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interpol Nonantola, Vox Club, 17 Aprile
2005 Alle 18.45 io e i miei compagni di ventura, una volta giunti al Vox, il locale che accoglierà l'ultima delle 3 date degli Interpol in Italia (a pochi mesi dalla loro ultima apparizione nel nostro Paese), un dubbio amletico aveva colpito il nostro arrivo: sostare davanti a una trentina di persone - per far una fila sotto una lieve pioggia all'ingresso - o mangiare 2 tigelle all'osteria a lato della discoteca? Il brutto tempo, la fame e una sorte benevola ci spinsero a cenare. Mai scelta fu più azzeccata. All'ingresso dopo pochi minuti, infatti, 3/4 del gruppo più staff - ad eccezione del chitarrista - entrò per mangiare tra noi comuni mortali, suscitando la piacevole presenza degli avventori che di lì a poco sarebbero divenuti parte del pubblico. Meno contenti i proprietari che alla richiesta di Paul (Banks), nel rimanere in un tavolo da solo, si erano trovati con problemi di posto. Il cantante americano aveva chiesto, ed ottenuto, di cenare in solitudine togliendo spazio a quel poco che il locale aveva. Capriccio da piccola rock star viziata? Mah.. Dopo questo piccolo aneddoto,
parliamo prettamente di musica. Luci e ombre hanno caratterizzato l'intero
spettacolo degli Interpol, semplici effetti luminosi con toni ora caldi, ora
freddi, si sono alternati a seconda dell'umore delle canzoni. Solo luci
fredde o neutre, in prevalenza viola e bianche, quelle che accompagnano i
nostri al loro ingresso, sono calde e in prevalenza rosse, quelle che li
avvolgeranno per tutta la durata dei primi due brani. Si inizia come da
copione con la solenne "Next Exit" e si riparte subito dopo con il primo
singolo della loro ultima fatica discografica "Slow Hands", mentre dei 5
(dal vivo hanno un tastierista aggiunto) non si distinguono che vaghi
lineamenti. Solo da "Narc" in poi l'illuminazione renderà a tratti ben
visibile lo scarno palco e chi ci sta sopra, ma saranno sempre i contrasti
tra atmosfere calde e fredde a rendere suggestivo tutto lo show. Paul Banks
e soci - tutti rigorosamente vestiti di scuro e con cravattino d'ordinanza -
non sprecano però il loro tempo a dialogare col pubblico. A fine concerto si
conteranno sulle dita di una mano le volte in cui il cantante avrà aperto
bocca per ringraziare i presenti con qualche "thanks" e due "grazi". Le
poche soste, tra un pezzo e l'altro, sono sfruttate per bersi una birra o
accendersi (alla faccia della legge e dei fumatori presenti) una o due
sigarette prima di ripartire. Si susseguono in egual misura pezzi del nuovo
album come "Lenght of Love", "A Time to be so Small", "Not Even Jail" o
pezzi del primo come "Stella war a Diver", "Hands Away", "Obstacle" e "P.D.A.".
Nonostante la natura del sound - freddo come del resto l'atteggiamento del
leader - e la breve durata dello spettacolo (12 brani in un'oretta scarsa
più 3 bis), il pubblico ha cantato e accolto con soddisfazione e calore le
canzoni della band newyorkese, in grado di scaldare l'atmosfera pur esibendo
una fisicità pressochè statica (fatta eccezione per il bassista) e una
perfetta aderenza a quanto già sentito su disco, il che si può considerare
un pregio o un difetto a seconda delle aspettative. Per dovere di cronaca un
accenno al gruppo di supporto, gli Spoon, band di Austin (Texas), attiva da
un buon decennio, che propone una sorta di innocuo power/brit pop passato
inosservato da molti, me compreso.
voto al vox: 28/30
voto agli spoon: 20/30 |
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