): band distanti anni luce tra loro ma ambedue interessanti e in
un certo senso complementari. I canadesi - capeggiati da Liz Hysen - alle
prese in un corposo tour europeo, soprattutto italico, si trovano a Bologna
ad aprire la serata ai Wolf Eyes con un set incentrato sulla presentazione
del nuovo album "Metal Cares"; splendido viaggio interiore della leader in
un mondo melanconico e sofferto. Rispetto agli esordi quando la struttura
musicale era focalizzata in prevalenza sulla presenza della chitarra
acustica e del violoncello, la proposta sonora nel tempo si è allargata
utilizzando inserimenti di pianoforte, strumenti elettrici e violino, ahimè
assenti però nella odierna dimensione live. La band, infatti, si presenta
come quartetto con formazione composta da chitarra acustica ed elettrica,
batteria e violoncello elettrico. Di fronte ad un pubblico ancora scarso, i
canadesi aprono il loro set con la canzone apripista del loro ultimo lavoro,
l'evocativa "no contest" seguita da altre composizioni dello stesso lavoro,
tra le altre "I can't fall asleep", "common cold" e "ah nyeh nyeh". La loro
musica è lenta, scarna e può risultare leggermente soporifera ma è
totalmente appassionata e diretta, la mezz'ora concessa ai Picastro è una
dolce parentesi interiore nel riscoprire tramite la sofferta ma splendida
voce della Hysen la propria fragilità intima, le proprie debolezze; queste
sensazioni paiono essere l'anticamera ideale nel prepararci a ciò che ci
attenderà dopo con i Wolf Eyes. Una volta scavato il proprio "io" e svuotato
esso da certi sentimenti, la musica dei tre americani sembra proprio il
compendio ideale, il passo successivo da compiere dopo tali sensazioni, lo
sfogo dell'anima. L'istinto puro, naturale e animalesco, la voglia di
rompere gli schemi ed i paletti imposti da certe regole - qui nel caso
specifico in ambito musicale, ma espandibili metaforicamente in tutt'altre
situazioni - trovano modo di esprimersi nel caotico e destrutturato - ma non
del tutto illogico- mondo musicale dei tre americani. Loro, come i "cugini"
Black Dice sono tra i massimi, se non i migliori, gruppi specializzati nella
ricerca sonora e sperimentale, ma si spingono più però verso i lidi estremi
del noise. I W.E. sono abili nell'utilizzo di strumenti artigianali e
analogici per creare caos/violenze sonore uniche e selvagge ma mai casuali o
fini a se stesse; pare, ad esempio, che abbiano impiegato un anno e mezzo
nel comporre una canzone che, una volta sentita, sicuramente all'apparenza
potrebbe sembrare a chiunque una qualsiasi jam improvvisata sul momento. Il
moniker Wolf Eyes altri non è che in nome in cui si cela Nate Young,
manipolatore sonoro e cantate del combo americano attualmente composto oltre
che da lui da Aaron Dilloway e John Olson. Questi tre loschi figuri, armati
di chitarre molto più che artigianali, di bassi ultradistorti e di
effettistica analogica, riescono a colpire nel segno, a coinvolgere un
pubblico (ora più numeroso e attento) immergendolo in una dimensione
ultrasonica/emotiva dalla quale ci si libera totalmente della freddezza (qui
l'apporto dei Picastro) dei sentimenti ma ancor di più degli atteggiamenti,
dall'apatia quotidiana e ci si lascia andare in maniera completa; niente
pogo o amenità varie, solo stati di trance e/o completa suggestione come ad
esempio nei lamenti vocali di Young che pare essere il portavoce - il
megafono- di tutti i presenti che non potendo urlare/sfogarsi a volume
assurdi come chi possiede un microfono, convogliano nel cantante lo stato
d'animo, come se egli fosse un'appendice di loro stessi: meglio che di una
seduta dallo psicologo.
voto al COVO:
28/30
voto ai WOLF EYES:
29/30
voto ai PICASTRO:
28/30
voto al pubblico: 28/30
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