Chiassoso ed esuberante come ogni balcanico che
si rispetti, La vita è un miracolo
si inserisce pienamente nella ormai consolidata cifra stilistica dei film di
Kusturica: in perenne sospensione fra dramma e slapstick comedy
(anche se forse in quest’ultimo lavoro lo chef ha amalgamato gli ingredienti
con minore coesione), indeciso fra Amore e Guerra, immerso in atmosfere e
situazioni surreali ma non troppo.
La Guerra è quella che ha lacerato la Jugoslavia nella prima metà degli anni
Novanta, e il suo spettro è continuamente esorcizzato dall’ingenuo ottimismo
dell’ingeniere Luka, un serbo ritiratosi sulle montagne per fuggire alla
confusione di Belgrado, con in testa solamente la sperduta tratta
ferroviaria di sua competenza e, prima ancora, la sua famiglia:
l’affezionato figlio Milos, scontento della nuova sistemazione e con in
testa il sogno di un ingaggio per il Partizan Belgrado, e la moglie Jadranka,
un ex cantante lirica di successo oramai uscita di testa.
“E’ gente ragionevole, non succederà niente”, continua a ripetere Luka a
tutti quelli che gli dicono che la guerra è alle porte (pare che una simile
negazione della realtà fosse piuttosto comune fra gli jugoslavi, alle porte
della tragedia), e a svegliarlo dal suo torpore non basteranno né la
chiamata alle armi di Milos, scambiata dal padre per un semplice servizio di
leva, né la fuga della moglie assieme ad un discutibile musicista ungherese,
né i colpi d’artiglieria bosniaca sopra i tetti del paese.
Solo la notizia della cattura del figlio da parte dei musulmani riuscirà a
fare aprire gli occhi all’ingegnere ferroviario, e per volontà del destino i
suoi occhi si apriranno sull’ingenuo sorriso di Sebaha, giovane infermiera
bosniaca consegnatagli come prigioniera in vista di uno scambio di ostaggi.
E siamo arrivati quindi all’Amore, perché è ovvio sin dal primo momento che
la passione interetnica è destinata a scoppiare. Il riferimento a Giulietta
e Romeo è evidente, solo che al posto di Montecchi e Capuleti abbiamo serbi
ortodossi e bosniaci musulmani. Ma i toni rimangono quelli più cari a
Kusturica della commedia, piuttosto che quelli della tragedia, e l’alone
folle e grottesco che avvolge il film, animato da sbronze rumorose, popolato
da asine in crisi sentimentale e gatti famelici, contribuisce ad alleggerire
il tutto.
Questo, ovviamente, ha l’effetto da una parte di esorcizzare, ma dall’altro
anche di addomesticare lo spettro della tragedia ancora recente della guerra
in Jugoslavia. Nel corso di tutto il film Kusturica evita accuratamente di
dire: “E’ colpa di questa nazione, oppure è colpa di quest’altra”, e tenta
di dimostrare come la gente comune fosse in totale balìa della guerra e non
avesse alcun potere su di essa. Le cause, semmai, sono da ricercare negli
interessi di pochi che portano alla rovina di molti. La stessa figura del
capitano Aleksic (interpretato dal figlio Stribor Kusturica) serve a
mostrarci come molti dei soldati e degli ufficiali coinvolti nella guerra
fossero in fondo brave persone.
Un fondo di verità in questo ci dev’essere. Tuttavia in questo caso i
tornaconti individuali non sembrano sufficienti a motivare un dramma di tali
dimensioni, in cui ad essere coinvolte sono state intere popolazioni,
percorse da un odio reciproco (e latente, fino alla morte di Tito) che
affonda le proprie radici in secoli passati.
Kusturica non riserva certo un grande riguardo nei confronti dei media (lui
stesso ha dichiarato nel corso di un’intervista: “[La guerra] non ha avuto
nulla a che vedere con quello che si è visto in tv, così superficiale e
manipolato”), e ne sono dimostrazione la fucilata di Luka al televisore di
casa che racconta del conflitto in corso e il magistrale rutto di Milos,
appena liberato, nel microfono di una cronista inglese a caccia di audience.
Sebbene la concisione non sia certo la dote principale di Kusturica (vedi il
già citato Underground), le
due ore e mezza di film non annoiano: il ritmo rimane sempre piuttosto
sostenuto e le molte trovate originali insaporiscono una trama dopotutto
scontata, soprattutto per quanto riguarda la vicenda d’amore. I problemi
insorgono piuttosto quando viene calcata la mano sullo humor grottesco, e
qui la caratura macchiettistica di alcuni personaggi non aiuta, e quando il
regista decide di inserire qualche scena decisamente di troppo, come ad
esempio la sequenza gratuita con Luka e Sebaha sotto la cascata.
La regia è comunque sapiente e la fotografia notevole: i paesaggi montani
jugoslavi sono di grande impatto estetico ed emotivo. Purtroppo però non
tutti gli attori sono altrettanto espressivi, in particolar modo Slavko
Stimac - che pure ha già interpretato per Kusturica
Ti ricordi di Dolly Bell? e
Underground - nel ruolo del
protagonista.
Nei suoi pregi e nei suoi difetti,
La vita è un miracolo risulta in conclusione un film godibile,
sebbene non il migliore del regista (Gatto
nero gatto bianco è ben lontano), confusionario, emotivo e vitale
come il cinema di Kusturica e come i Balcani stessi.
Un’ultima nota: la colonna sonora è curata dallo stesso Emir Kusturica
assieme a Dejan Sparavalo e Nelle Karaljic, quest’ultimo leader della No
Smoking Orchestra di cui lo stesso Kusturica - assieme al figlio Stribor -
fa parte.
Voto: 25/30
02:03:2005 |