the fainT
Dopo il mini tour del 2004, ritornate in Italia per una nuova data con i
Bright Eyes, come vi trovate a suonare nel nostro paese?
Beh... E’ bello, ci sentiamo bene perché facciamo un genere di
spettacolo che ci piace fare quando è buio e usiamo le luci e i filmati che
abbiamo realizzato vengono proiettati alle nostre spalle. Di solito
proponiamo questo genere di show quando suoniamo in locali quasi
completamente al buio, ma questo tour è un po’ problematico perché noi ci
esibiamo ogni sera prima dei Bright Eyes, il che è ovviamente sensato, solo
che loro hanno “prenotato” in luoghi dove avremmo dovuto suonare di sera,
dopo il tramonto o comunque locali al chiuso e quindi per noi è difficile
gestire il tutto quando c’è ancora luce e non è esattamente come vorremmo. A
che ora fa buio qui? Sulle 23? (Sara: più o meno sulle 22...) Mentalmente
non riusciamo a concentrarci al meglio se non ci sono le condizioni giuste,
il nostro show rende molto di più in piena notte, quando il sole è
tramontato dal un bel po’ di tempo, in questo modo il nostro gioco di luci e
nebbie è più coinvolgente e i filmati che scorrono dietro di noi sono più
visibili. Onestamente per noi non ci sono le condizioni migliori, ma daremo
il meglio che si possa ogni sera. E’ veramente piacevole suonare,
soprattutto quando lo facciamo in posti belli come questo. E’ una bella
città con una piazza stupenda dentro un castello... E’ proprio bello,
abbiamo anche suonato per esempio vicino a delle rovine romane ed è stato
fantastico, ma diciamo che non è proprio il posto ideale dove avrei voluto
suonare. Credo comunque che sia una grande opportunità per noi, possiamo
esibirci per gente che altrimenti non sarebbe venuta a sentirci se non ci
fossero stati i Bright Eyes, ci sono nuove persone per cui suonare.
Durante le vostre esibizioni live, come hai accennato poco fa, vengono
proiettate alle vostre spalle delle creazioni video. Come è nato questo
progetto e come viene realizzato live dopo live?
All’inizio...Dunque, abbiamo sempre cercato di creare una certa
atmosfera, molto particolare, abbiamo cominciato a suonare e sul palco
giocavano luci e nebbie e questo caratterizza un certo tipo di “look”: ciò
si è sviluppato nel nostro sogno di suonare circondati da video e scherzare
con l’effetto delle ombre. E’ molto più realistico suonare con delle
immagini proiettate alle spalle, è tutto parte dello show e ciò che vedi
coincide con ciò che senti. (pausa) Le immagini sono proiettate un poco
sopra di noi e sono più visibili. E’ stato durante gli ultimi anni che
abbiamo intensificato e migliorato questo aspetto dei nostri live e richiede
molto molto lavoro, come per la musica, i suoni e penso che lavoreremo
sempre meglio.
Cosa c’è di realmente speciale a Omaha, Nebraska, vostra città natale? E
quanto ha influenzato nel sound il profumo e i colori della vostra terra?
Penso che siano state piuttosto le band che suonavano a Omaha ad
influenzarci, non stilisticamente parlando... Ci hanno influenzato nel modo
di creare una nostra band e sentirci pronti a fare musica! Abbiamo veramente
sviluppato un nostro tipo di musica che ci caratterizza, è grazie a quella
spinta iniziale che ora lo facciamo. Ma ti stai riferendo a questo in
specifico? (Sara: io pensavo piuttosto al paesaggio, ai colori e ai profumi
della vostra terra come ispirazione...) Ah... No no, noi viviamo in città, è
carino quando esci e vaghi per le campagne, giusto per le prime volte però,
perché non c’è niente da guardare, ci sono solo il cielo, il grano e l’erba,
è un paesaggio molto piatto, ogni tanto si vede qualche collina... Ma non
c’è niente di più, non c’è molto da vedere... Veniamo da una piccola città
che non ha in se molto da vedere ed è proprio questo fatto forse che ci ha
in qualche modo influenzato, ispirato. Alcuni amici che sono venuti a
trovarmi a casa hanno detto che è un posto carino, è facile viverci... Ma è
stata la musica , quelle band che facevano bene la loro musica, si è stato
per quel motivo...
La Saddle Creek è la vostra attuale etichetta, una label molto stimata
nei vari circuiti indie rock europei e americani. Come è nato il vostro
rapporto e come vi trovate? Quanto conta per voi avere alle spalle una label
del genere?
Dunque... C’era un’etichetta che si chiamava “Lumberjack Records” a
Omaha, era quella del fratello di Conor Oberst, Justin. Lui aveva cominciato
a registrare le prime cassette di Conor, era probabilmente il 1992. Ci siamo
conosciuti un paio di anni dopo e abbiamo formato una band con Conor e
abbiamo registrato una cassetta per l’etichetta di suo fratello... Non era
poi una vera e propria etichetta, Justin scriveva solamente il nome
“Lumberjack” sulle cassette, sai, non era una vera distribuzione... E
comunque è cominciata così... E c’era anche una band che piaceva a quasi
tutti che si chiamava Slowdown Virginia e molti loro amici raccoglievano
denaro per far loro incidere un album, è una cosa molto bella. Fu la prima
vera “uscita” di una band della cittadina e la gente era entusiasta e ciò ha
dato il via a molte altre registrazioni per molti. Quello che è ora la
Saddle Creek è nelle mani di Rob e di un altro ragazzo e il resto... E’ solo
tanta musica...
In passato venivate definiti come una band allegra dai testi largamente
ironici, cosa è successo invece sotto questo punto di vista nel vostro
ultimo lavoro, “Wet from birth”, caratterizzato da una certa malinconia
interiore?
Tutte le persone con cui ho parlato hanno detto che è un lavoro meno
triste rispetto a “Danse Macabre”, per esempio. Credo che ognuno abbia la
propria idea di come è l’album. Forse c’è un velo di tristezza in qualche
pezzo...( pausa)
Rimanendo in tema “Wet from birth”, chi sono i “Desperte guys” di cui
parlate nel testo della prima traccia?
Questa è la canzone in cui dico che non mi voglio disperare... Non
voglio disperarmi, anche se non piaccio a lei...
Sappiamo che la melodia di “How could I forget” è stata rubata da una
canzone di Petula Clark, “There goes my love, there goes my life”. E’ vero?
Come avvenne il tutto?
Si, era un pezzo che non avevo mai sentito. Dovevamo fare un remake
circa sei anni fa, era un bel pezzo, ma non abbiamo usato quella canzone.
Poi però abbiamo lavorato con un campione del pezzo e ci piaceva, così
abbiamo cominciato a “usarlo” e la melodia mi era talmente entrata in testa
che ho dovuto solamente lasciar che accadesse il tutto.
Quanto hanno influito negli anni in voi band del calibro di Daft punk e
Orbital?
Abbiamo cominciato a cambiare leggermente con “Blank-wave arcade”, un
paio di anni dopo la sua uscita c’erano già molte tastiere. Si, credo
proprio che abbiamo cominciato ad apprezzare l’elettronica proprio in quel
periodo. Così abbiamo cominciato ad ascoltare e stimare band che facevano
elettronica e ciò ci ha spinti a voler iniziare a fare musica di questo
genere. Anche perché da dove venivamo non c’erano band che facevano questo
genere di musica... Volevamo fare qualcosa sullo stile di Aphex Twin per
intenderci, ma all’inizio non ci sembrava possibile e dovevamo trovare
qualcosa che potevamo fare noi da soli ed esattamente come volevamo noi.
Le copertine e le grafiche dei vostri album sono unicamente opera vostra,
come avviene il tutto, e solitamente come nasce una vostra grafica?
Parli di un album in modo specifico o solo del fatto che la facciamo da
soli? (Sara: intendo se la vostra grafica in generale è opera tua oppure è
coinvolta tutta la band...) Ah, si! Disegniamo sempre la nostra grafica
insieme, non perché non ci piace quella fatta da qualcun altro, ma solo
perché è troppo particolare e soprattutto vorremmo che la grafica dei nostri
album sia coerente con la nostra musica, con quello che è dentro il disco. E
penso che sia tutto nelle nostre menti. Voglio dire, può sembrare qualcosa
di completamente diverso per alcuni. Mi piacciono le band che fanno la
propria artwork da soli, perché riesci meglio ad entrare nelle loro teste se
questo ti piace. (Sara: in questo modo si può capire meglio il significato
della musica che un artista fa...) Esattamente.
Qualche tempo fa siete andati in tour con i No Doubt, che esperienza fu e
cosa vi ha lasciato?
Onestamente parlando, è stato noioso. (Sara: come mai?) (pausa) Non sto
parlando della loro musica, pensavamo che sarebbe stata un’esperienza
interessante per poterci lanciare in un qualche modo. Ci siamo detti
“vediamo cosa succede e cosa possiamo imparare”. E fu proprio così per la
prima settimana, avevamo così tanti spettacoli, suonavamo per gente con cui
era difficile comunicare perché non avevano la minima idea di chi fossimo.
Gli show erano sold out da molto tempo, ci piaceva suonare in grandi arene
davanti a migliaia di persone. (Sara: è una buona occasione per farsi
conoscere!) Si! E’ proprio per questo motivo che l’abbiamo fatto, doveva
essere una cosa positiva. Probabilmente siamo riusciti a comunicare qualcosa
a qualche ragazzo durante quella tournée, ma durante quel periodo l’unica
cosa che facevamo era stare chiusi in una stanza con poca luce sognando di
essere a casa a registrare un nuovo album. (Sara: non è stata una gran bella
esperienza allora?) (sorride) Diciamo che non è stato il nostro tour
preferito. Non faremo mai più un tour così lungo, con 30/35 show...
The Faint vengono da diverse esperienze sonore passate, addirittura anche
metal. Come siete arrivati a questo progetto e cosa ricordate del vostro
passato musicale?
Questa domanda non mi interessa, penso di essere troppo vicino a quel
periodo per essere veramente capace di comprenderlo.
Da qualche tempo, qualcuno ha rivelato che già forse nel 2006 uscirà il
vostro prossimo album, tutto questo corrisponde al vero?
Non è previsto nessun album per ora. Mi piacerebbe farne uno nuovo, per
ora però sembra impossibile. Vorrei cominciare a scrivere un nuovo album, ma
non abbiamo ancora fatto niente. Siamo in tour e ce ne sarà ancora per
molto. (Sara: immagino che non abbiate molto tempo in questo periodo...) Ci
sto riflettendo un po’, ma dobbiamo essere tutti insieme, tutta la band al
completo, per poter cominciare qualcosa.
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