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1. Si fa giorno. Una pallida luce, filtrando tra le tende bianche, scivola nella piccola stanza e vacilla, incerta, sopra il letto di ferro dove dorme un ragazzino. La calma. Il rumore lontano del mare e il fremito delle tende. Improvvisamente, fuori, un fischio...come un segnale convenuto. Il bambino apre gli occhi, come se lo stesse aspettando, apre il lenzuolo bianco e salta fuori dal letto. E' prontissimo, tutto vestito. Apre la porta con precauzione. Nel corridoio, nessuno. Lo percorre lanciando occhiate nelle stanze. Dormono tutti. Apre la porta che da' su una grande scalinata di legno ed esce, poi richiude piano la porta. Davanti a lui, la spiaggia e il mare a perdita d'occhio. L'aria fredda gli rinfresca il volto. Respira profondamente. Piu' in la', sulla spiaggia, due bambini piu' grandi lo aspettano. Il ragazzino scende precipitosamente le scale della terrazza e corre a raggiungerli. Bisogna far presto, dice il piu' grande. Il sole sta per sorgere. Corrono verso il mare. Si tolgono i vestiti e si gettano in acqua, nudi. Si abbandonano al mare, nuotando lentamente, con movimenti ampi. Tutti nella stessa direzione. Il loro volto tradisce una tensione inabituale, gli occhi scandagliano l'acqua come per vedere sotto, nel fondo del mare. Il nonno, riprende il ragazzino a voce bassa, dice che lei dorme sotto il mare, da molti secoli. Esce dall'acqua soltanto una volta ogni cambiamento di luna e per un breve istante, quando la stella del mattino, rimpiangendo di dover lasciare la terra, si ferma a guardarla...E allora tutto si ferma...Anche il tempo si ferma improvvisamente...come per ascoltare il silenzio...Allora nel mondo regna l'armonia. Nuotano e i loro occhi scrutano sempre il mare. Che cos'e' il tempo? domanda il bambino. Il nonno dice che il tempo e' un bambino che gioca ad astragalo sulla riva del mare, risponde il ragazzino piu' grande molto seriamente. Smette di nuotare e tuffa la testa nell'acqua. La fa uscire subito, tutta gocciolante. E' qui, dice forte. Alexandre! grida una voce femminile proveniente dalla casa. Tua madre! dice uno dei ragazzi al bambino. Alexandre! Lui si volta e rimane fermo un momento. In lontananza, sulla scalinata dell'elegante casa di campagna che risale all'inizio del secolo, la figura della madre. Poi, senza attendere oltre, il bambino si tuffa come gli altri due, e resta sott'acqua bloccando il respiro. A poco a poco, il movimento svanisce nel mare e, sul fondo dell'acqua compare un'antica citta' fatta di ruderi, di colonne, di vestigia di templi e di case in rovina -- silenziosa, imponente, magica. 2. Si e' ancora addormentato li'? Alexandre, un uomo di quasi sessantacinque anni, dai tratti pallidi e tirati, apre gli occhi. E' seduto in una poltrona, tutto vestito. Una donna del popolo, di mezza eta', e' china su di lui. Sul suo volto si legge un senso di disperazione. Li' vicino, un cane si stira pigramente. Sul tavolo, il pasto servito la sera prima e' rimasto intatto. E sono tre giorni che non mangia nulla! Ho un sapore...il sapore del mare nella bocca, mormora Alexandre. Servo il caffe'? La donna, visibilmente turbata, si eclissa verso la cucina, senza aspettare risposta. A. la segue con gli occhi, il suo sguardo esprime riconoscenza. E' la sola persona a essere restata al suo fianco per prendersi cura di lui dopo la morte di sua moglie, tre anni prima. E' arrivata con l'ondata di Pontios, i greco-russi originari del Mar Nero che hanno lasciato l'URRS al momento del crollo, in cerca di condizioni di vita piu' accettabili. Il rumore sordo della citta' entra dalla finestra. A. si alza con difficolta'. Si sente molto debole. Il salotto e' pieno di libri e di carte sistemate con cura sulla piccola scrivania. Fa qualche passo. La donna porta il caffe'. Si e' infilata il cappotto, pronta a uscire. Ultimo giorno quindi...dice A. con una voce appena udibile, e accenna un pallido sorriso. Il volto della donna si contrae bruscamente. Si sforza di mantenere il sangue freddo. Potrei venire con lei domani, in ospedale. Andiamo! Non rendiamo le cose piu' difficili di quello che sono. A. la guarda con tenerezza. E poi...non e' vero che tutto finisce? Ti ringrazio, Ourania, per questi tre anni...Senza di te non so cosa ne sarebbe stato di me. La sua valigia e' vicino alla porta, balbetta lei nello sforzo di mascherare l'emozione. Spero che non ci hai messo troppe cose. Non ne avro' bisogno, lo sai. La donna si ferma e lo guarda. Le vengono le lacrime agli occhi. Poi si volta e cammina fino alla porta. La apre ed esce. Le lacrime le scorrono lungo il viso. Il cane ha mangiato, dice con voce rotta. La porta si richiude dietro di lei. A. rimane immobile un momento, piantato in mezzo al salotto. Poi si dirige verso la biblioteca e attacca la spina dello stereo. Il concerto per due mandolini di Vivaldi riempie tutto l'appartamento. A. cammina a passi lenti verso il balcone e apre la porta-finestra. Rimane la', in attesa. In quel momento, da li' davanti, forse da uno degli appartamenti dell'edificio che si trova di fronte, la stessa musica gli risponde. A. sorride. Sentiamo la sua voce F.C. In questi ultimi tempi, il mio solo contatto con il mondo e' questo sconosciuto che mi risponde con la stessa musica. Ma chi e'? Una mattina sono andato a cercarlo ma poi ho cambiato idea. Forse e' meglio non conoscerlo...immaginarlo. E' un solitario come me? A volte mi piace credere che sia una bambina che gioca con uno sconosciuto prima di andare a scuola. A. rientra e stacca il filo dello stereo. Mette il guinzaglio al cane. 3. Esce di casa seguito dalla musica dello sconosciuto che l'accompagna fino in piazza. Poi lui si allontana con il suo cane in direzione del porto. Si sente di nuovo la voce F.C. di A. E' stato tutto cosi' rapido! Quel dolore sospetto...il silenzio improvviso dei medici...La mia testardaggine di voler sapere...di capire...E poi il buio...Il corpo che non obbedisce piu'...Il corpo dai contorni che svaniscono a poco a poco nello specchio, fino a divenire un'ombra... A. cammina con il suo cane in riva al mare. Domenica mattina...le strade sono deserte. Di tanto in tanto passa un'automobile isolata. Il fischio di una nave. Il tintinnio di una campana in lontananza. La voce di A. F.C. Tutto faceva pensare che prima che l'inverno finisse, con le sagome eteree delle navi, come spuntate d'improvviso nel cielo, le coppie di innamorati sulla passeggiata nel sole al tramonto, e la promessa ipocrita della primavera....Tutto faceva pensare che prima che l'inverno finisse... Il mio unico rimpianto e' quello di non aver portato a termine nulla. E' rimasto tutto a livello di abbozzo. Delle parole buttate qui e la'...vuote di significato. Imbocca parecchie strade, osservando le case, i marciapiedi che conservano le tracce del giorno prima, gli scorci delle piazze con i loro piccioni. Le strade sono deserte. Neanche un passante in giro... 4. Mentre attraversa l'incrocio principale, nota dei bambini, di quelli che gli automobilisti chiamano i "ragazzini dei semafori rossi", piccoli emigrati, in maggioranza clandestini, venuti da un paese piu' o meno vicino, sempre con un secchio di plastica e una spugna in mano. Alcuni aspettano il cliente, altri sono gia' al lavoro, lavano il parabrezza delle auto ferme. La sua macchina e' parcheggiata piu' giu'. La apre e fa salire il cane sul sedile di dietro, entra e parte. All'incrocio che ha appena attraversato a piedi, il semaforo passa al rosso e l'obbliga a fermarsi. Una mano di bambino che brandisce una spugna appare improvvisamente sul parabrezza...poi un viso di bambino. Il ragazzino, di circa sette anni, passa la spugna sul vetro quando un furgoncino della polizia compare all'angolo della strada. I bambini si eclissano. I poliziotti saltano giu' dal furgone e corrono sulle loro tracce in mezzo alle vetture. Il bambino e' preso dal panico. Un poliziotto lancia uno sguardo nella sua direzione. Rendendosi conto che non c'e' altra via d'uscita, il piccolo gira i tacchi, apre lo sportello della macchina di A. e ci si infila. Richiude la porta. A. e' stupito. L'agente si avvicina. Macchinalmente, A. cede alle mute pressioni del bambino, parte seduta stante e si allontana dall'incrocio. Un po' piu' in la', dopo essersi assicurato che gli altri sono lontani dietro di loro, esce dal traffico e si ferma. Guarda il bambino seduto accanto a lui. Da dove vieni? Il bambino tace. Parli greco? Il bambino tace. Vuoi che ti porti da qualche parte? Il bambino non risponde. Apre la porta e guarda A. come per chiedergli il permesso di andarsene. A. sorride. Il bambino esce. Lancia un ultimo sguardo ad A. Il suo volto si illumina un istante. Si volta e scompare correndo. Un bambino piu' grande, robusto, uno dei bambini del semaforo, compare in direzione opposta. Il piccolo va a raggiungerlo e i due bambini scompaiono dietro alle costruzioni del porto. 5. A. arriva su un grande spiazzo nel quartiere chic della citta'. Si ferma davanti alla porta di un immobile. A una delle estremita' della piazza degli operai stanno installando una pedana destinata probabilmente a un raduno politico. Un giovane fa una prova microfono. Uno...due...uno...uno...due, esclama la voce negli altoparlanti. A. prende il suo cane in braccio ed entra nell'edificio. L'ascensore lo porta all'ultimo piano. Riposa il cane e suona il campanello. La bellissima ragazza che gli apre la porta sembra stupita di vederlo. Buon giorno, papa'. Cosa ti porta qui di domenica? A. la bacia. Entra. Respira profondamente come per riprendere il fiato dopo una corsa. Il cane si aggomitola ai suoi piedi. Devo assentarmi per un po', dice A. Non so dove lasciare il cane. Vuoi qualcosa da bere? chiede la giovane donna. Faccio un caffe'. A. prende dalla tasca interna del cappotto un pacchetto di lettere legate con un nastro. Ti ho anche portato queste...Delle vecchie lettere di tua madre. Le depone sul tavolo davanti a lui. Delle lettere?...Di mia madre? si stupisce la giovane donna. Poi... Non ti siedi? Scompare in cucina. Uno, due...uno...uno, due...urla la voce, fuori, negli altoparlanti. A. rimane immobile, in piedi in mezzo al salotto, col cane ai piedi. Si sente la voce della giovane donna. Sai, Nikos non vuole animali in casa. Ritorna con una tazza di caffe' in mano. E il tuo lavoro? Come va? Il mio lavoro? mormora A. distrattamente. Su "Liberi assediati"...su Solomos...la sua terza stesura incompiuta... Non e' su questo che lavoravi dopo la morte della mamma? Posa il caffe' sul tavolo e prende il pacchetto di lettere. Non ho mai capito, d'altra parte, perche' uno scrittore come te abbandonasse all'improvviso la sua opera per terminare un poema incompiuto del XIX secolo. Scioglie il nodo del pacchetto e le lettere si spargono sul tavolo. Rialza la testa e guarda suo padre. Non dirmi che hai lasciato perdere! Non lo so, bisbiglia A. Non lo so...Forse non trovavo le parole. La giovane nota una lettera. Quella non ha la busta? Aprila e leggi la data. Lei legge la data: un giorno d'estate di trent'anni fa. Rialza la testa e guarda suo padre con un'espressione piacevolmente sorpresa. Ma e' il giorno del mio compleanno! La giovane donna, con la lettera in mano, indietreggia e si siede. Si mette a leggere. La lettera e' indirizzata ad A. Mentre legge, un'altra voce -- la voce di sua madre -- si confonde a poco a poco con la sua e finisce per imporsi. Dormivi ancora quando mi sono svegliata. Ti ho guardato respirare. Sognavi Alexandre? Hai mosso leggermente la mano, come per cercarmi...Sbattevi le palpebre, poi sei ripiombato nel sonno. Una goccia di sudore e' comparsa tra i tuoi occhi, e' scivolata, ha viaggiato... Vicino, il bambino ha emesso un piccolo gemito. Una porta ha cigolato. Sono uscita sulla scala e ho pianto. Avrei tanto voluto trattenere quel momento...Trafiggerlo come una farfalla per impedirgli di volare via! A. si dirige verso la finestra, seguito dalla voce. E' in piedi e guarda fuori. In quel momento vede una donna staccarsi dal parapetto di legno di una scala a cui si era appoggiata. La donna si gira per rientrare. Lo vede alla finestra e gli sorride. E' sua moglie. La donna rientra e ci ritroviamo allora nella casa di campagna in riva al mare, quella della prima scena. Ah! Sei sveglio...dice la donna rientrando. A. la guarda negli occhi. Anna... Hai pianto? Non e' niente, risponde lei, poi, cambiando tono, indietreggia leggermente in modo che lui possa vederla con il vestito nuovo. Come mi trovi? A. sorride. Come un giorno d'estate. Bugiardo! e i chili della gravidanza? A. guarda di nuovo il vestito. E' nuovo? Non ti ricordi? Sei tu che me l'hai portato da uno dei tuoi viaggi. Scuote la testa in un gesto di rimprovero. Pensi solo al tuo libro! Lui l'abbraccia. Lei posa la testa nell'incavo della sua spalla. Amorosamente. Quand'e' che lo consegni all'editore...cosi' ci vediamo un po'? Si sente il rumore di alcune macchine che parcheggiano davanti alla casa. La donna ha un soprassalto. Si rivolge ad A. Eccoli! Non ti vesti? Si dirige verso la porta che da' sul giardino. La apre ed esce. Le portiere delle macchine vengono chiuse. Saluta, abbracci. E poi una sfilza di gente esuberante, di ogni eta', invade la casa con le sue voci gioiose. E il padre felice dove si nasconde? chiede un uomo grosso con una voce gioviale da baritono. La sorella di A. scoppia a ridere. Come sempre e' sprofondato nei suoi pensieri. E' qui ma non c'e'. Quando eravamo bambini, io e Nikos dovevamo parlare a voce bassa quando lavorava. Neanche a parlarne di giocare. Era la legge marziale! Un uomo accenna una melodia con la fisarmonica. Arriva, arriva! Si sta vestendo, dice la moglie di A. ridacchiando. Guarda tutti. E adesso, se volete vedere la piccola meraviglia, seguitemi! Affretta il passo per raggiungere la scala. La famiglia si muove dietro a lei. Lei scende giu' per le scale, seguita da tutta questa gente, e si ritrova sulla sabbia. La', vicino al mare, una donna di mezza eta' e' seduta su una sedia con un neonato in braccio. Fratelli, sorelle, cugini, tutta la famiglia si piazza intorno alla donna seduta -- la madre di A -- e guardano il neonato senza fare un fiato. Com'e' carina! esclama una cugina. Si sente la voce F.C. della moglie di A. che prosegue la lettera: Ti scrivo davanti al mare immobile, sfumato. La casa profuma di latte caldo e di gelsomino umido. Ti scrivo, ti parlo...Ho l'impressione di esserti cosi' vicina, tanto che credo tu ti senta minacciato e che opponga resistenza. Credi che io minacci il tuo mondo, Alexandre? Ma sono solo una donna innamorata. La notte, quando non riuscivi a prender sonno, restavo in silenzio al tuo fianco, ma immaginavo con terrore quello che potevi pensare...Che avevo spezzato l'armonia che tu ti sforzavi di creare dentro di te...Allora ho fatto parlare il mio corpo -- il solo mezzo che io conosca -- perche' tu non ti senta piu' minacciato. Sono solo una donna innamorata, Alexandre. Io non capivo, Anna, dice A., tornato al momento presente. Gli trema la voce. Che dici, papa'? domanda sua figlia che stacca gli occhi dalla lettera, ancora tutta commossa. Io non capivo, mormora A. come per giustificarsi agli occhi di sua figlia. Fa due passi verso di lei. Fuori, sulla piazza, la voce del giovane urlata negli altoparlanti. In quel momento, un uomo esce dalla sua stanza ed entra in salotto. E' il genero di A. Lo saluta. Fortuna che ti vedo! Volevo parlarti...Sai...abbiamo venduto la casa al mare... Avete venduto la casa? fa A. visibilmente turbato. Domani mattina consegno le chiavi e il bulldozer incomincia il suo lavoro. Silenzio. A. e' livido. E' il tuo cane? domanda il genero per cambiare discorso. A. non risponde. Fa qualche passo. Poi prende il cane e si dirige verso la porta. Perche', papa'? dice sua figlie che corre verso di lui. Che ti succede? Che hai? Sei tutto pallido. Ti ricordi il nostro primo viaggio? domanda A. Dovevi avere...piu' o meno quindici anni. Tutti e due, a Yannina, per quel maledetto torneo di tennis...Avevi perso e piangevi. Papa', che potevo fare?...Era il crollo delle mie speranze! Camminavamo mano nella mano sulle rive del lago...Eri inconsolabile... Le accarezza furtivamente i capelli. Poi, all'improvvsiso, si riprende il cane ed esce con la schiena curva. 6. Una volta fuori rimane immobile, ancora sotto shock. Fa entrare il cane nell'auto. Alza la testa e guarda, su in alto, la finestra di sua figlia. Un istante. Poi si rivede la sua automobile nel flusso del traffico mattutino. Rifa' lo stesso percorso. All'incrocio -- quello che aveva attraversato all'andata --, esita un momento. Come all'andata, il semaforo passa al rosso obbligandolo a fermarsi. E' allora che rivede il bambino. Insieme al suo compagno piu' grande, lavano i vetri delle vetture ferme. A. non riesce a capire cosa gli succeda. Il piccolo lo turba senza che egli possa spiegare perche'. Forse perche' e' cosi' piccolo? Forse perche' sembra cosi' vulnerabile? Il grande lo guida nel lavoro, gli fa vedere come si fa. Improvvisamente, un camioncino ricoperto da un telone si ferma li' vicino. Ne escono due uomini. Zingari? Mafia albanese? Si avvicinano ai bambini e discutono con loro come se parlassero di affari. Il piccolo ha l'aria terrorizzata. Il grande sembra rifiutare la loro proposta. Il piu' robusto dei due uomini agguanta il bambino e lo getta, come fosse un fascio di fieno, sulla piattaforma del suo furgoncino. Intanto, l'altro incomincia a picchiare furiosamente il bambino piu' grande che resiste accanitamente. Fanno a botte. Allora il piu' robusto dei due uomini interviene nella lite e, insieme all'altro, trascinano il ragazzino fin dentro il furgone. I due uomini prendono posto anche loro, nella parte posteriore del veicolo che si immette sul viale. Senza riflettere, ma trasportato dalla violenza della scena, A. li segue. 7. Il camioncino esce dalla citta' e si immette sull'autostrada. Dopo qualche chilometro svolta e si ferma davanti all'entrata di un vecchio albergo. Gli uomini fanno uscire i bambini dalla vettura e scompaiono insieme a loro dietro alle mura dell'edificio. Un lussuoso pullman vuoto e' parcheggiato all'entrata dell'albergo. Nello stesso momento, arriva un secondo pullman e si ferma davanti all'albergo. Ne scende un gruppo di persone anziane. Apparentemente degli stranieri, a giudicare dai loro vestiti e dai frammenti di conversazione che arrivano alle orecchie di A. Senza capire, A. si ritrova in mezzo al gruppo, poi, rendendosi conto che e' una fortuna insperata, si introduce, come fosse uno di loro, nell'albergo. Osserva il posto. Nulla di insolito...Se non fosse per questa calma, forse...E la musica?...Il bel Danubio blu in un'interpretazione penosa. Attraversano il corridoio quando lo sguardo di A. coglie una scena strana in una stanza dalla porta semi-aperta. Una coppia di persone anziane sta negoziando con un uomo che ha lo stesso sguardo da bestia feroce dei due rapitori. Lo straniero alla fine tira fuori dei dollari dalla tasca e conta le banconote sotto lo sguardo del suo interlocutore. A., che ha seguito gli altri, si ritrova improvvisamente in un posto bizzarro, una specie di sala in fondo alla quale e' stato improvvisato un podio per accogliere un'orchestra zigana. Davanti al podio sfilano dei bambini, come in una sfilata di moda. Sono piccoli, per la maggior parte. Entrano da una porta, camminano, si fermano un momento davanti al podio, il viso rivolto verso un gruppo di persone anziane e straniere come le altre, che hanno preso posto su alcune sedie disposte come per uno spettacolo teatrale. Poi i bambini escono lentamente da un'altra porta. Un personaggio dirige questo va e vieni di bambini mentre un ragazzo registra le ordinazioni. A. prende posto insieme agli stranieri. Lo spettacolo assomiglia a una strana cerimonia. Si alza una donna e fa un cenno all'uomo che orchestra la cerimonia. Lui trattiene il bambino che in questo momento si trova di fronte al podio, obbligandolo a rimanere qualche minuto di piu'. La donna, dopo aver esaminato il bambino con attenzione, viene avanti, seguita da suo marito, ed esce sul corridoio. Tutto si svolge in silenzio. Poi, mentre il bambino si rivolta e scompare dietro la porta, entra uno dei due rapitori con tre bambini nuovi, tra i quali il piccolino, stavolta senza il suo compagno. A. si alza improvvisamente. Quando lo sguardo impaurito del piccolo, che sta scrutando la sala, si posa su di lui, il suo volto si illumina. I loro sguardi si incrociano. Il piccolo da' un'occhiata all'uomo che, accanto a lui, sorride servilmente agli stranieri, poi, uscendo dalla fila, scappa, si intrufola tra le coppie di persone anziane che non dicono una parola e, ansimante, si ferma davanti ad A. Non voglio, dice il ragazzino in greco, col fiato corto. L'uomo che conduce la cerimonia fa per raggiungere il ragazzino ma si ricrede. Grida qualcosa in albanese ed esce correndo nel corridoio. Nella sala serpeggia il disagio. L'orchestra si ferma bruscamente. I musicisti si alzano, preoccupati. A. esita per un attimo. Tutti gli stranieri, voltati verso di lui, lo stanno scrutando. Lui prende il bambino per mano. Si sforza di mantenere il sangue freddo. Cammina verso l'uscita, varca la soglia e la' si ferma. Davanti a lui , nel corridoio, tre quattro degli uomini dal viso sinistro che hanno montato l'affare gli sbarrano la strada. A. capisce che non ha scelta. Tira fuori il portafogli dalla tasca e lo svuota su un tavolinetto. Ne esce un rispettabile numero di biglietti di banca. E' tutto quello che ho, dice con voce impostata. Poi prende il bambino per mano, si fa largo in mezzo agli uomini che si trattengono per non saltargli addosso, ed esce. 8. Nel cortile, il camioncino che ha portato il ragazzino parte; sulla sua piattaforma ci sono degli uomini. Scompare a velocita' sostenuta. Al volante della sua vettura, A. preme sull'acceleratore, il piccolo al suo fianco. Non gli ci vuole molto per ritrovarsi con sollievo sull'autostrada. 9. e 10. L'auto di A., che viene da lontano, si ferma davanti a uno di quei bar che spuntano come funghi sull'autostrada. A. apre lo sportello. Fa qualche passo. Poi si volta per guardare il bambino che continua a tenere la testa bassa. A. entra nell'edificio. Chiede un bicchier d'acqua e un panino a un uomo in piedi dietro al bancone. Quanto...Sai quanto tempo ci vuole fino alla frontiera albanese? gli domanda. L'uomo gli porge un bicchier d'acqua. Dipende...dice. Scrolla le spalle e prepara il panino. A. inghiotte una pillola insieme al bicchier d'acqua. Forse due ore, riprende l'uomo dietro al bancone, forse di piu'...Bisogna attraversare la montagna. A. guarda l'orologio ed esce. Nello stesso momento, un autobus lascia l'autostrada e si ferma davanti al bar. I viaggiatori scendono per sgranchirsi le gambe. Alcuni vanno a prendere un caffe' al bar. A. esita un momento. Poi si avvicina alla porta aperta e interpella l'autista. Fino all'incrocio...sai, dove la strada si biforca per la frontiera...quanto bisogna calcolare? E' vicinissimo, risponde l'autista facendo uscire dalla bocca una boccata di fumo. Meno di mezz'ora. A. lo ringrazia con un gesto della mano e si appresta a ritornare alla macchina. Quando si e' avvicinato, vede che il bambino e' scappato. Si dirige a tutta velocita' sull'autostrada. Vede il bambino che si allontana precipitosamente in direzione della citta'. Lo chiama. Il bambino si volta, pronto a tagliare la corda. A. alza la mano, brandendo il panino. Il piccolo esita un momento. A. si dirige verso di lui, col panino in mano. Gli arriva accanto. Gli porge il panino che il bambino comincia a inghiottire con avidita'. Sempre pronto a scappare, eh? gli dice A. con tono scherzoso. Riprendono la strada del bar. Il bambino mangia. Camminano un momento in silenzio. Come hai passato la frontiera? gli chiede a bruciapelo. Il piccolo mangia. Non vuoi dirmelo? A piedi. Con Salim. Siamo dello stesso villaggio. A piedi? mormora A. visibilmente colpito. Il piccolo inghiotte un boccone. Hai famiglia laggiu'? Il piccolo tace. Inghiotte un altro boccone. Mia nonna, dice a voce bassa, dopo un momento di esitazione. Si fermano per lasciar passare un trattore che attraversa l'autostrada. Rimangono un momento in silenzio. Il tuo villaggio...e' lontano? Si vede dalla stazione di frontiera. Prendono tutti e due posto in macchina, lasciando la porta aperta. A. si volta verso il piccolo. Senti, non posso abbandonarti dopo tutto questo, dice come per scusarsi. Solo che...domani, parto per un viaggio...Non ho tempo...Bisogna che io trovi una soluzione, capisci? Il piccolo rimane zitto. L'auto parte e scompare sull'autostrada, stavolta in direzione nord. 11. Incrocio. Un cartello segnala Monastir. Un altro, l'Albania. Un terzo indica i laghi, sempre dritto. La strada per l'Albania si inerpica su per la montagna. Un po' piu' lontano, una stazioncina abbandonata. L'umidita'...e qualche chiazza di neve che non si e' sciolta. Il bambino e' accovacciato su un lato della strada. Dall'altro, A. si trova accanto alla macchina. Di tanto in tanto, comincia a camminare di lungo in largo, attanagliato dall'angoscia. Passano una o due vetture suonando il clacson; prendono la strada dei laghi. A un certo punto, arriva un piccolo mezzo turistico. Li schizza di fango poi prende la strada in alto prima che A. gli possa fare un cenno. Quasi subito si vedono arrivare tre mezzi pesanti con la targa albanese. A, si precipita sulla strada e agita la mano. Il terzo camion si ferma. A. corre, ma non l'ha ancora raggiunto che il terzo camion riparte e scompare sulla strada di montagna dietro agli altri due. L'incrocio e' di nuovo deserto. A. ricomincia a fare su e giu' nervosamente. Il piccolo si alza e gli si avvicina. A. lo fa entrare in macchina. Nello stesso momento una vettura scende giu' dalla strada di montagna e gira in direzione di Salonicco. A. si precipita a farle segno. Il conducente frena. Le si e' fermata la macchina? No, risponde A. ansimando. Volevo...Da qui quanto ci vuole per raggiungere la citta' piu' vicina? Basta passare la montagna, risponde l'altro. Ma attento. Si rischia di andare fuori strada. E' scivolosa. 12. 13. L'auto percorre la strada che scende a serpentina lungo il versante innevato della montagna. A una svolta, vede improvvisamente comparire la frontiera. L'auto si ferma davanti alla stazione di frontiera greca. Esce un poliziotto. A. gli fa vedere il passaporto. Ho un piccolo...clandestino con me...Vuole rientrare. L'ufficiale gli rende il passaporto. Un altro! afferma scuotendo la testa. La vettura entra nella terra di nessuno. Dietro di loro, la stazione di frontiera greca scompare. Neve dappertutto. L'auto avanza sulla neve. Un po' piu' tardi, vediamo profilarsi la stazione di frontiera albanese, uno strano edificio costruito in stile realista socialista, dai muri sbiaditi. La strada e' chiusa da una barriera. A. nota, a destra e a sinistra della strada, barriere di filo spinato che corrono a perdita d'occhio partendo dalla stazione di frontiera. E, aggrappati al fil di ferro, come passeri sui fili elettrici, gli uni piu' in alto, gli altri piu' in basso, decine di bambini hanno gli occhi inchiodati alla vettura. Brandiscono pacchetti di sigarette, fazzolettini di carta e altre cosette. Il piccolo lancia un'occhiata ad A. ed apre la portiera. Esce. Anche A.. Rimane immobile, visibilmente impressionato dallo spettacolo. Tre Albanesi -- un ufficiale e due soldati -- fanno capolino dalla stazione di frontiera e vengono a piazzarsi accanto alla barriera. A. si volta verso il piccolo. Abbozza un sorriso. Gli dispiace lasciarlo. Sa cosa lo aspetta. Sta per dire qualcosa, come per scusarsi. Il volto del bambino e' impenetrabile. Fa qualche passo. Improvvisamente alza la mano e punta il dito verso una montagna in lontananza, in direzione della frontiera albanese. Il passaggio e' laggiu', dice. Salim lo sapeva perche' l'aveva gia' fatto. Ci sono dei segnali che hanno lasciato i grandi...delle buste di plastica attaccate agli alberi...Se non li conosci, sei perduto. La neve ti inghiotte. Cammina a passi lenti verso la barriera. Da una busta...all'altra...Si arriva su un altopiano e la'...non c'e' piu' un albero. Mentre continua a parlare, si allontana a poco a poco. Salim si e' arrabbiato perche' io non sapevo niente e perche' volevo passare. Ci sono delle bombe nascoste, piccolo idiota! mi ha detto. E il piccolo si accovaccia per far vedere come facevano. A. ascolta sconcertato il racconto del bambino. I bambini sul filo spinato hanno fatto silenzio e guardano il piccolo. Anche l'ufficiale albanese e i due soldati. Ha preso una grossa pietra, prosegue il piccolo, e l'ha lanciata davanti a se'...poi si e' accovacciato anche lui, aspettando che ricadesse a terra. Dato che non e' successo niente, siamo andati avanti fino alla pietra. Il piccolo continua a mimare, continuando a raccontare la scena, e cammina come se attraversasse un campo minato. Si accovaccia, si rialza, cammina con precauzione, lancia una pietra immaginaria. Mi ha spinto per terra, ha ripreso la pietra, l'ha rilanciata piu' lontano...Io avevo paura, avevo freddo... Abbiamo camminato fino alla pietra... Tace. Ha percorso cosi' quasi meta' della strada che lo separa dalla barriera. Si ferma e si volta verso A. E cosi', lanciando la pietra, siamo arrivati dall'altra parte...Abbiamo visto delle luci da lontano... Tace di nuovo. Guarda davanti a se' la barriera, le sentinelle, i bambini sul filo spinato. Poi, all'improvviso, invece di avanzare verso la frontiera, se ne ritorna lentamente alla macchina. A. e' interdetto. Non capisce. Il piccolo lo raggiunge, a testa bassa. Non ho nessuno, veramente. Ho detto una bugia. A. e' costernato. Guarda i soldati, i bambini sospesi al filo spinato, il fango, la neve. Si lascia cadere sul sedile dell'auto, lasciando i piedi fuori. Si prende la testa fra le mani. Ti ho detto che dovevo partire domani, dice al bambino con voce appena udibile. Il bambino continua a tenere la testa bassa. L'ufficiale albanese, scortato da un soldato armato, grida qualcosa, poi si dirige affrettando il passo verso la macchina. A. lo vede attraverso il parabrezza. Ci sei riuscito un'altra volta! gli dice brontolando. Sali dietro e nasconditi! Il volto del bambino si illumina. Apre lo sportello di dietro, entra e si nasconde. L'ufficiale albanese e il soldato si mettono a correre gridando verso l'automobile di A. A. parte. Fa una svolta brusca, i suoi pneumatici pattinano sulla neve. Poi, per quanto glielo permettano la vettura e il fango, riparte di corsa sulla strada che lo riporta alla stazione di frontiera greca. Il poliziotto greco esce dalla stazione. A. lo saluta con la mano e l'automobile, col suo piccolo passeggero clandestino, si addentra in suolo greco. 14. Un'ora piu' tardi, l'auto riappare sull'altro versante della montagna, scende giu' per la china e si ferma sulla riva del fiume. In quel punto si trova, all'ingresso di un ponte accanto al quale sono fermi due camion, un piccolo bar. I camionisti sono in piedi, hanno il bavero delle giacche rialzato, e mangiano. Il piccolo esce dalla macchina, tutto gioioso. Puoi dirmi perche' hai voluto che ci fermassimo? chiede A. Il piccolo non risponde. Va al bar e si compra un panino con i suoi magri risparmi. A. esce dalla macchina. Il piccolo brandisce il panino come aveva fatto A. sull'autostrada. Come se volesse dire: ne vuoi? A. cammina verso di lui scuotendo la testa in segno di rifiuto. Sorride. Camminano sulla riva del fiume mentre il piccolo mangia e osserva l'acqua. Recita qualcosa, apparentemente un verso di una poesia. A. rimane interdetto. Si ferma. Cos'e'? Una canzone...La cantava mia nonna...quando ero piccolo. Ridilla, fa A., con uno strano sorriso sulle labbra. Il piccolo ripete. A. coglie una parola della frase del bambino e la ripete a voce alta. Sai che e' una parola vecchissima? Il piccolo lo guarda sorpreso. A. tira fuori una moneta dalla tasca e la porge al bambino che esita a prenderla. A. si ferma. Ti racconto una storia. Camminano sulla riva. Il bambino continua a mangiare. C'era una volta un poeta...il secolo scorso...Un grande poeta. Era greco ma e' cresciuto e ha vissuto in Italia. Un giorno venne a sapere che i Greci, che all'epoca subivano il giogo ottomano, avevano preso le armi per riconquistare la liberta'. Allora gli successe una cosa... In quel momento, un giovane vestito come un nobile dell'inizio dell''800, compare e cammina sulla riva opposta a quella in cui A. sta passeggiando in compagnia del bambino. E' assorto nei suoi pensieri e, di tanto in tanto, agita le mani come se facesse un monologo. La voce di A. prosegue: ...Si ricordo' dei suoi primi anni di infanzia nell'isola in cui viveva ancora sua madre. L'uomo di fronte affretta il passo improvvisamente, come se avesse appena preso una decisione, e sale su un calesse che parte subito. Non riusciva piu' a dormire, prosegue la voce F.C. di A. Camminava e delirava...Ogni notte vedeva sua madre, vestita da sposa, che lo chiamava. Il paesaggio invernale lascia il posto ad un altro, che sembra un po' quello della Grecia settentrionale e dell'Italia. Quasi immediatamente, il calesse entra al galoppo nelle strade di una citta' italiana del XIX secolo. Si ferma sulla piazza centrale, davanti al sontuoso edificio del teatro dell'opera. Un giovane in redingote, che sfoggia una capigliatura da poeta, salta dalla carrozza e si precipita sulla grande scalinata di marmo. Entra nel Teatro dell'Opera, percorre le scale all'interno a due a due e si introduce in una loggia. Il teatro e' gremito. Sulla scena un soprano sta cantando l'aria della Casta Diva. Prende posto a fianco di giovani della sua eta'. Pensavamo che non saresti venuto, bisbiglia uno di loro in italiano. Ho preso la mia decisione, risponde il giovane, anche lui in italiano. Parto per la Grecia. Non posso piu' rimanere qui. Dopo tanti secoli, i Greci prendono le armi. E un poeta cosa puo' fare? Cantare la rivoluzione, piangere i morti, invocare il volto perduto della liberta'. A. e il bambino, vestiti come al solito, sono seduti nella loggia vicina. Stanno guardando il poeta. Poi si alzano ed escono in punta di piedi. Scendono le scale del Teatro dell'Opera. Sentiamo la voce magica del soprano che termina la sua aria nel trionfo generale. Voleva cantare la rivoluzione ma non parlava la lingua di sua madre. Il giorno dopo si imbarco' su una nave, in direzione di Genova. Arrivo' in Grecia, poi nella sua isola. Ritrovo' i volti, i colori, i profumi, la casa di famiglia, ma non conosceva la lingua. Allora si mise a bighellonare tra la gente semplice, nei quartieri popolari e nei campi, con un quadernino sotto il braccio, annotando tutte le parole che sentiva per la prima volta e pagandole uno scudo. La notizia si sparse in tutta l'isola. Allora i poveri, grandi e piccoli, si riunirono e presero d'assedio la sua casa per offrirgli delle parole. E lui pagava per ogni parola che sentiva per la prima volta. E' cosi' che scrisse il suo Inno alla liberta'. Continuano a scendere le scale del Teatro dell'Opera. Ha anche scritto altre poesie, di cui una, molto lunga, che si intitola Liberi assediati. Passo' tutto il resto della sua vita a cercare di terminarla. Ma non ne ha avuto il tempo. Gli mancavano le parole... Scendono gli ultimi scalini in silenzio. A. apre la grande porta del teatro che da' sulla piazza. La porta si richiude dietro di loro. 15. L'automobile entra a Salonicco. Domenica. E' pomeriggio avanzato. La circolazione e' aumentata considerevolmente. Si fermano al semaforo dove A. aveva visto il bambino per la prima volta. L'incrocio e' vuoto. I bambini dei semafori sono scomparsi. I tuoi amici sono scomparsi... Il piccolo tace. ...e io devo assolutamente vedere una persona, aggiunge A., che lancia uno sguardo interrogativo al bambino. Verde. 16. L'auto si infila nel quartiere del vecchio mercato che, con le sue piccole botteghe chiuse, porta i segni di un'altra epoca. A. parcheggia la macchina. Fa uscire il cane. Domanda la strada a un passante. Cammina verso il vecchio mercato che circonda un quartiere di baracche abitate da persone originarie del Pontios. Si sente una musica che proviene da li'. Il piccolo lo segue fino all'entrata del mercato e la' si ferma. A. capisce che non vuole entrare. Lo lascia ed entra con il cane. Rimane interdetto vedendo che e' piombato nel bel mezzo di una cerimonia nuziale. Una piccola orchestra improvvisata batte il ritmo. Al centro, i giovani sposi ballano una danza popolare slava, dal ritmo rapido, e tutti gli altri -- quasi un centinaio -- battono le mani in modo cadenzato, e cantano. Le persone presenti alle nozze sono sorprese nel vedere entrare con il suo cane quest'uomo strano ed estraneo. I giovani sposi si bloccano e lo osservano. Anche gli altri si fermano. Anche la musica, con un suono di strumenti scordati. Si diffonde un silenzio imbarazzante. Allora, in mezzo a tutta questa gente, distinguiamo Ourania, la donna che faceva le pulizie. E' stupefatta di vederlo li'. Lo guarda, muta, turbata. Ho portato il cane, Ourania, dice A. Depone il cane che riconosce Ourania e corre a strofinarsi ai suoi piedi. Non so dove lasciarlo. Ourania prende il cane tra le braccia. Indica macchinalmente il giovane sposo. Mio figlio. Mi scusi, dice A. ...Non avevo un posto dove lasciarlo...Ho rovinato la festa...Mi scusi. Lasci che l'accompagni domani, dice Ourania sempre piu' turbata. A. non risponde. Guarda la coppia di giovani sposi. Sono belli, dice. Tace. Sai, Ourania, aggiunge dopo una pausa, mia figlia e suo marito hanno venduto la casa del mare. Volevo... Tace. Indica il cane. Forse ha fame. Abbozza un sorriso. Poi si volta e si dirige verso l'uscita del mercato. Prima di uscire, si volta di nuovo per gettare un ultimo sguardo. Ourania e' rimasta immobile, col cane tra le braccia, sul punto di scoppiare a piangere. 17. Uscendo non vede il bambino. Entra nella strada vicina e lo vede camminare tranquillamente, con gli occhi inchiodati alle insegne dei negozi chiusi. Gli si avvicina. Il piccolo legge stentatamente il nome delle insegne. Una donna esce su un balcone e, rivolgendosi a qualcuno all'interno, dice guardando il cielo: Sta per piovere! Il piccolo continua a cercare di decifrare. Mentre il bambino continua a leggere le insegne, passiamo ora alle insegne di una strada commerciale di Zante, l'isola del poeta del secolo scorso. Lo stile della strada cambia progressivamente: i vestiti dei passanti, i veicoli, le case. Alla svolta della strada, scopriamo una piazzetta del centro, caratteristica del XIX secolo. In piedi, in silenzio, davanti a una casa signorile, una cinquantina di uomini di ogni eta' hanno gli occhi fissi su uno dei balconi della casa. I loro vestiti sembrano tradire poverta'. Venditori ambulanti, mendicanti, bambini di strada. In quel momento si apre la porta ed un uomo esce sul balcone, con un quaderno in mano. A. e il bambino riconoscono il poeta. Allora la folla si muove, come se stesse aspettando proprio lui, e si raccoglie con alte grida sotto il balcone. La porta d'ingresso si apre e ne esce un altro uomo. La folla urla. Urla delle parole. Solo parole. Parole strane, mai sentite o parole di altri tempi. Il poeta ascolta le parole che gli lancia la folla e di tanto in tanto ne annota una sul suo quadernino, quando ne sente una che non conosce. L'uomo sulla porta paga. Parole, parole, parole. La folla urla. A. si apre la strada insieme al bambino in mezzo alla folla. Scompaiono nella strada che, a poco a poco, riprende il suo aspetto iniziale mentre il piccolo continua a decifrare una o due insegne, fino al momento in cui escono sulla strada panoramica, piena di automobili e di grida. Il tempo si e' addolcito. Il vento ora soffia verso sud. 18. A. e il bambino camminano sul lungomare. Si muovono in silenzio in mezzo alla gente a passeggio in quella domenica pomeriggio. Il piccolo lancia degli sguardi insistenti ad A. che e' livido in volto e soffre visibilmente. A un certo momento, come se non potesse piu' continuare, A. si lascia cadere su una panchina della passeggiata. Il piccolo prende posto accanto a lui. La folla circola davanti a loro, in un via vai incessante. Restano in silenzio ancora un momento, a guardare il mare. Se ti portassi delle parole? gli chiede il bambino a bruciapelo, evidentemente per distrarlo. A. alza la testa. Sorride commosso. Il piccolo lascia la panchina e si avvia. Potrebbero essere care, dice scherzando. Il sorriso di A. e' livido. Il bambino, come se avesse avuto il permesso, si gira e si allontana. Cammina con le mani dietro la schiena, in mezzo ai passanti e alle persone a passeggio, e tende l'orecchio. La sua camminata lenta, contraria al flusso degli altri, lo fa sembrare un sonnambulo. A. pensa a Jackie Coogan nel film di Chaplin. Cammina e ascolta...Cammina e ascolta. Ritorna dopo poco tempo. Si piazza davanti ad A. e gli propone le parole che ha raccolto ad una ad una. A. scuote la testa in un gesto di rifiuto. Le conosco. Il bambino non si smonta. Si mette le mani dietro la schiena. Te ne porto delle altre. E ritorna in mezzo alla folla. A. si alza lentamente dalla panca e si avvicina al molo. Guarda l'acqua. In quel momento gli arrivano delle voci gioiose. Andiamo all'isola! Andiamo all'isola! Non vieni? 19. A. alza la testa e la', davanti a lui, su di un grande caicco, lo aspetta tutta la famiglia, identica a come era nella precedente evocazione. A. avanza, come in un sogno, sale sulla passerella ed entra nel caicco che prende il largo e scompare in mare, accompagnato dalle festose ovazioni dei suoi passeggeri. Camminavo nuda sulla sabbia. Soffiava il vento... Passava una nave. Tu tardavi a risvegliarti. Sentivo ancora il tuo calore su di me. Non osavo sognare che tu mi sognassi. Ah! Alexandre... Se potessi crederci per un solo istante, non sarei altro che un grido. Il caicco si avvicina a un isolotto roccioso, lungo e stretto come una nave che voghi in mare aperto. Delle rocce grigie e, davanti, la sabbia. A. guarda l'isolotto. Dietro di lui, gli altri cantano al suono della fisarmonica. Alcuni si gettano in mare prima del tempo. Perche' ancora solo? E' sua moglie. E' tanto tempo che non vengo piu' sull'isola! L'ultima volta era con i miei compagni...tutti studenti del primo anno...All'epoca ci tuffavamo ancora per vedere la citta' sommersa poi, una volta sulla barca, facevamo finta di essere gli Argonauti... Una pausa di silenzio. Poi... ...Una volta messa la barca al riparo del vento, abbiamo scalato le rocce...Arrivati in cima, gridavamo agitando i fazzoletti per fare segno alle navi che passavano, come dei naufraghi! Abbiamo persino inciso i nostri nomi e abbiamo giurato di ritornare, tutti insieme, lo stesso giorno... Sorride. Solo che sono ritornato solo...e per caso. Sei tu il caso? La donna ride. Il caicco getta l'ancora. Scendono tutti sulla spiaggia. Le donne piu' anziane, con l'aiuto di tavole e assi che gli uomini hanno tirato giu' dalla barca, apparecchiano una grande tavolata davanti al mare. A. aiuta sua madre a scendere. I bambini sguazzano nell'acqua lanciando grida. I piu' grandi si allontanano per andare ad esplorare l'isola. La tavola e' ricoperta con una grande tovaglia bianca e le donne stanno portando da mangiare. Si stappa la prima bottiglia di vino.La madre di A., seduta su una sedia, guarda il mare. Sogno tuo padre ogni notte, in questi ultimi tempi, dice ad A. Se ne e' andato cosi' presto! Tu eri in viaggio, un'altra volta... Perdonami...dice A., in tono di scusa. Tu non gli sei mai stato legato...Lo contraddicevi sempre...Lui ne soffriva...Mi manca tanto! Ho preso il primo aereo appena ho potuto, mamma. Sua moglie gli si avvicina. Che state tramando voi due? Porge un bicchiere di vino ad A. e ne tiene uno per se'. Sensuale. Vieni? A. ha un momento di esitazione. Si. Si. Si! sussurra lei. Indica la spiaggia con lo sguardo. Voglio arrampicarmi fino in cima, dice lui. Lei scuote la testa, delusa. Si allontana a piedi nudi. Non ci mettero' molto, grida A. Comincia a scalare le rocce ad una ad una fino in cima. Le voci degli altri svaniscono dietro di lui. Il vento e' violento. Arriva in cima. Tutto intorno, il mare a perdita d'occhio. Si piega per strofinare con la punta delle dita un angolo di roccia ai suoi piedi. Legge e sorride. Christos...Vassilis...Alexandre...Estate 50... Alza la testa. Passa una nave. Ehi! Ehiiii! urla. In quello stesso momento, un bimotore che sventola uno striscione pubblicitario passa nel cielo e si allontana in direzione del continente che si profila all'orizzonte. Fa un mezzo giro e torna indietro. Nel momento in cui passa rombando, il molo di Salonicco entra nel campo visivo con il suo via vai della domenica, la calca, il bailamme di macchine. Si sentono uno sciabordio in mare e delle voci. Che succede? Dei curiosi raggruppati all'estremita' del molo guardano il mare. Un bambino e' caduto in acqua! Un giovane si toglie la camicia e si getta in mare. A. si dirige verso l'assembramento e guarda. Il giovane riprende il bambino dall'acqua e gli tiene la testa. E' una bambina di otto anni. A. si guarda intorno, inquieto. I suoi occhi cercano il piccolo nella folla. Non e' ritornato. A. si fa strada in mezzo ai curiosi nella direzione presa dal bambino la seconda volta. Il piccolo e' scomparso. A. lo cerca da un capo all'altro della passeggiata, sconvolto. Il piccolo e' scomparso. Nello stesso momento, in mezzo alla gente che sta bighellonando, un uomo giovane, elegante, si ferma bruscamente, sorpreso di vedere A. Buongiorno. A. si volta. Lo riconosce. Ah! E' lei dottore, ero distratto. Ero preoccupato per lei, dice il medico. Esita. ...Temevo che... ...non ha un'evoluzione cosi' rapida, dice A., sarcastico. Entro domani. Lei mi aveva detto: "...Quando il dolore comincia a diventare insopportabile..." Vede...non sapevo come dire...La mia posizione non era semplice...Ho una tale ammirazione per lei... Si guardano. Negli occhi del medico si legge la paura. Si stringono la mano furtivamente. A. lo vede allontanarsi sul marciapiedi di fronte come se avesse ]ncontrato la morte. 20. A. spinge la porta girevole di un edificio ed entra. Interroga il portiere, sale le scale e si infila in un lungo corridoio fiancheggiato da una parte e dall'altra da porte tutte identiche. Bussa su una delle porte ed entra. La stanza e' del tutto impersonale, quasi nuda. Una vecchia signora sui novant'anni, e' seduta sul bordo del solo letto della camera. La televisione e' accesa senza audio. Un'infermiera sta imboccando la vecchia. Su, piccola mia, bisogna mangiare la passata! La vecchia mangia distrattamente, lo sguardo perso nel vuoto. A. saluta l'infermiera, prende una sedia e viene a sedersi accanto alla vecchia signora. L'infermiera si alza. Gli occhi della vecchia rimangono immobili. Sembra perduta nel suo mondo. A. le prende le mani. Mamma, scusami per non essere venuto tutto questo tempo. Sai...c'e' sempre qualcosa... Non la riconosce, dice l'infermiera. Non riconosce nessuno. Tutt'al piu' la mia voce, forse. La vecchia sorride nel vuoto a un personaggio invisibile, poi si liscia una ciocca dei capelli bianchi. E' da un'altra parte, bisbiglia l'infermiera. L'altro giorno mi ha domandato una cartella per andare a scuola... Ieri cercava le posate d'argento del corredo... A. e' sconvolto. Le sue mani tremano tra quelle della vecchia che ha sempre lo sguardo nel vuoto. E' meglio che vi lasci soli. Tornero' piu' tardi, dice l'infermiera. Esce. A. alza la testa. Ha gli occhi pieni di lacrime. Mamma, sono venuto per dirti arrivederci, mormora. Me ne vado. Tace. Poi improvvisamente, prorompe. Perche', mamma? Perche' niente e' andato come ci aspettavamo? Perche'? Perche' bisogna marcire in silenzio, divisi tra il dolore e il desiderio? Perche' ho vissuto la mia vita in esilio? Perche' non ho vissuto il ritorno se non le rare volte in cui mi e' stato concesso di parlare la mia lingua? La mia lingua...Quando ho potuto ancora ritrovare delle parole perdute o tirar fuori dal silenzio delle parole dimenticate? Perche' e' stato allora e allora solamente che ho sentito l'eco dei miei passi nella casa? Fa una pausa, piega la testa. Poi, dolcemente: Dimmi, perche' non sapevamo come amare? Perche', mamma? Tutt'a un tratto lo sguardo della vecchia signora ritorna vivo. Si volta per guardare la finestra. Si alza bruscamente e si dirige il piu' rapidamente possibile verso la finestra, trascinando la gamba sinistra. Apre la finestra e grida con angoscia. Alexandre! Ha la voce improvvisamente giovane. Alexandre! Un'altra voce, fuori, riprende. Alexandre! E' pronto a tavola! Poi una voce maschile, lontana. Alexandre! Arrivo! risponde la voce di Alexandre e il grido riempie tutta la camera. A. si precipita giu' lungo le rocce dell'isola e ritorna sulla spiaggia dove tutta la famiglia lo aspetta intorno al tavolo. Arrivo, grida. Arrivo... Improvvisamente, mentre la tavola e' gia' pronta, scoppia un acquazzone nel cielo estivo. Corrono tutti a rifugiarsi dove possono, soprattutto nelle fenditure delle rocce. L'acquazzone si limita a colpire la tavola che nulla protegge e che e' rimasta sola, con tutti i piatti, in riva al mare. Finiscono per raggrupparsi tutti all'entrata di una grotta e cominciano a cantare. Andiamo come un tempo...andiamo come un tempo sulla spiaggia lontana. La moglie di A., al contrario degli altri, prosegue la sua passeggiata sulla sabbia, felice, il volto rivolto alla pioggia. A. si precipita sotto i violenti rovesci per andarla a riprendere. La chiama. L'entrata della grotta scompare all'orizzonte. Anna! Sei pazza? Anna! La raggiunge. Lei si volta e, malgrado le sue reticenze, lo attira a lei. Lui cede. Fanno l'amore appassionatamente sotto la pioggia. La voce di sua moglie riprende a leggere la lettera, molto teneramente. ...Cerco di rubarti tra un libro e l'altro. Tu vivi la tua vita vicino a noi, a me e a tua figlia, ma non con noi. So che un giorno te ne andrai...Il vento porta lontano i tuoi occhi. Ma oggi, regalami questo giorno...come se fosse l'ultimo. Dammi questo giorno. Il monologo sfuma sopra il mare come la canzone degli altri e il suono della fisarmonica che si sentiva in lontananza. A. esce dalla casa di riposo. E' calata la notte. Cammina a passi lenti come se non sapesse dove andare. Guarda le persone, le macchine. Scompare di nuovo tra le grida e il brusio della folla. 21. Sprofondato nella sua poltrona, A. ascolta la notte con gli occhi chiusi. Un lontano orologio della citta' segna le ore. La sirena di una nave risuona al largo. A. tende debolmente il braccio e cerca accanto a lui i pulsanti dell'impianto stereo. Accende. Il concerto di Vivaldi riempie la stanza e si diffonde nella citta', attraverso la finestra aperta. Lo lascia suonare per un momento. Lo ferma e aspetta. Si sente una seconda sirena in lontananza. E quasi subito una terza, piu' continuata. La citta' dorme ancora. A. aspetta un momento che cominci il gioco con lo sconosciuto. No. Stavolta non risponde. Ancora una pausa. Lo sconosciuto non risponde. A. si alza per andare alla finestra. Le luci, la citta'. Di fronte, nel punto da cui veniva di solito la risposta, le finestre sono chiuse, regna il silenzio. Rientra e rimane immobile in mezzo alla stanza. Poi improvvisamente fa due passi, appoggia la mano sul muro e accende ad una ad una le luci, tutte le luci dell'appartamento, come se aspettasse degli invitati. Rimane li' un momento, accarezzando la stanza con lo sguardo per l'ultima volta. I libri, le carte, gli oggetti che amava. Riaccende l'impianto stereo. La musica, ancora una volta, invade la stanza. Poi, come se non potesse piu' sopportare la solitudine e l'attesa, si dirige verso la porta. Afferra la valigia e si precipita fuori, come se soffocasse, lasciando la porta spalancata. Cammina senza una meta, con la valigia in mano, in mezzo ai passanti. Dietro di lui la musica dell'appartamento tutto illuminato sfuma e svanisce. Si siede su una panchina del molo, ma non si e' neanche seduto che si rialza. Si lascia di nuovo trasportare dalla confusione, dalle grida, dai passanti. Poi attraversa la strada, indifferente alle macchine che frenano e suonano il clacson. Raggiunge il parcheggio. Apre lo sportello posteriore della macchina e ci butta dentro la valigia. Improvvisamente sente qualcuno che piange, passa dall'altra parte e vede il bambino seduto, sta piangendo. Si china su di lui. Che hai? Perche' sei sparito? Ti ho cercato. Il piccolo sembra inconsolabile. Che hai? ripete. Dimmi cosa e' successo...Che hai? 22. Il centro della citta'. Il palazzo di fronte, un grande edificio pubblico, sembra deserto. Ma laggiu' nell'ombra, lontano dalle luci d'ingresso dell'edificio dove A. arriva correndo, vede i bambini del semaforo. Si sente una voce in lontananza proveniente da un altoparlante. Un oratore e, dietro, la folla che reagisce. Passa una macchina con delle bandiere verdi ai finestrini. Suona ritmicamente il clacson. A., accompagnato dal bambino, attraversa la strada, guarda a destra e a sinistra ed entra nell'edificio. I corridoi sono vuoti. Un guardiano sonnecchia su una sedia. A. gli va incontro. Buona sera. Il guardiano accenna a svegliarsi. Questo pomeriggio e' stato portato qui un bambino... Il piccolo passa senza far rumore in un altro corridoio, deserto come il primo, poi si intrufola in un' anticamera che ha dei sedili lungo le pareti. E sui sedili dei vestiti gettati alla rinfusa. Riconosce, nel mucchio, i vestiti del suo amico. Piu' in la', il secchio e la spugna. Dietro una porta a vetri, una luce smorta. Il piccolo si avvicina e si alza in punta di piedi per guardare meglio. Su un lungo tavolo giace il corpo nudo del suo amico. Un globo lo illumina con la sua luce fredda. Salim, bisbiglia il piccolo. E' venuto accompagnato? interroga la voce del guardiano. A. da' una spiegazione vaga, a voce bassa. Il piccolo si e' voltato, pronto alla fuga. Rivede i vestiti e gli utensili del suo amico. Scivola senza far rumore e li porta via. Molte grazie, dice A., ripassero' domani. Il piccolo, carico dei vestiti e degli arnesi del compagno, si infila nell'oscurita' lontano dagli occhi del guardiano ed esce, come una freccia, dall'edificio. Quando esce, A. rivede i bambini dei semafori, che non si sono mossi, e il piccolo che lo aspetta con i vestiti rubati all'obitorio. 23. Un po' piu' tardi, la vettura nella quale hanno preso posto A. e i bambini, esce dalla citta' e si immette sull'autostrada, poi si ferma davanti a un ponte. Tutti insieme si precipitano giu' per la scarpata ed entrano in un luogo strano, debolmente illuminato dalle luci del ponte e dell'autostrada. Centinaia di vecchi vagoni ammassati alla rinfusa. Un cimitero di vagoni. A. e i bambini si fanno strada e si fermano davanti a un'apertura praticata nel mucchio dei vagoni. Il piccolo fischia come per dare un segnale. Allora una sfilza di bambini esce a poco a poco dai vagoni e si mette a guardare, immobile. Il piccolo depone i vestiti e gli utensili dell'amico proprio al centro della compagnia. Poi entra nel vagone dove abitava l'amico. Riunisce diversi oggetti e un pallone e li depone al centro dell'area dove si sono riuniti i bambini. Li lascia li', con il secchio e la spugna del suo amico morto. Una bottiglia di benzina e un fiammifero. La fiamma vola molto in alto. I bambini si riuniscono intorno al fuoco. Restano in silenzio un istante. Ehi! Salim, mormora il piccolo. Peccato che tu non sia qui con noi stasera! dice uno dei bambini. Poi, ad uno ad uno, ciascuno nella sua lingua, i bambini cominciano a parlare al morto del grande viaggio che faranno quella sera stessa, nascosti nel fondo di un camion frigorifero, grazie al denaro raccolto ai semafori. Io ho paura...Ah! Salim...Il mare...e' immenso. Ah! Salim...Mi piacerebbe partire con voi, mi avevi detto Per dove? Chissa'? Ma con voi... Tre quattro giorni ai semafori...e' poco... e la nave non te la regalano... Non ti lascio, vecchio mio, mi avevi detto... Montagne, burroni, polizia, soldati... non abbiamo mai fatto marcia indietro. Ma adesso il mare senza fine nient'altro che il mare...il mare... Qual'e' il viaggio piu' lontano, Salim? il tuo o il nostro? Ho visto mia madre, la notte, triste davanti al portone. Era Natale. Le campane suonavano. La neve sulla montagna... Se solo tu fossi qui per parlarci ancora di tutti quei porti...Marsiglia o Napoli di tutti quei nomi magici... Ehi! Salim! parlaci, parlaci di questo vasto mondo. Ehi! Salim! parlaci, parlaci... Ehi! Salim, ripete il piccolo con gli occhi pieni di lacrime. I mormorii dei bambini si amplificano e invadono quel luogo come un lamento funebre o il coro di una tragedia. 24. A. si ritira con discrezione. Cammina a passi lenti, risale su per la scarpata e raggiunge il ponte dove ha lasciato l'auto. Va fino al parapetto e si sporge per guardare le macchine che passano sotto il ponte, tutte con i fanali accesi, sulla grande strada che porta ai villaggi vicini. Comincia a cadere una leggera pioggia. A un certo punto, sente dei passi leggeri dietro di lui. Il piccolo si e' appena appoggiato al parapetto accanto a lui. Per un istante osservano il flusso delle macchine. Poi il piccolo si volta. Ha gli occhi bagnati. Non ho piu' nessuno, dice. A. si volta e lo guarda, anche lui commosso. Ma tu hai il grande viaggio, stanotte...Hai i porti...Hai il mondo. Si guardano un momento. Poi il bambino riparte lentamente in direzione del cimitero dei vagoni dove ha lasciato i suoi amici. Si ferma e si volta. Arrivederci, mormora. A. grida all'improvviso: Resta con me! Hai ancora qualche ora prima della partenza. Anche a me resta un po' di tempo. Resta con me! Il piccolo lo guarda. Fa qualche passo. Poi si precipita su di lui. Lo abbraccia. Ho paura... Anch'io ho paura...Resta con me. La pioggia raddoppia. Danza sull'asfalto. 25. L'auto arriva dal fondo della strada e si ferma da qualche parte nel centro della citta', vicino al punto in cui A. la parcheggia di solito. Piove sempre. Escono correndo per mettersi al riparo sotto la tettoia di un chiosco. Si guardano e, per la prima volta, sorridono. Osservano i passanti, che con o senza ombrello camminano con passo veloce. Hai fame? No, risponde il piccolo, col volto radioso. Va bene cosi'. Un autobus, che illumina di una luce accecante i suoi pochi passeggeri, si ferma davanti a loro. Ne scende qualcuno. Lo prendiamo? domanda A. sorridente e improvvisamente disposto a proporre un gioco o un'avventura. Il piccolo fa segno di si con la testa. Anche lui e' di umore gioioso. Prendono l'autobus per un pelo. Si siedono l'uno accanto all'altro. I passeggeri -- famiglie o viaggiatori solitari -- hanno l'aria stanca. Un bambino dorme sulle ginocchia della madre, una donna, con gli occhi chiusi, si appoggia alla spalla di suo marito. L'autobus, con tutte le luci illuminate, attraversa la notte. Il bigliettaio annuncia la fermata seguente con un microfonino. A. e il bambino sono ancora sotto shock per la decisione presa. Si guardano e sorridono. Poi si voltano dal lato del finestrino e contemplano lo spettacolo della citta' illuminata. Palazzi, strade bagnate, persone sotto la pioggia. A un incrocio, un ragazzino nero, con secchio e spugna, approfitta della mancanza di clienti per ballare come solo gli Africani possono fare. Alla prima fermata, due o tre viaggiatori scendono dall'autobus e un bambino, che porta una bandierina rossa, vi sale. Il bigliettaio annuncia la fermata seguente con voce disincantata. Prendono la strada del litorale. Guardano la massa scura del mare, illuminata a tratti da navi ferme al largo. Tre ciclisti, con degli impermeabili gialli, pedalano per un momento all'altezza dell'autobus poi si lasciano distanziare quando questo svolta a sinistra su una strada larga. La pioggia brilla davanti al semaforo rosso. Alcune prostitute vanno su e giu' sotto la tettoia di un grande magazzino le cui vetrine illuminate espongono dei manichini a grandezza naturale, che sembrano tendere una mano pietosa per coprire la loro nudita'. Poi di nuovo, le strade della citta'. Alla fermata seguente, i viaggiatori che scendono sono numerosi. L'autobus si svuota a poco a poco. Sale una giovane coppia. La ragazza porta un mazzolino di fiori bianchi offerti senza dubbio dal giovane. Lui le parla con una voce bassa, ma che tradisce nervosismo. Il bigliettaio annuncia la fermata poi, di slancio, canta una canzone di moda. L'autobus rallenta all'avvicinarsi della fermata seguente. Prima ancora che si sia fermato, la ragazza, esasperata dalle parole del compagno, getta rabbiosamente il mazzo di fiori per terra e salta giu' dall'autobus. Il giovane rimane interdetto. Poi dopo qualche secondo di esitazione, si lancia all'inseguimento, disperato, e cerca di calmarla. A. e il piccolo li guardano allontanarsi sotto la pioggia. La loro immagine svanisce quando l'autobus si riavvia. Guardano i fiori caduti nell'autobus e sorridono. L'autobus prosegue il suo percorso, come trasportato da una musica. Adesso e' vuoto. Resta solo il ragazzo con la bandiera rossa, che si e' addormentato. La bandiera e' scivolata ed e' per meta' spiegata per terra nel corridoio dell'autobus. Il bigliettaio annuncia la fermata seguente ma senza il solito impeto. Si rivedono i ciclisti gialli che, stavolta, riescono a sorpassare l'autobus che rallenta bizzarramente, come in un sogno, e si ferma. Un uomo sale sull'autobus con grande sorpresa di A. e del piccolo. E' il poeta, che indossa il suo cappello a cilindro ed e' vestito alla moda dell''800, con un bastone da dandy in mano. Prende posto a poca distanza. L'autobus parte e prosegue il suo viaggio. Gli sguardi di A. e del bambino incrociano quello del poeta. Rimangono in silenzio per un breve momento. Poi il poeta, gli occhi fissi nei loro, pronuncia con voce grave e suggestiva questi versi: L'ultima stella tremante dell'alba Annunciava un sole radioso Sul cielo infinito Non una nuvola E la brezza che veniva da lontano Accarezzando il volto Mormorava mormorava fino in fondo al cuore Dolce e' la vita e... Si ferma come se non si ricordasse piu' o non trovasse piu' il verso seguente. ...Dolce e' la vita, riprende. E... Tace. Si alza e si dirige verso la porta. Come prima, l'autobus si ferma come in un sogno. Le porte si aprono. Il poeta fa per scendere. A. si alza. Sul suo volto si legge l'angoscia. Dimmi...domani...quanto tempo dura? grida al poeta. Il poeta si volta per guardarlo. Poi esce senza dire una parola e scompare sulla strada bagnata. Le porte si chiudono dietro di lui. L'autobus riparte. A. riprende posto vicino al piccolo. Rimangono in silenzio. Hanno cambiato umore. L'autobus, che ha effettuato il suo percorso, riprende lo stesso itinerario per ritornare al punto di partenza. Il mare nero, illuminato dalle navi, le strade deserte e bagnate. L'autobus si ferma davanti al mare oscuro. Si aprono le porte. Non scende nessuno. Non sale nessuno. I ciclisti gialli ripassano e spariscono. L'autobus sale su per la strada e si ferma nel punto in cui A. e il piccolo sono saliti. Scendono. Anche il bigliettaio scende seguito dal conducente. L'autobus tutto illuminato, vuoto...Solo il ragazzo con la bandiera rossa continua a dormire sul sedile di dietro. A. e il piccolo rimangono la' per un momento, alla fermata dell'autobus, perplessi. Poi il bambino dice a bassa voce: Devo partire. 26 Il deposito merci e' deserto a quest'ora. Continua a cadere una pioggia fine. Le rotaie delle gru brillano sotto la pioggia. L'auto guidata da A., sempre accompagnato dal bambino, circola tra i depositi alla ricerca del luogo dell'appuntamento. Improvvisamente il bambino nota qualcosa. A. prende quella direzione. Escono dalla macchina. Piu' giu', un camion frigorifero aspetta, col motore acceso e lo sportello aperto. Delle merci sono ammassate alla rinfusa. Un po' piu' tardi si sente il rumore di una vettura: un camioncino entra nel deposito e si ferma all'altezza del camion. Una decina di bambini e due uomini ne scendono. Sono i bambini del cimitero dei vagoni. Gli uomini intimano ai bambini di affrettare il passo fino al camion. Il piu' grande dei ragazzini si ferma e indica il piccolo ai due uomini. Eccolo! E' arrivato! I bambini si infilano nel camion e si nascondono dietro alle merci. Uno dei due uomini chiama il piccolo. Lui si volta verso A. e lo guarda. E' arrivato il momento, eh? dice A. Il bambino per tutta risposta dice una parola, come se volesse riprendere il gioco delle parole a mo' d'addio. A. abbozza un pallido sorriso. Tira fuori una moneta dalla tasca e gliela porge. L'ultima! dice. Il piccolo lo guarda, gli luccicano gli occhi. Muove le labbra ma non dice niente. Si sente la voce dell'uomo che chiama il bambino a forza di bestemmie. Il bambino fa un brusco voltafaccia, come se volesse nascondere la sua emozione, e scappa verso il camion frigorifero. Prima di scomparire dietro le derrate alimentari, alza la mano in segno d'addio. Il camion richiude la sponda, si avvia e sale sul traghetto che rialza il suo portello e prende piano piano il largo. A., immobile sul molo, lo segue con lo sguardo finche' questo scompare come un'ombra nell'oscurita'. Risale in macchina e si lascia il porto alle spalle. Sorge il sole. All'incrocio, il semaforo diventa rosso, obbligandolo a fermarsi come quando aveva incontrato il bambino la prima volta. I tergicristallo, col loro movimento monotono, sottolineano la sua attesa davanti al semaforo. Altre due macchine si fermano dietro e accanto a lui. Il semaforo diventa verde e le auto partono, ma quella di A. rimane immobile. I tergicristallo. A. guarda dritto davanti a se', pallido. L'auto che lo segue suona il clacson con insistenza, ma l'inerzia di A. la obbliga ad eseguire una manovra abile. Le gomme stridono sull'asfalto bagnato. Le luci della strada si spengono. I tergicristallo. Il volto di A. sempre immobile. La pioggia danza ancora sull'asfalto. Rosso. Una automobile passa in direzione opposta, slitta, ritrova l'equilibrio e scompare. Un'altra si ferma accanto a lui aspettando che il semaforo ridiventi verde. L'auto di A. riparte bruscamente, attraversa l'incrocio con il rosso e cambia direzione. 28. Prende la strada del litorale, lasciandosi la citta' dietro le spalle. A una svolta, una casa di campagna -- quella che vedevamo in tutti i ricordi -- compare sulla destra, vicino al mare in tempesta. L'auto si ferma davanti al cancello del giardino che da' sulla strada. A. scende e si dirige verso la casa. Apre il cancello il cui cigolio stridulo ne tradisce lo stato di abbandono. Sale le scale di marmo. Le erbacce hanno invaso gli scalini. I muri sono mezzo crollati, le finestre spalancate. Spinge la porta, passa nella hall e si ritrova nella stanza centrale, l'antico salone, anch'esso in rovina. A un certo momento, crede di sentire delle voci e delle risate provenienti dal mare. Apre la porta che da' sulla scala esterna e vede sua madre. E' molto piu' giovane, come nel ricordo precedente, indossa un vestito estivo e porta un cappello; sta vezzeggiando un neonato,la figlia di A., e le canta una ninna-nanna. Non lo guarda, come se non lo vedesse passare. A. scende le scale del balcone che portano alla spiaggia e al mare. Sta piovigginando. Il luogo e' invaso dalla musica della fisarmonica, dalla canzone, dalle grida. Sotto una tettoia issata in mezzo alla spiaggia, suo fratello suona la fisarmonica, degli uomini ubriachi cantano mentre due tre donne danno loro le spalle. Piu' in la', lungo il mare, le altre donne accompagnate da bambini e adolescenti, camminano con l'ombrello in mano. Ogni tanto si mettono a parlare, scoppiano a ridere. Una coppia balla sotto la pioggia. Di nuovo la voce della moglie. Ti scrivo davanti al mare ancora una volta...Ti scrivo...ti parlo. Quando... Quando ti capitera' di ricordare questo giorno, ricordati che io l'ho guardato con gli occhi spalancati l'ho accarezzato con tutte e due le mani. Sono qui ad aspettarti, tremante. Regalami questo giorno. A. si avvicina, sembra ipnotizzato. Una delle due donne sotto la tettoia si gira verso di lui. E' sua moglie. Non capivo, Anna, le dice lui sconvolto. Non capivo. Balli? chiede la donna con voce sensuale come se non avesse sentito. So che di solito eviti. Ma oggi e' il mio giorno. Lo prende e si mettono a ballare. Gli altri, riuniti, sorridono e applaudono. Finalmente! A. all'inizio balla macchinalmente. Sua moglie si lascia trascinare dal ritmo. Gli altri riscaldano l'atmosfera con le loro voci. Fino alla fine! sussurra sua moglie, radiosa. Anna...dice A. che rimane senza fiato a girare in tondo. Non andro' in ospedale... La donna sembra non sentire. Non andro' in ospedale, Anna, ripete lui quasi con disperazione. Non ci andro'. Vorrei fare dei progetti per il domani. Chissa'? Forse lo sconosciuto mi rispondera' mettendo la musica? E ci sara' sempre qualcuno che mi vendera' delle parole... Un giorno ti avevo chiesto: Domani...quanto dura? L'eternita' e un giorno, mormora la donna. Che dici, Anna? Non ho sentito. Che dici? L'eternita' e un giorno, ripete lei, ebbra di danza e d'amore. Sul dialogo, mentre la coppia fa delle giravolte, i volti della famiglia che li circonda svaniscono, come trasportati dal vento. Uno ad uno. La donna per ultima. Per un momento A. continua a girare, a ballare, con le braccia aperte come se abbracciasse sua moglie. La musica svanisce a poco a poco, la tettoia scompare, poi la madre di A. con il suo neonato, svaniscono le voci e A. si ritrova solo sulla sabbia a girare. Si ferma, stravolto. Anna, dice lui. Le braccia sono ora stese lungo il corpo. Anna! Davanti a lui, alcuni resti dei mobili rotti. Un vecchio frigo scassato. Il suo banco di scuola con le zampe rotte e, li' vicino, in riva al mare, il letto di ferro della sua infanzia. Rimane un momento cosi', sperduto. Dietro di lui, la casa in rovina. Fa qualche passo esitante. Il silenzio incombe sotto il rumore dell'acqua. Cammina lentamente verso il mare schiumoso. Ha gli occhi umidi. Si ferma vicino al lettino di ferro della sua infanzia, le sue spalle sono scosse come da un singhiozzo. Guarda in lontananza e comincia a gettare ad una ad una, nel mare scatenato, le parole che il piccolo gli ha offerto. Una voce femminile, la voce di sua madre, giovane come all'inizio, sembra venire dalla casa. Una voce lontana che si crederebbe uscita dalla sua memoria. Alexandre! Lui, sempre davanti all'onda schiumosa, getta le parole nell'oceano. Il letto della sua infanzia, bagnato, accanto a lui. E la voce di sua madre in lontananza, che si confonde con quella del mare in burrasca. Alexandre!
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