
Non è giusto dire che Curtis Hanson sia un autore sottovalutato (basti
pensare ai successi di L.A. CONFIDENTIAL), anche se forse il suo nome
non dice molto ai più. In realtà il regista di Reno nel Nevada è tra i
più eccentrici tra quelli nati e che girano in America, capace di film
mai banali e trasversali alla produzione di genere. Dall'82 ad oggi (se
escludiamo l'isolato esordio del 1972: SENSUALITA' MORBOSA, che peraltro
non abbiamo la fortuna di conoscere) ha proposto titoli tra loro spesso
assai eterogenei, con una predilezione per il thriller ed una a non appiattirsi
su stilemi e soluzioni narrative consueti. Hanson è un regista che si
è permesso di farsi notare seriamente con un quasi remake di un Hitchcock
tra i migliori (e soprattutto tra i più famosi…), ovvero LA FINESTRA SUL
CORTILE. E il suo LA FINESTRA DELLA CAMERA DA LETTO (1987) è un noir non
comune che, rivisto di recente, non ha perso il fascino dei tempi della
prima. CATTIVE COMPAGNIE (1990) oltre ad essere un altro ottimo film ha,
a modo suo, anticipato una tendenza di un certo cinema americano (quello
di Neil LaBute in particolare) che, in anni recenti, ha trovato molti
consensi, specialmente critici. LA MANO SULLA CULLA (1992) rimane tuttora
un thriller cui film come LA BABYSITTER… UN THRILLER con Alicia Silverstone
o altre cosacce del genere non raggiungeranno l'impatto, pur tra le pareti
di un prodotto non certo degno di maggiori attenzioni. Una caduta è stato
senz'altro THE RIVER WILD (1994) con Meryl Streep action, mentre già abbiamo
detto di L.A. CONFIDENTIAL (1997), forse il suo lavoro più noto, premiato
e riuscito.
Ora Hanson ha cambiato nuovamente strada senza tuttavia entrare, pur con
la sua solita classe, nelle maglie di un filone. O meglio: se WONDER BOYS
ricorda qualcosa si potrebbe parlare del cinema dei fratelli Coen, de
IL GRANDE LEBOWSKI in particolare. Non tanto e non solo per l'atteggiamento
(e l'abbigliamento) yuppie del protagonista. La cosa più prossima allo
spirito di quel film è rintracciabile nell'ironia: l'ironia (e dunque
il distacco) con cui Tripp affronta anche le situazioni apparentemente
disperate, e l'ironia della messa in scena, compreso un campionario di
personaggio stralunati (l'editore gay, il travestito, il negro, ecc.)
quanto i giocatori di bowling del film con Jeff Bridges. Ma se tra le
altre cose ai Coen interessava una delle altre facce del sogno americano
(non quella di chi aveva avuto la sua occasione senza riuscire a farcela
finendo in miseria, quella di chi non aveva nemmeno voluto provare a farcela),
Hanson se studia un'altra ancora. Tripp ce l'ha fatta, ma troppo presto:
wonder boy della letteratura, ha pubblicato molto giovane un romanzo di
straordinario successo, ha così ottenuto una cattedra universitaria ma
poi ha smarrito la vena e il coraggio di mettersi in gioco (è ben oltre
pagina 2000 del suo secondo lavoro e non ha alcuna intenzione di finirlo).
Come se non bastasse si trova davanti un ragazzo che gli ricorda se stesso,
ma che ne mette in crisi anche le poche certezze rimaste in una sorta
di romanzo di ri-formazione.
Un film che Hanson ha definito "adulto", perché nonostante la leggerezza
che pare di respirare, non è questa una pellicola per palati della domenica,
data la poca vitalità del ritmo, la staticità delle situazioni e la sostanza
della vicenda narrata. Un film adulto soprattutto nella scelta di slavare
Michael Douglas da quei ruoli di incrollabile cui rischiava di essere
condannato, un po' sulle orme del padre, e nei quali si incappa spesso
sfogliando la sua filmografia. Basta vedere la foto che abbiamo messo
in apertura per farsi un'idea di come il regista lo abbia immaginato e
dei risultati raggiunti. Vestagliaccia, capelli sporchi, spinello, aria
assonnata di chi sembra sempre lì senza bene comprenderne il motivo.
Voto: 27/30
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