La vita è un miracolo

di Emir Kusturica
Con: Aleksandar Bercek, Slavko Stimac

di Gabriele FRANCIONI

 

Nel 1995 Emir Kusturiça annunciò il ritiro dalla regia e, con una certa dose di crudeltà, possiamo dire oggi che è stato di parola.
Dopo il crollo del Muro, le due Palme d’Oro, l’Inizio della Guerra in Yugoslavia e le Minacce di Morte (era amico di Miloseviç), c’erano tutte le premesse per nascondersi in un qualche buen retiro a soli 41 anni.
In questi dieci anni K. È stato “altrove”. Ha, cioè, trovato il retiro:
 

a) nella sua mente e nella dimensione onirica che ha sempre contrassegnato i suoi film, dove poteva continuare a credere che la Jugoslava fosse ancora intatta e amministrata dal mitico Tito;
b) nel fare musica coi “No smoking”, la unz-unz-trash-band di rom-rock con la quale suona (?) da sempre;
c) nella no man’s land del continuo traslocare & viaggiare, tra Parigi e Beograd, Venezia e Cannes, dove vi può capitare d’incontrare il compagno Emir insieme a moglie, figli & slivoviz.

Il regista zingaro bosnjaco-serbo è in fuga o in viaggio d’affari, braccato da una realtà che ormai gli sta stretta e che differisce troppo dal sogno fanciullesco di un eterno secondo dopoguerra vissuto magicamente e candidamente tra Adriano Celentano e melodie slave, tra Fellini e Milos Forman.

Dispiace infinitamente che le cose siano andate diversamente da come lui e tutti noi ce l’eravamo immaginate, ma da qui a trincerarsi ostinatamente in un “al di là” dal Reale ce ne passa.
La vita non è affatto un miracolo e non consente più i sorvoli, sul letto a due piazze, di paesaggi e città affatto diversi da quelli rappresentati ne LA VIE EST UN MIRACLE.
Ne consegue che quest’ultimo (e definitivo?) film raccolga in maniera disordinata e distratta tutto il vocabolario kusturiçiano, riciclato paradossalmente – e fuori tempo massimo – per rappresentare (ma senza guardarla in faccia) proprio la guerra iniziata nel 1991.
L’incongruenza è palese: come può, ora che si trova agli antipodi dalla Storia, descrivere qualcosa che richiede massima lucidità d’analisi del contesto socio-politico, anche se a conflitto terminato? Crede forse, il nostro, che l’essersi assentato “durante” gli permetta di commentare il “dopo”, a bocce ferme, con la calma (?) ritrovata di chi non si è sporcato le mani? La pellicola cerca, infatti, di contrastare l’orrore della materia trattata con un surplus immaginifico e una ridondanza acustico-visiva, che sono come un velo (trasparente) posto di fronte ai corpi e alle anime disposti sul campo di battaglia.
EK infila gli occhiali da sole e intravede così solo ombre indistinte, “fantasima” di qualcos’altro.

Fin dalle primissime scene, L.V.è U.M. si mostra per quello che è: una gigantesca sarabanda che muove ostilmente verso il povero spettatore, con ogni prevedibile strumento preso dalla toolbox kusturiçiana. Cani urlanti e coca in pista da sballo. Cibo matto e macchine semoventi. Oche, carne, spari, mogli e puttane. Siamo risucchiati in un “casino” che tenta di corromperci e invece ci devasta e fa sperare in un’improbabile oasi dei sensi. Che non arriva o arriva troppo tardi, quando lo spettatore disattento si è arreso a cotanto apparato multi(im)mediale e, dopo aver riso della tragedia, si concede - poco convinto - anche un po’ di partecipazione.
L’intreccio non è tale, perché si procede tra blocchi slegati del racconto.
Il figlio del protagonista è chiamato dall’esercito e non dal Partizan Beograd (calcio ludens, sogno, fuga etc), ma di quello che gli capita non vediamo alcunché. La moglie salta sul carro di un fisarmonicista dal fascino invisibile (ancora: musica ludens……) e lascia il proscenio al poveretto, su cui crolla l’intero film. Ma anche lui avrà la sua dose di divertimento e di decentramento rispetto al cuore della vicenda: una bosniaca gli capiterà in casa, pronta per un baratto col figlio di lui, nel frattempo fatto prigioniero dai connazionali di quella.
Parte forse un ragionamento sul conflitto tra le due etnie che si scannano sui vari fronti di battaglia?
Assolutamente no: i due cominciano a “volersi”, si attraggono, uniscono le loro solitudini e vagamente apparecchiano una qualche forma di innamoramento.

Come Emir, anche loro, sul lettone della Fantasia, lasciano cadersi addosso il mondo sub specie di bombe, detriti, animali (...).
 

La morte di qualcuno è messa in scena quasi fosse uno spettacolo di marionette, coperta dalla musica, illuminata dal sole e specchiata dalla neve: è bellissimo il contrasto rosso su bianco del sangue su quella, ma non siamo alla recita scolastica e non c’è alcun robertobenigni nei paraggi, e nemmeno qualche toninoguerra a raccontarci il falso, che tutto è ottimismo e l’amaro calice va bevuto con chili di dolcificante.

Manca tutto in questo film, manca la coralità di UNDERGROUND, dove il meccanismo funzionava perfettamente; manca il disincanto acido di ARIZONA DREAM, che metteva al centro la critica verso i falsi miti americani. Ora K. È il re del “Serbian Dream”, pessima imitazione di quello – appunto – made in USA.
LA VITA E’ UN MIRACOLO mette anche in scena gli “slegàmi sociali” prodotti la guerra, ma senza dramma e con tanta commedia. Luka tornerà insieme alla moglie, il figlio tornerà allegro dal fronte, il film tornerà nell’oblio.

Non credete a chi vi dice che il film vale per quelle due o tre scene “memorabili & poetiche”: sono cascami di una capacità di mettere le cose in poesia, che non hanno più alcuna forza e alcun senso.
 

Voto: 18/30

31:03:2005

La vita è un miracolo

Titolo Originale: Kad je zivot bio cudo
Regia: Emir Kusturica
Anno: 2004
Nazione: Francia
Data uscita in Italia: 04:03:2005
Genere: Drammatico