the woman in black

di James Watkins
con Daniel Radcliffe, Sophie Stuckey

di Chiara TOGNOLI

 

18/30

 

Un giovane avvocato inglese, Arthur Kipps, vedovo da 4 anni e con un bambino piccolo, rischia il licenziamento ed è costretto a recarsi in un remoto villaggio per seguire la causa relativa ad una casa abbandonata. Nonostante l’astio degli abitanti riuscirà a scoprire il mistero della donna in nero che infesta la villa.
Sceneggiato da Jane Goldman e diretto da James Watkins (Eden Lake), il film è tratto dall’omonimo romanzo di Susan Hill degli anni ’80 che ebbe un grandissimo successo e fu oggetto di una trasposizione teatrale e di una televisiva.
La scelta del soggetto e di una star del calibro di Daniel Radcliff, nasce dal desiderio di rilancio della storica casa di produzione inglese Hammer fondata nel 1934.
La storia è ambientata in epoca vittoriana e ricalca i grandi temi del genere horror: la casa infestata, il villaggio isolato su cui incombono macabre superstizioni, l’immaginario gotico ottocentesco. Lo sforzo è stato quello di trasporre la psicologia del protagonista in chiave contemporanea, Arthur è guidato dal pensiero della morte della moglie e questo è il vero filo conduttore della vicenda. “La ragione per cui rimane in quel luogo e tenta di trovare il fantasma di una donna morta sta nel fatto che in lui c’è un desiderio nascosto, un impulso a cercare una sorta di conferma che sua moglie si trovi in un posto migliore” dice Daniel Radcliff la cui sfida è stata quella di rendere la personalità di un uomo distaccato, inaridito dal dolore.

“Ci sono dei momenti in cui non dovresti essere sicuro di ciò che sta pensando Arthur, sai che probabilmente non si tratta di pensieri felici ma non sai il perché. Penso che l’ambiguità lasci spazio alle emozioni”.
La sceneggiatrice spiega di aver fatto riferimento ad alcuni famosi esempi di J-Horror come The Ring e The Grudge: “L’horror giapponese ha molto in comune con le classiche ghost stories vittoriane, sono spesso devastanti per quanto riguarda la sfera dei sentimenti, ma sono anche puramente paurose”.
Proprio sul concetto di “puramente pauroso” il film scricchiola e rivela la sua debolezza. Nel tentativo di mantenere puro il meccanismo narrativo del genere il film scivola nell’ovvietà. Lo sforzo di giocare sulla visione periferica è così evidente da non essere efficace e si ripete in una stucchevole ridondanza sottolineata da roboanti effetti sonori. Lo conferma l’uso della scenografia di Kave Quinn: “Una ghost story è qualcosa che non puoi proprio vedere del tutto, qualcosa che sta negli angoli dell’inquadratura e qualcosa ai lati. Questo è ciò che abbiamo creato nella scenografia”.
Particolarità del film è che non è stato girato in 1.85:1 ma in 2,35:1, la proporzione superwide dei grandi film western.
 

24:03:2012

the woman in black

Gran Bretagna 2012, 95'
VIDEA-CDE

DUI: 02/03/2012

Thriller