
Risulta difficile recensire un film come questo di Salemme cercando di
non svelarne il finale. Perché nel finale, nel bene e nel male, sta tutto
il film. Allo stesso tempo sarebbe facile liquidare "Volesse il Cielo"
come un brutto film, moralista e pseudo-buñueliano, dai dialoghi nemmeno
troppo brillanti per quella che vorrebbe essere una commedia - neppure
di soggetto originale perché di ragazzi selvaggi, kaspariani e smemorati
ne abbiamo già incontrati, in altri generi ed anni. Devo essere sincero,
a distanza di 24 ore non sono riuscito ancora completamente a metabolizzare
la pellicola: pur rendendomi conto che tra le 20 persone presenti in sala
ero l'unico che non rideva, non mi è ancora chiaro cosa facesse così tanto
ridere. La storia, dunque. Una ragazzina si rifugia in lacrime in una
chiesa dopo aver abbandonato il proprio neonato in un cassonetto. Mentre
in preda alla disperazione si lascia cadere ai piedi dell'altare, ci troviamo
nel bel mezzo di un inseguimento, non particolarmente rocambolesco, che
finisce con l'auto dell'ispettore Massa (un bravo Maurizio Casagrande)
che sbatte proprio contro un cassonetto da cui sbuca, nudo e privo di
memoria, un uomo senza nome (lo stesso Salemme). La storia è in pratica
tutta qui. L'ispettore Casagrande cerca la madre dello Smemorato, che
nel frattempo si innamora della bella poliziotta Chiara (Tosca d'Aquino,
sempre uguale a se stessa ma qui almeno co-protagonista), porta un po'
di scompiglio nella famiglia della stessa, fino al finale rivelatorio
e moralista (nel senso più ampio del termine). Il problema è che fin dalle
prime inquadrature, con l'entrata in campo di Tiresia (Armando Pugliese)
e del suo aiutante, che vorrebbero condurre lo spettatore nei meandri
della vicenda - ponendogli quesiti e suggerendogli situazioni - ma che
a mio avviso sono invece solamente irritanti, la vicenda diventa un lungo
susseguirsi di gag e battute inutili. Si veda quando Casagrande domanda
ad un'inserviente della casa di cura se ha visto due motociclisti, figure
che fino a quel momento non si sono ancora viste - oppure la partita di
calcio costruita "ad hoc" per la partecipazione di tre famosi calciatori,
comunque inutile nell'evolversi della vicenda. Ed è paradossale
che un film che prende esplicitamente ad esempio le figure del teatro
greco classico non segua poi - o almeno provi a seguire - le tre unità
di Tempo, Spazio e Luogo, che anzi le superficiali gag e il disarmante
montaggio confondono in un nebbioso panta rei. Bisogna innanzi
tutto domandarsi se il film può esistere al di fuori della "napolinità",
o se tale "napolinità" non risulti poi in fondo offensiva per i napoletani
stessi. Per onore di critica sveleremo il finale, perciò potete non proseguire.
I protagonisti del film, tutti, dall'ispettore a Tiresia, sono in realtà
i Santi della chiesa in cui la ragazzina è entrata: essi hanno preso vita
e - come in una commedia greca - hanno creato questa storia per permettere
alla giovane di salvare il bambino; la ragazza corre al cassonetto, ritorna
in chiesa con il neonato, e lo fa battezzare (lui, che per tutto il film
non ha avuto nome) Ciro - Santo che tra le statue ha ovviamente il volto
di Salemme. Ora, al di là di questo finale moralista (Elio aveva fatto
meglio con un dissacrante brano musicale in uno dei suoi primi dischi),
talmente forzato che è la voce fuori campo di Dio (ma non si era già sentito
in don Camillo?) a spiegarci a cosa abbiamo assistito, viene, in effetti,
da domandarsi se fuori da un contesto napoletano il film possa esistere.
Non si riesce ad immaginare un "Volesse il Cielo" milanese (per citare
una metropoli del Nord, non per altre ragioni) con Sant'Ambrogio e la
"Madonnina" a dividersi le parti, e questo è un altro dei limiti del film
- lavoro cinematografico che però sicuramente piacerà ai più. L'altra
questione, accennata in apertura, è: si deve salvare un film se il finale
a sorpresa vuole cucire e spiegare tutte le anomalie e le lacune incontrate
nel corso della storia? Si potrebbe citare Boxing Helena per
dimostrare che no, non si può. Né si può pensare che Salemme abbia giocato
a fare Buñuel, perché Buñuel è, di fatto, un altra cosa. Il fatto è che
se dovessimo partire con la filmologia di Salemme da quest'ultima pellicola,
e fossimo tabula rasa sulla sua produzione cinematografica, non saremmo
invogliati ad approfondirla più di tanto. Aspettiamo il prossimo film,
dunque, e volesse il cielo sia migliore.
Voto: 16/30
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