Due sorelle, una zia che muore, una madre che torna dall'oltretomba,
l'omicidio di un uomo... e tutto che sembra ripetersi (almeno) due volte,
volver, tornare.
La madre rediviva non è certo il primo morto vivente del cinema di
Almodovar. Che anzi si è sempre pensato, fin dalle sue origini, come morto
vivente: come contraddizione bruciante tra l'artificio palmare della sua
messa in scena (dei décor, in modo particolarmente evidente, ma anche del
taglio ultrastilizzato delle inquadrature, con quei profili, quei
frontali...) e dal mimare la vita che il cinema non può scrollarsi di dosso,
non foss'altro perchè si ciba di movimento.
In questo equilibrio perpetuo in cui si dibatte il cinema di Almodovar,
l'artificio ha generalmente avuto la meglio quasi in ogni caso: ecco che la
cifra vera, ancora più radicale, della sua opera è allora il concetto di
distanza, che invade tutti i livelli dei suoi testi.
Parla con lei è un esempio
chiaro. Questo Volver risulta
allora un esempio particolarmente felice di equilibrio tra distanza e
vicinanza.
Un equilibrio conquistato sul campo. Tutta la prima parte gioca
sull'alternanza netta tra due elementi inconciliabili (al pari della vita e
della morte): la figlia che si tuffa nel circolo vizioso del capitale per
rimuovere il morto (il marito ucciso), e sua madre che è un morto che non si
lascia rimuovere, e per giunta “ritorna tra i vivi” (o almeno così sembra)
per affrontare di petto quello che è il suo rimosso (il rapporto con
la figlia). Due atteggiamenti antitetici, che crescono fino al momento
bellissimo e vertiginoso in cui la Cruz canta “Volver” guardata da lontano
dalla madre in lacrime.
A partire da questo sguardo impossibile, tutto cambia, la situazione viene
molteplicemente ridiscussa in un susseguirsi teatrale di ribaltamenti che
però (vedi la scena della cugina che va in un programma di tv spazzatura) si
ferma un attimo prima di quella cattiva imitazione del teatro che è la
televisione. Vale a dire: non si arriva a dire una volta per tutte,
pornograficamente, “che cosa c'è sotto” a tutto l'intrigo, ma, pur senza
rinunciare a una prolissa spiegazione, si lascia aperta l'ambiguità con un
geniale espediente “edipico” di sceneggiatura che da solo varrebbe il premio
che la giuria di Cannes gli ha attribuito.
Quello che sta sotto non può venire detto anche perché, e proprio qui sta il
punto, è proprio qui sotto il proprio naso: la distanza lascia il posto alla
vicinanza. Le vicende della figlia, infatti, gradualmente si sovrappongono
in pieno a quelle passate della madre e madre e figlia si riavvicinano. Il
sogno di Almodovar trova così una nuova formula magica per realizzare il
nocciolo duro della sua poetica: farci avvertire la distanza non in un
qualche punto esterno, ma nel cuore intimo dei nostri occhi.
Voto: 27/30
28:05:2005
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