di Andrea Canella

interpol

Nonantola, Vox Club, 17 Aprile 2005
 

Alle 18.45 io e i miei compagni di ventura, una volta giunti al Vox, il locale che accoglierà l'ultima delle 3 date degli Interpol in Italia (a pochi mesi dalla loro ultima apparizione nel nostro Paese), un dubbio amletico aveva colpito il nostro arrivo: sostare davanti a una trentina di persone - per far una fila sotto una lieve pioggia all'ingresso - o mangiare 2 tigelle all'osteria a lato della discoteca? Il brutto tempo, la fame e una sorte benevola ci spinsero a cenare. Mai scelta fu più azzeccata. All'ingresso dopo pochi minuti, infatti, 3/4 del gruppo più staff - ad eccezione del chitarrista - entrò per mangiare tra noi comuni mortali, suscitando la piacevole presenza degli avventori che di lì a poco sarebbero divenuti parte del pubblico. Meno contenti i proprietari che alla richiesta di Paul (Banks), nel rimanere in un tavolo da solo, si erano trovati con problemi di posto. Il cantante americano aveva chiesto, ed ottenuto, di cenare in solitudine togliendo spazio a quel poco che il locale aveva. Capriccio da piccola rock star viziata? Mah..

Dopo questo piccolo aneddoto, parliamo prettamente di musica. Luci e ombre hanno caratterizzato l'intero spettacolo degli Interpol, semplici effetti luminosi con toni ora caldi, ora freddi, si sono alternati a seconda dell'umore delle canzoni. Solo luci fredde o neutre, in prevalenza viola e bianche, quelle che accompagnano i nostri al loro ingresso, sono calde e in prevalenza rosse, quelle che li avvolgeranno per tutta la durata dei primi due brani. Si inizia come da copione con la solenne "Next Exit" e si riparte subito dopo con il primo singolo della loro ultima fatica discografica "Slow Hands", mentre dei 5 (dal vivo hanno un tastierista aggiunto) non si distinguono che vaghi lineamenti. Solo da "Narc" in poi l'illuminazione renderà a tratti ben visibile lo scarno palco e chi ci sta sopra, ma saranno sempre i contrasti tra atmosfere calde e fredde a rendere suggestivo tutto lo show. Paul Banks e soci - tutti rigorosamente vestiti di scuro e con cravattino d'ordinanza - non sprecano però il loro tempo a dialogare col pubblico. A fine concerto si conteranno sulle dita di una mano le volte in cui il cantante avrà aperto bocca per ringraziare i presenti con qualche "thanks" e due "grazi". Le poche soste, tra un pezzo e l'altro, sono sfruttate per bersi una birra o accendersi (alla faccia della legge e dei fumatori presenti) una o due sigarette prima di ripartire. Si susseguono in egual misura pezzi del nuovo album come "Lenght of Love", "A Time to be so Small", "Not Even Jail" o pezzi del primo come "Stella war a Diver", "Hands Away", "Obstacle" e "P.D.A.". Nonostante la natura del sound - freddo come del resto l'atteggiamento del leader - e la breve durata dello spettacolo (12 brani in un'oretta scarsa più 3 bis), il pubblico ha cantato e accolto con soddisfazione e calore le canzoni della band newyorkese, in grado di scaldare l'atmosfera pur esibendo una fisicità pressochè statica (fatta eccezione per il bassista) e una perfetta aderenza a quanto già sentito su disco, il che si può considerare un pregio o un difetto a seconda delle aspettative. Per dovere di cronaca un accenno al gruppo di supporto, gli Spoon, band di Austin (Texas), attiva da un buon decennio, che propone una sorta di innocuo power/brit pop passato inosservato da molti, me compreso.
 

voto al vox: 28/30

voto AglI interpol: 28/30
 

voto agli spoon: 20/30

voto al pubblico: 28/30