CINEMA FESTA INTERNAZIONALE Di roma

II edizione

Roma Capitale, 18/27 ottobre 2007
 

di Daniela MASE e Emilio RANZATO


 

SILK

(Seta)
di Francois Girard

Canada/Italia/Giappone 2007, 112'
 


 

Una gestazione lunga dieci anni, una coproduzione italo-canadese-giapponese, un tris d’attori di tutto rispetto - Michael Pitt, Keira Knightley e Alfred Molina - la colonna sonora di un musicista del calibro di Ryuichi Sakamoto (leggi l'intervento di Pallotti in "Suoni del Cinema") non sono serviti a fare di Seta di Francois Girard un buon film. Tratto dall’omonimo libro di Alessandro Baricco - caso editoriale anno 1996 tradotto in oltre 26 lingue - il film non si discosta molto dal libro.

La storia narrata è quella della vita del giovane Hervè Jancour (Michael Pitt), felicemente sposato con la dolce maestrina Hèléne Fouquet (Keira Knightley). Per incrementare la produzione delle fabbriche di seta di Lavilledieu, il villaggio in cui abita, il giovane parte per l’Estremo Oriente, terra nota per la lavorazione di tessuti sottili come l’aria, alla ricerca di nuovi bachi da seta.
In uno dei suoi viaggi, dopo aver attraversato ghiacciai, deserti e mari sconfinati - fotografati secondo il miglior metodo National Geographic - incontra una giovane donna asiatica. Ne è stregato. L’attrazione silenziosa che lega i due spingerà il giovane ad intraprendere nuovi e pericolosi viaggi nelle terre d’oriente, dilaniate da conflitti civili. Lacerato dai sensi di colpa, diviso tra la forte attrazione per la ragazza e l’amor per la dolce Hèléne, Jancour scoprirà, alla fine, il grande segreto che la moglie ha portato con sé nella tomba, grande prova d’amore e di devozione.
Se il libro racchiude in poche tratti una storia ricca di suggestioni, sensualità ed emozioni, il film invece si appesantisce troppo, colpa dei lenti, lentissimi tempi di narrazione. La densità affabulativa delle pagine di Baricco si riduce, invece, nella pellicola di Girard in dialoghi sterili, a tratti noiosi.
Stupisce quindi, che sia stato lo stesso Baricco a scegliere, tra i tanti che avevano provato a rielaborare cinematograficamente la sua opera, questo adattamento del regista canadese che non convince e, decisamente, non entusiasma.
 

 

THE DUKES
di Robert Davi

Stati Uniti 2007, 94'
 

 

Il cattivo di 007-Vendetta privata Robert Davi debutta alla regia e lo fa con una commedia divertente e di semplice fattura. Il suo The Dukes presentato nella sezione "Premiere" della Festa del Cinema di Roma, è semplicemente delizioso. La storia è leggera e, ad essere sinceri, nulla di nuovo aggiunge al genere.
I membri della band dei Dukes, Chazz Palminteri e lo stesso Robert Davi erano famosi negli anni Sessanta ma, nell'America del 2007, sono del tutto sconosciuti. Affiancati da un gruppo surreale di collaboratori, Frank D'Amico nel ruolo di Aremand e Elya Baskin nel ruolo di Murphy, i due cercano di sbarcare il lunario grazie anche alle assurde idee del manager, un Peter Bogdanovich sempre in stato di grazia. I quattro amici provano a guadagnare facili soldi con un facile furto ma, come insegna la commedia greca, il gioco degli equivoci e delle casualità cambia inevitabilmente il corso degli eventi.
Mai, tuttavia, un gruppo di pseudo criminali ha generato tanta simpatia, Davi fa della goffaggine dei personaggi il suo cavallo di battaglia realizzando una pellicola corale che fa tesoro dei migliori insegnamenti della commedia all'italiana e della black comedy. Quello che ne viene fuori è una storia semplice e divertente, un film all'americana ma con sensibilità e umorismo tutto all'italiana.

Menzione speciale alla colonna sonora, grande tributo del regista italoamericano all'avvocato del jazz Paolo Conte. Sei i suoi brani presenti nella pellicola che da "Comedì" a "Lo Zio" da “Via con Me" a "Nord" portano alla storia quei tratti gentili e scansonati che ne rappresentano la sua forza.

L'happy end continuamente posticipato arriva, come da copione, in un finale smielato che ad alcuni potrà infastidire ma la storia di questi quattro disperati che a tutti i costi cercano di rifarsi una vita non può non fare simpatia. Classico film da vedere con leggerezza e senza impegno.

 


Youth Without Youth
(un altra giovinezza)

di Francis Ford Coppola

Romania/Francia/Italia 2007, 124'
 


Dopo 10 anni di attesa il ritorno di Coppola al cinema con Youth withouth youth, in italiano Un'altra giovinezza, diventa senza dubbio l’evento più atteso dell’intera Festa del Cinema di Roma, soprattutto perché il regista italo americano ha scelto questo festival per presentare il suo nuovo lavoro in anteprima mondiale.

Difficile collocare la pellicola in un genere, essa è thriller, storia d’amore e d’avventura, nonché appassionata indagine filosofica.
Spiegarne la trama sarebbe riduttivo per quanto essa è legata a filo doppio a tutto il non detto che il film nasconde. Ma, in sintesi.
Un’altra giovinezza è la storia di una seconda chance, una nuova possibilità di vita che il destino concede a Dominic Matei (Tim Roth), attempato professore di linguistica che, folgorato da un fulmine, ritrova una misteriosa vitalità mentale e forza fisica. Grazie a quest’evento straordinario può riprendere gli studi di una vita basati sull’origine del linguaggio, del tempo e della conoscenza. Dopo essere sfuggito ai nazisti che vogliono poter sfruttare le sue potenzialità, Dominic si imbatte in Laura (Alexandra Maria Lara) una donna che le ricorda Veronica, l’amore di gioventù mai dimenticato. La donna, in seguito ad un incidente in montagna comincia a parlare in sanscrito e si presenta come Rupini, discepola di un filosofo indiano vissuto nel VII secolo. Dominic e Veronica si innamorano e fuggono a Malta lontano dall’attenzione morbosa della stampa internazionale attratta dalla singolare coppia dell’uomo ringiovanito da un fulmine e dalla donna oggetto di una reincarnazione. Nel soggiorno maltese Veronica comincia a vivere continui episodi di reincarnazione nei quali si esprime in lingue arcaiche sempre più antiche. Quando la situazione della donna comincia a peggiorare Dominic, pur affascinato dalla possibilità di raggiungere, tramite le sue estasi, l’origine del linguaggio, comprende di doverla salvare. Rinuncia a lei, e ai suoi studi e, così facendo, la salva. Ritornato nella città natale di Piatra Neamt, in Romania, Dominic è arrivato alla fine del suo viaggio, ritrova, in sogno o nella realtà questo non importa , i suoi vecchi amici. Il cerchio si chiude lì dove è iniziato: Dominic comprende che è arrivata la sua ora, e si abbandona sulla neve ad una morte che lo trova, stavolta, pacificato.
Non è sbagliato definire Un’altra giovinezza un film autobiografico, è lo stesso regista a farlo. “Come Dominic, ero torturato e bloccato dalla mia incapacità di portare a termine un lavoro importante. A 66 anni, mi sentivo frustrato: da otto anni non facevo un film, le mie aziende andavano a gonfie vele, ma la mia vita creativa era inappagata”.
La nuova chance che concede al suo protagonista è la possibilità che lui stesso si è dato, per ritornare ad una certa idea di cinema: lontana dai budget hollywoodiani e dalle faraoniche produzioni americane, un cinema che sa di autonomia e di nuova creatività. Il fulmine che dà a Dominic la possibilità di avere una seconda possibilità, è stato per Coppola il testo di Mircea Eliade, intellettuale, storico e studioso di religioni, che ha ispirato il suo lavoro.
E se quello di Dominic è un viaggio a ritroso alle origini del linguaggio e della conoscenza, quello di Coppola è, senza ombra di dubbio, una sfida, fatta a se stesso, per ritrovare la sua personale concezione di cinema.
Grande la prova degli attori, uno su tutti lo straordinario Tim Roth che porta sullo schermo un personaggio dai 26 ai 101 anni, e che si esibisce nella duplice interpretazione, dell’io fisico di Domic e di quello proiettato, malefico e doppio che lo accompagna fino alla fine. La sua interpretazione di Dominic, asciutta e mai sopra la righe, permette di attraversarne tutta la complessità e profondità.
Ad una prima visione, quindi, quello di Coppola sembra essere un percorso molto intimo e personale, compiuto, soprattutto, senza nulla concedere al suo pubblico.
Il film è talmente ricco, complesso, sofisticato, simbolico, e pieno di tali rimandi metaforici e filosofici che una seconda visione andrebbe consigliata per coglierne a pieno i continui rimandi e le innegabili stratificazioni.
 

 

L' Amour Caché
(Hidden Love)
di Alessandro Capone
Lussemburgo/Italia/Belgio 2007, 93'
 

 

Amare una figlia sembra essere la cosa più naturale del mondo, esigenza spontanea e quasi vitale, a partire dal momento stesso del concepimento. Non è così per Danielle, la protagonista del film di Alessandro Capone L’amour cachè presente nella sezione Cinema 2007 in Concorso. Isabelle Huppert, sempre a suo agio in ruoli eccessivi e al di sopra delle righe, porta sullo schermo una borghese parigina, tre volte suicida che, ricoverata in un ospedale psichiatrico, fa i conti con un innaturale sentimento di odio e ostilità nei confronti della figlia Sophie (Mélanie Laurent).
A condurla per mano nel viaggio claustrofobico e angosciante nelle radici profonde di questo sentimento è Greta Scacchi, nel ruolo di una psichiatra troppo coinvolta e partecipe delle disavventure della donna.
Tratto dal romanzo autobiografico “Madre e ossa” di Danielle Girard, la pellicola di Capone racconta delle devastanti ripercussioni psico-fisiche che può provocare in una donna, la certezza di non amare la propria figlia. Quello che va in scena è il conflitto ancestrale tra madre e figlia, a colpi di ferite inferte negli anni e mai rimarginate. Un’atmosfera fissa, silenziosa e ovattata circonda le allucinazioni di Danielle, accompagnate da una colonna sonora che rimbomba metallica e fredda come gli ambienti dell’ospedale nel quale la protagonista consuma le sue giornate. Quello della donna è un amore “cachè”, nascosto appunto, che riemerge solo attraverso quel sacrificio finale grazie al quale la figlia concede alla madre l’inattesa e insperata catarsi: la possibilità, cioè, di riappropriarsi di sentimenti positivi e materni attraverso l’affetto verso la nipote.
Come sempre Isabelle Huppert soddisfa le aspettative del copione. Bene ha fatto Capone ad aspettarla per sette anni. Il personaggio di Danielle sembra disegnato proprio su di lei: il suo viso ossuto e spigoloso esprime con grande efficacia il tormento interiore di una donna che ritrova la sua natura di madre, solo nel momento in cui, tragicamente, perde il frutto del suo grembo.
 

 

 

ACCROSS THE UNIVERSE
di Julie Taymor

Stati Uniti 2007, 131'



Durante gli anni sessanta, l’incontro e l’amore a New York di un ragazzo inglese (Jim Sturgess) e di una ragazza di provincia americana (Evan Rachel Wodd). Fra gli strascichi di passate relazioni e le proteste giovanili contro la guerra del Vietnam, che vedrà coinvolto un caro amico della coppia (Anderson), il loro sogno trionferà.
Se si parte dal presupposto di non vedere un film ma solo una serie di ispirati video-clip, allora si può godere appieno di questa operazione nata già in partenza come un’impresa impossibile; a dir poco arduo infatti sarebbe risultato anche al più grande degli sceneggiatori far confluire trenta canzoni dei Beatles all’interno di un’opera narrativa. E infatti qui di narrativo c’è ben poco, e di non eccezionale originalità: una love story esile esile, personaggi appena abbozzati, nessuna vera necessità drammatica al di là di una insipida denuncia antimilitarista. Ma se la regista è una come la Taymor, la quale già col suo Titus si era dimostrata propensa a fare del proprio indiscutibile talento visionario un’arma tanto suggestiva quanto fine a se stessa, allora ci si ritroverà probabilmente bendisposti a rinunciare entro breve alla pretesa di un qualche contenuto in favore di un trip musical-visivo non indifferente: immagini potenti, arrangiamenti originali, ottime interpretazioni vocali, le canzoni più belle che siano mai state scritte e Bono che canta I Am the Walrus. Che si vuole di più?

Per i fan dei baronetti di Liverpool, nonostante tutto, rimane una festa per gli occhi e per le orecchie. Per i pochi altri…  beh, hanno problemi molti più grandi a cui pensare.
Voto: 26/30
 

Roma, 28:10:2007