di Andrea Canella

WOLF EYES & PICASTRO

Bologna, Il Covo, 22 Aprile 2006

Particolare accoppiata quella dei Wolf Eyes (dal Michigan) con i Picastro (da Toronto): band distanti anni luce tra loro ma ambedue interessanti e in un certo senso complementari. I canadesi - capeggiati da Liz Hysen - alle prese in un corposo tour europeo, soprattutto italico, si trovano a Bologna ad aprire la serata ai Wolf Eyes con un set incentrato sulla presentazione del nuovo album "Metal Cares"; splendido viaggio interiore della leader in un mondo melanconico e sofferto. Rispetto agli esordi quando la struttura musicale era focalizzata in prevalenza sulla presenza della chitarra acustica e del violoncello, la proposta sonora nel tempo si è allargata utilizzando inserimenti di pianoforte, strumenti elettrici e violino, ahimè assenti però nella odierna dimensione live. La band, infatti, si presenta come quartetto con formazione composta da chitarra acustica ed elettrica, batteria e violoncello elettrico. Di fronte ad un pubblico ancora scarso, i canadesi aprono il loro set con la canzone apripista del loro ultimo lavoro, l'evocativa "no contest" seguita da altre composizioni dello stesso lavoro, tra le altre "I can't fall asleep", "common cold" e "ah nyeh nyeh". La loro musica è lenta, scarna e può risultare leggermente soporifera ma è totalmente appassionata e diretta, la mezz'ora concessa ai Picastro è una dolce parentesi interiore nel riscoprire tramite la sofferta ma splendida voce della Hysen la propria fragilità intima, le proprie debolezze; queste sensazioni paiono essere l'anticamera ideale nel prepararci a ciò che ci attenderà dopo con i Wolf Eyes. Una volta scavato il proprio "io" e svuotato esso da certi sentimenti, la musica dei tre americani sembra proprio il compendio ideale, il passo successivo da compiere dopo tali sensazioni, lo sfogo dell'anima. L'istinto puro, naturale e animalesco, la voglia di rompere gli schemi ed i paletti imposti da certe regole - qui nel caso specifico in ambito musicale, ma espandibili metaforicamente in tutt'altre situazioni - trovano modo di esprimersi nel caotico e destrutturato - ma non del tutto illogico- mondo musicale dei tre americani. Loro, come i "cugini" Black Dice sono tra i massimi, se non i migliori, gruppi specializzati nella ricerca sonora e sperimentale, ma si spingono più però verso i lidi estremi del noise. I W.E. sono abili nell'utilizzo di strumenti artigianali e analogici per creare caos/violenze sonore uniche e selvagge ma mai casuali o fini a se stesse; pare, ad esempio, che abbiano impiegato un anno e mezzo nel comporre una canzone che, una volta sentita, sicuramente all'apparenza potrebbe sembrare a chiunque una qualsiasi jam improvvisata sul momento. Il moniker Wolf Eyes altri non è che in nome in cui si cela Nate Young, manipolatore sonoro e cantate del combo americano attualmente composto oltre che da lui da Aaron Dilloway e John Olson. Questi tre loschi figuri, armati di chitarre molto più che artigianali, di bassi ultradistorti e di effettistica analogica, riescono a colpire nel segno, a coinvolgere un pubblico (ora più numeroso e attento) immergendolo in una dimensione ultrasonica/emotiva dalla quale ci si libera totalmente della freddezza (qui l'apporto dei Picastro) dei sentimenti ma ancor di più degli atteggiamenti, dall'apatia quotidiana e ci si lascia andare in maniera completa; niente pogo o amenità varie, solo stati di trance e/o completa suggestione come ad esempio nei lamenti vocali di Young che pare essere il portavoce - il megafono- di tutti i presenti che non potendo urlare/sfogarsi a volume assurdi come chi possiede un microfono, convogliano nel cantante lo stato d'animo, come se egli fosse un'appendice di loro stessi: meglio che di una seduta dallo psicologo.

voto al COVO: 28/30

voto ai WOLF EYES: 29/30
 

voto ai PICASTRO: 28/30

voto al pubblico: 28/30