
Guardare attraverso l'obiettivo di Hou
Hsiao-hsien ha il sapore di un gesto primario di cui si è smarrita
l'emozione.
Si ha la sensazione fisica dell'essere lì, del donare lo sguardo, di essere
occhio incapace di staccarsi dal frame, dalla bellezza di un'istante
protratto in una dilatazione di continuo presente.
L'inizio di Millenium Mambo
ha questo sapore. Vicky passa attraverso un passaggio pedonale sopraelevato
e camminando, saltando, roteando le mani, si gira e guarda in macchina ( ci
guarda ) e sentiamo un flusso di pensiero attraverso il quale veniamo
introdotti alla sua vita nella Taiwan di fine millennio.
"Ogni tanto Vicki lo lasciava. Ma lui riusciva sempre a riprendersela.
Le telefonava. La scongiurava di tornare. Era una storia che si ripeteva. Ne
era come ammaliata. Ipnotizzata. Non aveva scampo. Tornava sempre da lui.
Dentro di sé si diceva: ho ancora cinquecentomila dollari in banca. Quando
li avrò finiti, lo lascerò. Tutto questo avveniva dieci anni fa. Era l'anno
2001. Il mondo intero festeggiava il ventunesimo secolo. E dava il benvenuto
al nuovo millennio."
Alla fine della lunga carrellata al ralenty, in un abbagliante atmosfera di
colori e disco-music, che inizia a dettare il ritmo delle scene, Vicky
scende delle scale e scompare al cine-occhio della camera.
La magia è compiuta, l'attenzione è imprigionata da un elemento fantasmatico
che è l'immagine e la sensualità della figura d'una ragazza di Taipei: che
balla, lavora, si agita, litiga, ride,... si lascia vivere...
Lo spazio delle inquadrature di Hsiao-hsien diventa, così, una torrida
esperienza attraverso la quale le connotazioni temporali perdono forma, il
tempo si fa corpo e i minuti che occorrono ai lunghi piani-sequenza di
svilupparsi sono il discorso della visione e il tanto sopravalutato
contenuto della storia.
Il presente deflagra, si avvolge su se stesso, si contorce nella bellezza di
Vicky. La macchina da presa divaga, scorre morbidamente negli ambienti dove
la ragazza ama, sopporta, odia e s'accapiglia con il ragazzo Hao Hao, tanto
indifferente, e perciò insostenibilmente attraente.
Lo scopo del regista è quello di mostrare Vicky senza frapporre limiti
morali e ignorando i simbolismi di maniera, che spesso appesantiscono molte
pellicole di autori europei che tentano la stessa operazione. Le danze della
macchina da presa, anche nelle scene più turbolente, si soffermano sempre
per qualche interminabile secondo sull'attrice Shu Qui immortalandone un
attimo, un espressione che non ci sarà più.
"Le cinema c'est le mort au travail" diceva Cocteau, e in poco cinema questa
frase può essere vera in tutta la sua pienezza. Le regie di Hou Hsiao Hsien
colgono i corpi in mutazione, dalle immagini arriva la perfetta percezione
di un cambiamento fisico degli attori-personaggi e degli ambienti. Quello
che lo spettatore vede, anche se alla prima occhiata afflitto da una
sostanziale immobilità, è qualcosa che tra pochi minuti non sarà più come
prima, in quel lasso di tempo qualcosa è andato perso, ed è quello l'oggetto
della ripresa.
Vicky ama Hao Hao, ma poi intrattiene i clienti in un locale dove è la
preferita di Jack, un gangster alla maniera orientale, e non gli dispiace la
compagnia del giovane barista giapponese Jun.
Gli altri due rapporti che la ragazza allaccia sono delle ulteriori fughe
estatiche concesse a diversi modi di rappresentazione.
Le visite di Vicky a casa di Jack e il conseguente controllo d'identità
effettuato con le telecamere e i monitor a circuito chiuso, permettono la
rifrazione infinita sugli schermi e nel campo della figura della ragazza
taiwanese affrontando così, in modo non ortodosso, il tema della diversa
codificazione a seconda del mezzo di registrazione della realtà e
l'integrazione di più punti di vista all'interno di un unico movimento di
macchina da presa. Non tralasciando poi tutti nessi possibili che
scaturiscono dal rapporto tra la ragazza e il gangster: bisogno di
sicurezza, desiderio di una persona forte...
Mentre, il personaggio di Jun e il viaggio in Giappone (dove nella città di
Jun i due vedranno i manifesti del vecchio cinema orientale non
riconoscendone nessuno), invece, daranno il modo per esprimere il completo
disconoscimento di un tempo anteriore, anche in senso cinefilo, e il
passaggio prospettico dai neon e i colori accesi di Taipei al totale bianco
della neve giapponese.
Quello che importa al regista non è dare un senso, creare un intreccio della
storia, ma registrare lo scorrere di una vita senza preoccuparsi di un
rapporto col passato.
Il cinema di Hou Hsiao-hsien, come di altri autori di Taiwan e dell'estremo
oriente, come Tsai Ming-Liang e Wang Kar wai, è un cinema che non ha
nostalgia delle forme classiche, ma si confronta col presente senza debiti o
preconcetti di sorta, l'unico impellente bisogno è quello di mettere la
macchina da presa in un posto e riprendere lo spazio in sospensione.
Le caratteristiche essenziali del suo cinema sono:
- lo spostamento del sonoro. La funzione dell'onnipresente della musica
martellante che diventa oggetto di un montaggio sonoro in parallelo a quello
delle immagini e la voce che accompagna i movimenti di Vicky, ma senza in
alcun modo spiegarli. In effetti la voce è proprio la ripetizione meccanica
del pensiero che apre il film e che diventa con la disco-music strumento di
raccordo tra le scene.
- decentramento del senso. In un lungo percorso che parte Goodbye south,
goodbye del '96, Hou Hsiao-hsien ha portato all'estremo una tecnica fatta di
piano-sequenza e sonoro, che passando per i trenta piani di cui è composto
Flowers of Shangai del '98 è
approdata ad un uso libero e discreto della trasposizione di un senso o
direzione all'interno del discorso narrativo, ( anche se con Hsiao-hsien non
possiamo parlare di cinema narrativo nel senso classico della definizione ).
Nel cinema di Hou Hsiao-hsien, un senso o è molteplice, o come in
Millenium Mambo diventa così
integrato al frame da diventare rarefatto.
- autoreferenzialità. Come autore che non esita a pensare ogni suo film come
un nuovo capitolo all'interno di una teoria di film, Hou Hsiao-hsien è forse
l'unico autore che non può fare altro che citare se stesso, e come in una
specie di crescita, è possibile vedere un filo di collegamento tra le
inquadrature e i piani dei gangster di Goodbye south, goodbye e quelle dei
malavitosi di Millenium mambo.
Un suo progetto prevede un operazione di rimontaggio di alcuni suoi
lungometraggi girati e da girare nel primo decennio del duemila per
ricavarne un unico film continuo.
Ciò che non traspare in Millenium
Mambo è lo spiccato senso politico di Hsiao-hsien. In Good man, good
woman attraverso una splendida operazione di meta-cinema, con salti
temporali dal presente, anni'90, al passato, che è la storia narrata in un
film che i personaggi degli anni'90 stanno girando e che diventa più reale
della realtà storica, in quanto filtrata attraverso un mezzo che la
falsifica all'origine, Hsiao-hsien parla degli eventi traumatici della
seconda guerra mondiale, dell'occupazione giapponese e del distacco dalla
Cina in seguito alle scelte di Chang Kai Chek e alle decisioni di politica
internazionale.
In quel distacco dalla Cina continentale e nella ferocia col quale fu
colpito il dissenso in quegli anni, vengono attribuite le cause d'un
abbrutimento e di una perdita di valori della società taiwanese. Con
Good man, good woman,
Città dolente e IL
Maestro burattinaio, Hou
Hsiao Hsien traccia i caratteri non solo storici di un punto di vista sul
mondo contemporaneo, che si apprezza in film come
La figlia del Nilo, ma pone
le basi di una estetica geopolitica.
Millenium Mambo è, alla luce della teoria di film che sta sviluppando il
regista, un film politico e proprio perchè la critica sociale non è esibita,
non è visibilmente attaccabile, è un manifesto per un cinema che può
occupare uno spazio estetico in una posizione di im-potenza. Concetto
d'im-potenza, che nell'idea di opposizione politica al sistema di
domininante spiegata da Etienne Balibar, è la mediazione che un gruppo di
forza deve operare rispetto alla capacità schiacciamento e soppressione
della rete di dominio.
Millenium Mambo è una chiara espressione di un estetica di differenza e
d'alterità rispetto al cinema dominante.
Proprio nella purezza del codice espressivo e nella continua deriva dei
piani-sequenza c'è la costante sensazione straniante d'un tempo al collasso,
d'un inquadratura, d'un frame che è critico di per se senza ricorrere a
ulteriori sottolineature.
Purtroppo è quel sistema di dominio che non ha permesso agli spettatori
italiani del film di vederne una versione integrale, ma di vederne una
versione sconciata e tagliata di una quindicina di minuti. E quest'orribile
accanimento nei confronti dei film orientali dà una misura di come e quanto
è temibile una cultura dominante che detta istanze e pone modi di fruizione.
La stessa smania che ha portato ad associare il nome di Ozu, tra i
riferimenti filmici di Hsiao-hsien. Un attenta osservazione delle pellicole
avrebbe mostato l'enorme differenza tra i due modi di fare cinema. C'è
differenza di montaggio, di posizionamento di macchina, di campi, di
esposizioni, di focali...Lo stesso regista taiwanese ha confessato di aver
visto i film di Ozu solo dopo aver girato i suoi primi film.
Millenium Mambo è arrivato a Cannes nel 2001 e fu pressochè ignorato. Due
anni dopo facciamo i conti con un ulteriore scatto in avanti operato da un
autore. In un tempo nel quale molti critici superficiali di cinema insistono
a dire che tutto è stato già fatto, già visto, già inventato, è una
gradevole sensazione guardare all'oriente, a certo cinema dell'est europeo,
ad alcuni cineasti francesi, ai pochi geni del cinema americano e scoprire
che non è affatto così.
Film citati:
- La figlia del Nilo ('87)
- Città dolente ('89)
- Il maestro burattinaio ('93)
- Good man, good woman ('95)
- Goodbye south, goodbye ('96)
- The Flowers of Shangai ('98)
- Millenium Mambo (2001)
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